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Dante ne abbia parlato nella Vita Nuova in un modo quasi del pari maraviglioso, come se fosse la donna del Convito; per questo appunto risponderei, che Dante era poeta, celebrò Beatrice poeticamente con lodi superiori alle umane. Ma essendochè in quella prima etade non aveva egli la cognizione delle scienze, lodolla quanto sapeva e poteva col solo lume della ragione, sforzandosi di descrivere nel suo opuscolo un amore razionale e metafisico, non quale in fatti esso era, ma quale doveva o poteva essere dalla scorta fedele condotto della ragione. Ma poi ch' egli s'ebbe dato all'amore, cioè allo studio della filosofia, lodò e celebrò altamente questa quasi seconda donna nel suo Convito e nelle sue filosofiche Canzoni con tutto il lume ch'egli avea di scienza e d'arte. Finalmente nella poetica e presso che divina visione da lui descritta nella Commedia, tornò a lodar la sua prima donna, cioè Beatrice, fatta già cittadina del regno de' Beati, col lume sovrannaturale e scientifico della fede.

Quali effetti producesse in Dante quel primo amore per la Portinari, il quale altro non era che una naturale inclinazione d'un cuor gentile per donzella adorna di tutti i pregi, il palesa egli stesso quando racconta che considerando nell' oggetto amato un modello di bellezza, d'onestà e di virtù, si elevarono le sue idee e si posero con esso a livello; sentì quindi in sè medesimo un cambiamento, nè più trovò l'uomo di pria. Sublimandosi la sua mente, il suo affetto altresì informossi di spiritualità e di purezza, come la sua volontà acquistò rettitudine ed energia. Laonde egli asseriva che il saluto di Beatrice, il quale era il massimo suo desiderio, operava in lui mirabilmente e virtuosamente; e diceva buona essere la signoria d'amore; perchè trae l'intendimento del suo fedele da tutte le vili cose. Simili concetti esprimeva nelle sue Canzoni, esclamando:

«Io giuro per colui

Ch' Amor si chiama, ed è pien di salute,

Che senza oprar virtute

Nissun puote acquistar verace loda. >>

Canz. XVII, St. V.

« Da te (Amor) convien che ciascun ben si muova,
Per lo qual si travaglia il mondo tutto;

Senza te è distrutto

Quanto avemo in potenza di ben fare. »

Canz. XII, St. 1.

Il sistema immaginato da Platone sulla gradazione delle bellezze, per cui l'anima inalzandosi dalla contemplazione del bello materiale e visibile a quella del bello spirituale ed invisibile, trova la sua felicità nel distaccamento da' sensi e nella calma delle passioni, era in moda nel secolo cavalleresco dell' Alighieri. Non già che i dotti di quell'età avessero in generale attinte quelle loro sublimi, o piuttosto fantastiche idee, dai libri del greco filosofo perocchè allora erano poco o punto conosciuti in Italia; ma aveanle ricavate da quelli di Sant'Agostino. Le opere di questo Padre tutto platonico formavano in gran parte la filosofia di que' tempi: e quelle parole: Disce amare in creatura Creatorem, et in factura Factorem, furon bastanti per fondarvi sopra tutti i sistemi amoroso-platonici de' nostri primi rimatori entusiasti. Gli omaggi del cuore e della mente venivano quindi da essi accompagnati con una specie di culto. Eglino non cessavano di ripetere che niente più amavano nelle loro donne, quanto le bellezze interiori dell' anima: che i loro spiriti d' un' origine celeste, si cercavano e si vagheggiavano qui in terra senza alcuna mescolanza d'impurità e di materia: che se talvolta il loro entusiasmo sembrava troppo esaltarsi alla vista della fisica bellezza, ciò non era, dicevan essi, che in virtù dell' estasi sublime, che eccitavasi in loro all'aspetto delle prodigiose fatture dell' Onnipotenza e dei capi d'opera di perfezione, che il cielo si compiaceva di mostrare alla terra. Per ciò appunto, e' dicevano, la Somma Sapienza formando col suo potere l'universo, volle nelle sue creature farsi in parte visibile all'uomo, e volle in esse splendere in cotal guisa, affinchè allettando gli occhi del corpo, invaghisse quelli dell'intelletto ad inalzarsi per insino a lei.1 Ond'è che ogni amore natu

«Ciò che non muore, e ciò che può morire,

Non è se non splendor di quella idea,
Che partorisce amando il nostro Sire. >>
DANTE, Par., XII, v. 52.

« lo veggio ben sì come già risplende
Nell' intelletto tuo l' eterna luce,
Che vista sola sempre amore accende;

rale o intellettuale, ovvero umano o divino, asserivano essere senza errore (conforme l'assioma: Opus naturæ, opus intelligentiæ non errantis), e supponevano prender origine dalla prima mente, e ad essa dover ritornare.1 Tale era il linguaggio del platonicismo amoroso, assai familiare nel Parnaso Italiano fino dal tredicesimo secolo, e che durò per insino al decimosesto."

