Sì che Prudenza ed ogni sua sorella (Se questo fai), regnerai onorata; E'l nome eccelso tuo che mal si nota Potrà poi dir Fiorenza,' Dacchè l'affezïon t' avrà ornata, Felice l'alma che 'n te fia creata! Ma, se non muti alla tua nave guida, Che le passate tue piene di strida. Tu te n'andrai, Canzone, ardita e fera, Dentro la Terra mia, cui doglio e piango; Non dà nullo splendore, Ma stan sommersi e lor virtù è nel fango. E la divoran Capaneo e Crasso, 2 Chè tien Giugurta e Faraone al passo. Poi ti rivolgi a' cittadin suoi giusti, Potrà poi dir Fiorenza. Così leggiamo col Perticari. Il Dionisi, col quale tengono il Fraticelli ed il Giuliani, vuole piuttosto leggere: Potra' poi dir Fiorenza, Nella nostra lezione si ha questo senso: O Patria, quando avrai ciò fatto, il tuo nome, che pel suo senso altissimo, ed al quale con proprio danno non si pone mente, è veramente eccelso, significherà Fiorenza, cioè la città florida, la città de' bianchi fiori, e di virtù e civiltà fiorente. Nella seconda lezione siamo costretti a togliere il pensiero da Patria per concentrarlo a Fiorenza, e dire che questa potrà dire eccelso il suo nome (quando avrà ciò fatto); mentre tal nome è sempre eccelso per sè, però mal si notava, e Fiorenza ma lo portava. Dante fa spesso allusione al nome di Fiorenza, dandolo anche alla celeste Gerusalemme veduta in forma di florido giardino e di eterna primavera. 2 Chè tien. Il Cod. Ottoboni 2321 legge: Tenendo. Il Giuliani vorrebbe seguirlo. Posi l'accento sopra chè, dandosi ragione del perchè Fiorenza vive stentando ec. SONETTO XXXV. È indirizzato a Cino da Pistoia, perchè si corregga dalla sua leggerezza e volubilità di amare. II Sonetto pare scritto negli ultimi anni della vita di Dante. Io mi credea del tutto esser partito Ma, perch' i' ho di voi più volte udito, 1 A questa penna lo stancato dito. Chi s'innamora, siccome voi fate, Piacemi. Alcune stampe leggono male: Piacciavi. 2 il fatto. Così leggesi in un Cod. Laurenziano. La lezione comune ha: i fatti. Così abbiamo una discor 2 danza di numero col verbo, la quale non si trova nell'Alighieri se non forse in qualche passo del Convito. Seguiamo il Fraticelli ed il Giuliani. SONETTO XXXVI. Risponde a Giovanni Quirino, confortandolo a spregiare i beni vani e guardare al secolo futuro. Lo re che merta i suoi servi a ristoro E drizzar gli occhi al sommo Concistoro. Chè, s'io contemplo il gran premio venturo, PARTE TERZA. GLI AMORI CON GENTUCCA DEGLI ANTELMINELLI. CANZONE XIII. Dice di essere nuovamente innamorato, essendo preso di Gentucca degli Antelminelli. La Canzone è drizzata a Moroello Malaspina nel 1306. Amor, dacchè convien pur, ch'io mi doglia, Perchè la gente m'oda, E mostri me d'ogni virtute spento; Dàmmi sapere a pianger com' ho voglia,1 Portin le mie parole, come 'l sento." Tu vuoi ch'io muoia ed io ne son contento; Ciò che mi fai sentire? 3 Chi crederà, ch' io sia omai sì còlto? Ma se mi dài parlar quant' ho tormento," Io non posso fuggir, ch' ella non vegna Se non come il pensier che la vi mena. L'anima folle che al suo mal s'ingegna, Così dipinge, e forma la sua pena; Poi la riguarda, e, quand' ella è ben piena Che ha fatto il foco, ov'ella 5 trista incende. E signoreggia la virtù che vuole, 7 Come simile a simil correr suole: Ben conosch'io, che va la neve al sole; Che, nel potere altrui, Va co' suoi piè colà, dov' egli è morto: 8 Mi raccomandi: a tanto sono scôrto Dagli occhi che m'ancidono a gran torto! Qual io divegna, sì feruto, Amore, Saitilo tu, non io, Che rimani a veder me senza vita; E, se l'anima torna poscia al core, Ignoranza ed oblio Stato è con lei, mentre ch'ella è partita: Com' io risurgo, e miro 10 la ferita |