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Tu disfai la beltà, ch' ella possiede,

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La qual tanto di ben, più ch' altra, luce,
Quanto conven; ch'è cosa che n' adduce
Lume di cielo in creatura degna;

Tu rompi e parti tanta buona fede
Di quel verace Amor che la conduce.
Se chiudi, Morte, la sua bella luce,
Amor potrà ben dire, ovunque regna:
Io ho perduta la mia bella insegna.

Morte, adunque di tanto mal t'incresca
Quanto seguiterà se costei more,
Che fia 'l maggiore si 2 sentisse mai;
Distendi l'arco tuo sì che non esca
Pinta per corda la saetta fuore,

Che per passare il core messa v' hai.3
Deh! qui mercè per Dio; guarda che fai;
Raffrena un poco il disperato ardire
Che già è mosso per voler ferire
Questa, in cui Dio mise grazia tanta.
Morte, deh non tardar mercè, se l'hai;
Che mi par già veder lo cielo aprire,
E gli angeli di Dio quaggiù venire
Per volerne portar l'anima santa
Di questa, in cui onor lassù si canta.
Canzon, tu vedi ben com'è sottile

Quel filo a cui s' attien la mia speranza,
E quel che sanza *questa donna io posso;
Però con tua ragion piana ed umíle

Muovi, novella mia, non far tardanza;
Chè a tua fidanza s'è mio prego mosso:
E con quella umiltà che tieni addosso
Fatti, novella mia, dinanzi a Morte,
Sicchè a crudelità rompa le porte,
E giunghi alla mercè del frutto buono;

E, s' egli avvien che per te sia rimosso
Lo suo mortal voler, fa' che ne porte
Novelle a nostra Donna e la conforte;
Si che ancor faccia al mondo di sè dono
Quest' anima gentil, di cui io sono.

1 ch'è cosa. Così suppone il Fra-
ticelli in luogo di che cosa.
.Il senso
di questo periodo mi sembra oscuro.
Forse dovrà leggersi: Quanto con-
venga a cosa che n'adduce ec.

2 maggiore si. Così corresse il Fraticelli la lezione comune, che portava: maggior che si. Va posto maggiore per formare la rimalmezzo,

consonando con core. Lo stesso va detto per le due seguenti lezioni.

3

core-messa v'hai. La volgata: cor giù messa v' hai. Core dee rimare con fuore, ed il già è voce superflua.

4 sanza. La volgata: senza. Qui sanza dee rimare con speranza, e fu cangiata da chi rifiutava la voce antiquata.

PARTE QUARTA.

RIME DI DUBBIA AUTENTICITÀ.

SONETTO XLIV.

Togliete via le vostre porte omai
Ed entrerà costei che l'altre onora;
Chè questa donna, in cui pregio dimora,
Ed è possente e valorosa assai. —

Oimè, lasso, oimè! Dimmi, che hai? -
Io tremo sì che non potrei ancora.
Or ti conforta, ch' io sarotti ognora
Soccorso e vita, come udir saprai.

Io mi sento legar tutte mie posse
Dall' occulta virtù, che seco mena,
E veggio Amor che m'impromette pena.

Volgiti a me, ch'io son di piacer piena,

E solo addietro cogli le percosse,
Nè non dubbiar, che tosto fian rimosse.

BALLATA X.

Poichè saziar non posso gli occhi miei Di guardare a Madonna il suo bel viso, Mireròl tanto fiso,

Ch'io diverrò beato, lei guardando.

A guisa d'Angel che di sua natura
Stando in altura

Divien beato, sol guardando Iddio ;
Così essendo umana creatura,
Guardando la figura

Di questa donna, che tiene il cor mio,

Potria beato divenir qui io:

Tanta è la sua virtù, che spande e porge,

Avvegna non la scorge

Se non chi lei onora desïando.

BALLATA XI.

In abito di saggia messaggiera,
Muovi, ballata, senza gir tardando,
A questa bella donna, a cui ti mando,
E dille quanto mia vita è leggiera.

Comincerai a dir che gli occhi miei,
Per riguardar sua angelica figura,
Solean portar corona di desiri;
Ora perchè non posson veder lei,
Li strugge Morte con tanta paura,
C'hanno fatto ghirlanda di martíri.
Lasso non so in qual parte li giri
Per lor diletto; sì che quasi morto
Mi troverai, se non rechi conforto
Da lei onde le fa' dolce preghiera.

SONETTO XLV.

Poichè, sguardando, il cor feriste in tanto
Di grave colpo, ch'io batto di vena,
Dio, per pietà or dàgli alcuna lena,
Che'l tristo spirto si rinvegna alquanto.

Or non mi vedi consumare in pianto
Gli occhi dolenti per soverchia pena,
La qual sì stretto alla morte mi mena,
Che già fuggir non posso in alcun canto?
Vedete, donna, s'io porto dolore,

E la mia voce s'è fatta sottile,
Chiamando a voi mercè sempre d'amore!

E se'l v'aggrada, donna mia gentile,
Che questa doglia pur mi strugga il core,
Eccomi apparecchiato servo umíle.

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