Così Giovanni dell' Orto aretino, che fiorì nel 1250, cantava : << Amor solo, però ch'è conoscente

1

D'alma gentile e pura,

Sovr' essa gira, e pur ad essa torna;
E poi ch'è giunto a lei, immantinente
D'un ben sovra natura

Perfettamente lei pasce ed adorna. >>

Così Loffo Bonaguida :

<< Che Iddio vi formò pensatamente
Oltre natura ed oltre uman pensato. »>

Così Guittone d'Arezzo:

<< Che non può cor pensare,

E s'altra cosa vostro amor seduce,
Non è se non di quella alcun vestigio
Mal conosciuto che quivi traluce. »>
Parad., V, 7.
« Amor, che muovi tua virtù dal Cielo,
Come 'l Sol lo splendore. >>

DANTE, Canz. XII, St. 1.

... esser conviene

Amor semenza in noi d' ogni virtute. >>

Purg., XVII, 103.

Il Salvini, illustrando que' versi del Petrarca:

<< Aprasi la prigione ov' io son chiuso,

E che 'l cammino a tal vita mi serra, »

dice: « Questi sono i misteri della Platonica filosofia, e non che uno s'ab>>bia a fissare in amando tutto il tempo di sua vita una creatura, senza mai >> cercare di levarsi a migliore, più sublime, più conveniente e più bello >> senza comparazione e più amabile oggetto. Scala non è dunque questa >> del tutto immaginaria; ma presa pel suo verso, e non abusata, viene ad >> essere assai più vicina a' buoni e non adulterati nè falsi mistici e alla » dottrina de' nostri contemplativi, che sino dalle cose irrazionali pren>> dono di continuo motivo ed occasione beata di portarsi in Dio, e dalla >> moltitudine delle cose di quaggiù ridursi all' Uno di lassù anagogica

>> mente. >>

Nè lingua divisare

Che cosa in voi potesse esser più bella.

Ah! Dio, com si novella

Puote a esto mondo dimorar figura,

Ched è sovra natura?

Che ciò che l' uom di voi conosce e vede,
Somiglia per mia fede

Mirabil cosa a buon conoscitore. >> 1

Così il Cavalcanti nella Canz. VIII e II:

<< Amore che innamora altrui di pregio,
Da pura virtù sorge

Dell' animo, che noi a Dio pareggia.

Di questa donna non si può contare;
Che di tante bellezze adorna viene,
Che mente di quaggiù non la sostiene. >>

Così Cino da Pistoia nella Canz. I:

<< Quando Amor gli occhi rilucenti e belli,
C'han d'alto fuoco la sembianza vera,
Volge ne' miei, sì dentro arder mi fanno,
Che, per virtù d' Amor, vengo un di quelli
Spirti, che son nella celeste sfera.

Dal lampeggiar delle due chiare stelle....
Prende il mio core un volontario esiglio,
E vola al Ciel tra l'altre anime belle.

Donna, i vostri celesti e santi rai

Vedendo avvolto in tenebre il mio core,

1 Anche nella sua lettera V diretta a una donna, Guittone adopra consimili espressioni: «Gentil mia donna, l'onnipotente Dio mise in voi sì >> maravigliosamente compimento di tutto bene, che maggiormente sem>> brate angelica creatura che terrena in detto ed in fatto; e in le sem>> bianze vostre tutte, che quant' uomo vede di voi sembra mirabil cosa a >> ciascun buon conoscidore. Perchè non degni fummo che tanta preziosa >> e mirabile figura, come voi siete, abitasse intra l'umana generazione >> d'esto secolo mortale, ma credo che piacesse a Lui di poner voi tra >> noi per fare maravigliare ec. >>

DANTE. 2.

2

Ed altrove:

Immantinente il fer chiaro e sereno;
E dal carcer terreno

Sollevandol talor, nel dolce viso
Gusto molti de'ben del Paradiso. >>

« Come poteva d'umana natura
Nascere al mondo figura sì bella

Com' voi, che pur maravigliar mi fate? »

Così finalmente il nostro Alighieri:

« Credo che in ciel nascesse esta soprana
E venne in terra per nostra salute.

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lo non dirò che questo fosse il vero modo di trattare l'amore, e che que' primi italiani poeti rinvenissero un bello sconosciuto a Tibullo e a Properzio; ma dirò solo che tale si era il mistico e bizzarro gusto del tempo. Perciò l'Alighieri, non tanto dalla sua elevata fantasia e dalla nobiltà del suo animo, quanto dall'esempio de' suoi contemporanei, fu spinto a sublimare l'affetto per la sua donna, e a far di essa un essere meraviglioso e più che terreno. Che se a ciò avesse voluto por mente il Biscioni, non avrebbe mosso tante dubbiezze intorno Beatrice, nè avrebbe prodotta quella sua speciosa opinione intorno l'amore del divino poeta, affannandosi tanto nel torgli di dosso una taccia, che egli ha comune con tutto il genere umano, e sforzandosi nel far creder che uno solo ed identico, cioè quello della sapienza, sia stato l'amore, ch' egli ha sì vivamente descritto in tutte e quattro le sue opere italiane, la Vita Nuova, il Canzoniere, il Convito e la Divina Commedia. Parecchi dati storici, parecchie deduzioni e parecchi argomenti stanno per me a provar questo che Dante, dopo avere ne' suoi più verdi anni amato Beatrice Portinari non per sensualità, ma per gentilezza di cuore,

Tutti sanno in quanto gran numero furono in Italia i servili imitatori del Petrarca, e perciò non sopraccarico il mio discorso con inutili citazioni.

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