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§ V. Ne' Sonetti XXX e XXXI e nella Canzone XI si tocca di amore e di virtù o della Filosofia. Tale amore non è più quello di Beatrice o l'allegorico della Vita Nuova e del Convito. Nella fine del 1306 Dante andò presso Guido Selvatico nel Cosentino, ed ivi s'innamorò di Gentucca degli Antelminelli, come diremo altrove. Ciò sta cennato nel XXIX Sonetto. Poco prima stando alla Corte di Moroello Malaspina, egli non si era lasciato vincere per amore di donna, e di ciò si tocca nel XXVIII Sonetto. A' principii del 1308 l'Alighieri abbandonava il Cosentino per correre in Romagna da Scarpetta degli Ordelaffi, del quale fu segretario. Nell'agosto di quell'anno, cessato il rumore dell'armi, l'Alighieri scrisse la XI Canzone. In fatto la canzone in parola fu scritta quando il Poeta era in esilio, e propriamente allorchè disperava del ritorno, temendo che o per giudizio o per forza di destino i fiori bianchi fossero versati in persi col trionfo dei Neri sui Bianchi, ed intanto egli tenevasi ad onore l'esilio. Ora ciò non può non credersi avvenuto prima del 1308; giacchè nel 1307 sperava tuttavia d'esser richiamato in patria per libero richiamo dei suoi concittadini, od almeno quasi in sogno rivedeva la sua città nativa.1 I gravi fatti di Romagna e Toscana della fine del 1307 e dei principii del 1308 cangiarono lo stato delle cose, di forma che bene l' Alighieri poteva essersi pentito della colpa di non aversi contato lieve ciò che gli era grave. Dante era in esilio ed amava, nè questo amore può tenersi più per allegorico, ma sì per quello che va riferito alla Gentucca degli Antelminelli, la quale nel 1308 era stata divisa per lontananza dall' Alighieri andato in Romagna. Così questa canzone ha un pienissimo riscontro col Sonetto XIV. Il Fraticelli voleva scritta questa canzone allorchè l' Alighieri disponevasi ad andare all' ultimo suo rifugio in Ravenna; perchè teneva che Francesco Stabili vi avesse fatto allusione con questi versi:

Ma qui mi scrisse dubitando Dante:

Son due figliuoli nati in uno parto,

Vedi la Canzone XIII, e De Vulgari Eloquio, 1. II.

E' più gentil si mostra quel davante,
E ciò è converso, come tu già vedi.
Torno a Ravenna e di qui non mi parto:
Dimmi, Auscolano, quel che tu ne credi.
Rescrissi a Dante, pensa tu che leggi, ec.

Il Trevisani seguiva tale opinione, e trovava non solo che la canzone fosse stata scritta in Ravenna presso Guido da Polenta, ma che l'Alighieri negli ultimi versi con tenere parole esprimeva il desiderio di tornare in Fiorenza, e vi accennasse in insolita guisa il suo pentimento! Ma Dante scriveva di tutt'altro che di Temperanza e Larghezza all'Ascolano, briaco di astrologiche fantasie; e consolavasi dell'esilio cogli altri dispersi, e pentivasi di non essere stato anima sdegnosa prima di poche lune!

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§ VI. In questa seconda parte del Canzoniere abbiamo altre poesie morali, delle quali bisogna, per quanto si possa, determinare la cronologia.

La Canzone XII fu scritta con massima probabilità nel 1311; perchè: 1o Dante la scrisse in esilio; 2° Ha il concetto delle virtù e dei vizi, diverso da quello del Convito, ed identico a quello della Divina Commedia; 3° Consiglia i buoni e giusti di Fiorenza ad augustarsi, facendosi Imperiali, seguendo le leggi di Giustiniano e mutando guida alla nave della Repubblica fiorentina; 4° Fa supporre che per la pubblicazione dell' Inferno s'intenda comunemente per lupa rapace la cupidigia dei Guelfi; per Capaneo, Crasso, Simon Mago, Sinone, ec., la violenza contro l'Impero, l' avarizia, la simonia, il falso consiglio, ec.

I Sonetti XXX, XXXIV e XXXV, sono tutti e tre scritti a Cino da Pistoia, ma il primo quando l' Alighieri era in Fiorenza, e scriveva di Filosofia morale; il secondo quando era in esilio, e mandava anche una epistola latina all'esiliato Cino dopo del 1307 od in quest'anno; e l'ultimo quando era quasi vecchio. Il Sonetto XXXIII sembra scritto fra il 1305 ed il 1307, e l'ultimo sonetto quando l'Alighieri era già vecchio.

DISSERTAZIONE TERZA.

GLI AMORI CON GENTUCCA DEGLI ANTELMINELLI.

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CAPO I.

D'una lettera e d'una canzone, detta Alpigianina, dall' Alighieri mandate a Moroello Malaspina, marchese di Villafranca.

§ I. Il prof. Carlo de Witte nel 1827 scovrì nel Codice vaticano palatino una epistola latina scritta da Dante al marchese Moroello Malaspina. Facea seguito a questa epistola una canzone dello stesso Autore, già nota e detta l'Alpigianina, perchè cantava gli amori di lui con un'alpigiana del Casentino; ed è quella che noi contiamo per XIII. Incomincia :

Amor, dacchè convien pur ch'io mi doglia,

Ecco l'epistola in italiano: 1

Scrive Dante al marchese Morcello Malaspina: «Perchè al Signore non restino ascosi i legami del suo servo, il quale dai sensi di gratitudine è dominato, e perchè le varie novelle da altri riferite, le quali sogliono essere di frequente semenzaio di false opinioni, nol divulghino lasciatosi per trascuranza accalappiare; piacquemi rivolgere al cospetto della magnificenza vostra il presente breve discorso.

