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bitavo di comprendere, sono andato sempre a rilento nel mutare, ma non ho mancato mai di esatti raffronti sin dove mi si offrisse il destro di poter farli, valendomi a tal uopo, nei punti più dubbi, anche dell' intelligente operosità di Piero Barbèra, a cui era pur dovuto un cenno di stima.

Fu già per altri asserito che Dante, se ancora non ci avesse lasciate le tre cantiche del suo divino poema, sarebbe tuttavia il primo poeta d'Italia, da non cedere nella lirica al medesimo Petrarca, di cui certe figure (come osserva il Ginguené), certe forme di stile, certe maniere passionate che si credevano tutte proprie di lui, erano state gran tempo innanzi ispirate a Dante da un sentimento forse più profondo e da un amore altrettanto verace. Laonde maravigliavasi a ragione il Muratori, la cui valida autorità fu ancora citata dal Fraticelli, dell' aver tanti spositori solamente rivolto il loro studio ad illustrare la Divina Commedia, senza punto darsi cura de' componimenti lirici, dove risplende qualche virtù che non appar troppo spesso nel maggior poema. Ora non si potrebbe più dir così, mercè delle fatiche benemerite che vi spesero assai valentuomini, e in particolare il già ricordato Fraticelli e il Giuliani. Restava però da far ancora qualcosa, per non dir molto, intorno al Canzoniere dantesco, e si pose in cuore di farla il nostro Serafini.

In ciò consiste la somma del suo lavoro. Tre Dissertazioni trionfalmente ragionate sugli amori di

Dante argomento della 1a gli amori con Beatrice. Portinari, della 2a amori allegorici e rime filosofiche, della 3a gli amori con Gentucca degli Antelminelli. Il tutto è così ben disposto e concatenato, che non lascia più veruna credibilità a un infinito numero di opinioni disparatissime che si avevano sul conto del fiorentino poeta e su i vari subbietti delle sue rime. La prova de' fatti scaturisce limpida dall' esattezza e ragguaglio delle date, dalla giusta interpretazione de' documenti, dall' acume delle osservazioni, dalla dirittura del raziocinio. Chi avesse voluto sapere il netto degli amori danteschi, non c' era proprio da raccapezzarsi. Povero Dante! Alcuni ne fecero un Don Giovanni Tenorio, presentandocelo innamorato, dopo morta Beatrice, non soltanto della famosa Gentucca, ma d'una Casentinese ancora e di Alagia del Fiesco, moglie a Moroello Malaspina; poi d'una Bechina, d'una Selvaggia, d'una Bolognese e d'una Padovana, madonna Piera degli Scrovigni. Alcuni altri per l'opposto tennero sodo a farne quasi un nuovo Abelardo; ed ogni poesia che non credevasi riferibile a Beatrice, la si voleva riferita per forza alla Filosofia, per non sapersi dir altro. Forse Dante, dalla morte di Beatrice fino al 1307, non amò veruna donna, eccettuatane, se non vogliamo fargli un gran torto, la Gemma Donati, che lo rese padre di sette figli; ma essendo di sua natura, com' egli dice, trasmutabile per tutte guise, con quella vena di poesia che gli bolliva nel petto, e con tutti que' suoi pensieri

che gli parlavan d'amore, nulla di più facile che restasse preso della bellissima Gentucca, la quale del rimanente è tutt' una con la Casentinese, o Alpigianina, o Montanina che si dica. Il Serafini ha voluto. ritessere la genuina storia degli amori di Dante, e giudicheranno i lettori se vi sia riuscito.

Alle tre Dissertazioni segue il Canzoniere diviso in quattro parti; e dalla prima in fuori, ove son tutte le poesie per Beatrice o relative al tempo di questa sua passione, la seconda contiene poesie morali, la terza gli amori con Gentucca degli Antelminelli, la quarta rime di dubbia autorità, che si riducono a soli quattro componimenti, due sonetti e due ballate. Sotto ad ogni poesia vi sono apposte copiosissime note, dove trovansi accolte le più minute varianti, sì di codici come di stampe, e vi si ragiona del più o men valore che hanno le une verso le altre, e del perchè sia stata fra sì varie lezioni preferita questa, ripudiata quella. Viene da ultimo il Commento, che spesso è d'accordo con quel che dissero i precedenti espositori, ma le più volte se ne allontana e li sbugiarda, non senza una previa mostra di ponderate ragioni, porgendoci in mano, per così dire, il filo d'Arianna in un laberinto di gratuite e contradittorie asserzioni. Nè era da aspettarsi meno da chi levò grido d' interprete sì competente della poesia dantesca per alcune sue preziose glosse ai più difficili e controversi luoghi della Divina Commedia. Degna è pure di considerazione fra i tentati migliora

menti la punteggiatura qua e là rifatta contro la più comune finor seguíta, da cui emergeva un tutt'altro senso; onde non ha poi torto chi disse, che fin le virgole qualche volta divengono idee.

Il tramestío di studi danteschi, più veramente archeologici che estetici, è ora al colmo; la poesia ha ceduto il posto alla prosa. Il libro poi della Divina Commedia è il mare magno dove più navigano i Colombo della critica in cerca di nuove terre, dal vecchio Anonimo al veneto Gondoliere. Se oggi si è preteso d' indovinare tutto ciò che disse Dante con parlar coperto, e di fargli anche dire quel che mai non pensò, domani si vorrà sapere il motivo di non averci detto quel che avrebbe dovuto dire, a proposito d'inesplicabili omissicni storiche: per esempio di essersi tacitamente passato d'un Arnaldo da Brescia, o d'un san Luigi di Francia; di non aver mai ricordati Leone I, III e IX, Niccola I, Gregorio VII, Urbano II, Alessandro III, Innocenzo III e IV, che furono sì bravi pontefici; nè toccato un sol mctto di Arrigo IV e di papa Ildebrando, le due più auguste personificazioni e le più fatidiche della secolar lotta fra lo scettro e il pastorale. Io, quanto a me, confesso la mia pecca, mentre (come di sè affermava non so chi altri) io ho letto sempre la Divina Commedia da vero egoista, avendo impiegato ad ammirare i luoghi splendidi quel tempo che gli studiosi impiegano a intendere i luoghi oscuri.

Torniamo al Canzoniere per venirne speditamente

alla conclusione. Panfilo Serafini non è da mettersi in mazzo con la folla de' dantofili sognatori, e il suo lavoro, se non m'inganna l' affezione all' estinto per la non breve dimestichezza che ho presa con le note del suo pensiero, mi pare che debba trovar grazia presso l'universale. La pubblicazione d' un tal libro, diversa per avventura e singolare da quante ce ne diluviano d'ogni parte, produrrà, se altro non vuolsi, due buoni effetti: onorare la memoria d'un sapiente non men che infelice patriotto, e testimoniar sempre vivo il culto degl' Italiani alle opere del loro maggior poeta.

Firenze, 1o del 1883.

ETTORE MARCUCCI.

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