> Egli adunque mi avvenne, che dopo la mia separazione da quella Corte,' per me poscia sospirata, nella quale (siccome spesso con ammirazione vedeste) mi fu lecito seguire

'Lasciamo la nostra versione per quella del Fraticelli, che ignoravamo, facendo la nostra nel febbraio del 1858. Vi cangiamo soltanto curia in corte e canti in incanti.

2 È la corte di Moroello Malaspina, marchese di Villafranca. Altri la credono o di Fiorenza, o di Arrigo in Milano, o del Moroello di Giovagallo.

gli uffici di libertà,' siccome prima con tutta sicurezza e senza guardia posai le piante sulle rive dell'Arno, ad un tratto, ohimè!, come folgore dal cielo scendente m'apparve, non so come, una donna, ai miei principii, ai miei costumi ed alla mia fortuna pienamente conforme. Oh come nel suo apparire rimasi stupito! Ma lo stupore per lo spavento del tuono sopravveniente cessò. Perciocchè, siccome ai baleni succedono tostamente i tuoni, così appena ebbi visto il lampo della di lei bellezza, amore terribile e imperioso mi ebbe in sua potestà. E questo feroce, come signore dalla patria cacciato, il quale dopo lungo esilio nelle sue terre violento ritorni, tutto ciò che dentro di me era a lui contrario, o spense, o sbandì, o incatenò. Spense, dico, quel lodevole proposito, ond' io mi teneva lungi dalle donne e da' loro incanti; e le assidue meditazioni, per le quali io speculava le cose del cielo e della terra, empiamente quasi sospetto sbandi; e finalmente, perchè l'anima mia non più si ribellasse contro di lui, incatenò il mio libero arbitrio ; sicchè mi sia forza voltarmi non là dove voglio io, ma là dove vuol egli. In me dunque regna amore, non volendo in contrario alcuna mia virtù; e, di qual guisa mi governi, fuor del seno della presente potrete più sotto cercarne. »

2

§ II. La canzone che abbiamo citata, fa parte integrale o no di questa lettera diretta a Moroello Malaspina? A meglio porre la quistione da risolvere, domandiamo: la canzone che comincia:

Amor, dacchè convien pur ch'io mi doglia,

Qui non si tratta del priorato o delle ambascerie di Dante, come volle il Torri ed il Troya, ma della libertà dai legami d'amore, come si ha dalla continuazione di metafora. Questa libertà si vide in Corte di Moroello di Villafranca, siccome ce ne fa testimonianza il Sonetto XXXI, che abbiamo posto fra le Rime Filosofiche della seconda parte.

2 Allude agli studi filosofici fatti nel 1305 e 1306 in Bologna e Padova, compimento di quei fatti in Fiorenza prima dell'esilio. Il Troya dice: Parla qui certamente dei suoi ultimi studi teologici e filosofici di Parigi dal 1308 al 1310. Ma onde questa certezza? Qui si parla di sola Filosofia, ed in Parigi fu Dante per soli gli studi teologici, non avendo più difetto dei filosofici. Dante avea studiata Filosofia dal 1294 al 1298 in patria; l'avea studiata nuovamente in Bologna e Padova nel 1305 e 1306. Perchè dovea studiarla indi a Parigi? - Vedi BENVENUTO DA IMOLA

presso il MURATORI, Antiq. Medii Evi, I, 1036.

va tenuta per quello scritto che Dante nella lettera a Moroello diceva di mandargli per fargli aperto in qual modo amore lo governava? Noi dobbiamo rispondere affermati

vamente.

1o Almeno pel secolo di Dante, sì la famiglia Malaspina, come i primi amanuensi dovevano conservare unite la lettera e la poesia d'amore mandate insieme al marchese Moroello, perchè riguardavano lo stesso argomento, e l'uno scritto era di chiarimento all'altro per forma che, discompagnati, si faceano poco meno che incomprensibili. Ora il Codice vaticano palatino, che ci è di molt'autorità, perchè dello stesso secolo di Dante, cioè del 1394, pone dietro alla epistola scritta a Moroello la canzone detta l'Alpigianina. Perciò nel secolo medesimo di Dante si riteneva che la canzone detta l'Alpigianina fosse stata la poesia che Dante mandava insieme con siffatta lettera a Moroello.

2o Tanto l'epistola quanto cotale Alpigianina sono scritte alle fonti dell' Arno, dove l'Alighieri si dice preso d'amore, chè la canzone dice, esser Dante assai male concio dalla sua nuova passione in mezzo alle Alpi, nella valle del fiume, lungo il quale sempre amore era forte su lui. Questo fiume era l'Arno, perchè lungo esso fiume altra volta era stato preso della Portinari in Fiorenza. E così dalle Alpi, onde sorge l'Arno, venne a questa canzone il nome di Alpigianina, o, come Dante la chiama, di Montanina, come alla donna amata quello di Alpigiana, benchè fosse stata cittadina di una delle più gentili città di Toscana.

3o Il modo d'innamoramento nella epistola e nella canzone si vede esser quasi identico. Nell' una si parla d'un lampo e poi d'un tuono, che Dante lasciossi andare fra lacci securo ed incauto, e tocca del suo stupore e del suo terrore al giungere del tuono, ed infine come amore fosse rimasto in signoria del suo arbitrio; nell' altra si parla pure di essere stato folgorato dal fiero lume (lampo), e.poi stato percosso dal riso, e di aver tremato di paura al giungergli addosso un tuono; ed aggiungesi che la nemica figura era rimasta a signoreggiare la virtù che vuole; ec. Nell'una si dice che Dante pria manteneva il proposito di tenersi

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