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zone; ma quelli che compongono parole armonizzate, chiamano le opere loro Canzoni. Ed ancora che tali parole siano scritte in carte, e senza niuno che le proferisca, si chiamano Canzoni; e però non pare che la Canzone sia altro che una compiuta azione di colui, che detta parole armonizzate, ed atte al canto. Laonde così le Canzoni, che ora trattiamo, come le Ballate e i Sonetti, e tutte le parole a qualunque modo armonizzate, o volgarmente, o regolatamente, dicemo essere Canzoni. Ma perciò che solamente trattiamo le cose Volgari, però lasciando le regolate da parte, dicemo, che dei Poemi Volgari uno ce n'è supremo, il quale per sopraeccellenzia chiamiamo Canzone; e che la Canzone sia una cosa suprema, nel terzo capitolo di questo libro è provato. Ma conciò sia che questo, che è diffinito, paia generale a molti, però risumendo detto vocabolo generale, che già è diffinito, distinguiamo per certe differenzie quello che solamente cerchiamo. Dicemo adunque che la Canzone, la quale noi cerchiamo, in quanto che per sopraeccellenzia è detta Canzone, è una congiugazione tragica di stanzie eguali senza risponsorio, che tendono ad una sentenzia, come noi dimostrammo, quando dicemmo : << Donne, che avete intelletto d' Amore. >>

E così è manifesto che cosa sia Canzone, e secondo che generalmente si prende, e secondo che per sopraeccellenzia la chiamiamo. Ed assai ancora pare manifesto che cosa noi intendemo, quando dicemo Canzone; e conseguentemente qual sia quel fascio, che vogliamo legare. Noi poi dicemo, che ella è una tragica congiugazione; perciò che quando tal congiugazione si fa comicamente, allora la chiamiamo per diminuzione Cantilena, della quale nel quarto libro di questo avemo in animo di trattare.

CAPITOLO IX.

Quali siano le principali parti della Canzone, e che la Stanzia
n'è la parte principalissima.

Essendo la Canzone una congiugazione di Stanzie, e non sapendosi che cosa sia Stanzia, segue di necessità, che non si

nam ex diffinientium cognitione diffiniti resultat cognitio; et ideo consequenter de Stantia est agendum, ut scilicet vestigemus, quid ipsa sit, et quid per eam intelligere volumus. Et circa hoc sciendum est, quod hoc vocabulum per solius artis respectum inventum est, videlicet, ut in quo tota Cantionis ars esset contenta, illud diceretur Stantia, hoc est mansio capax, vel receptaculum totius artis. Nam quemadmodum Cantio est gremium totius sententiæ, sic Stantia totam artem ingremiat: nec licet aliquid artis sequentibus arrogare, sed solam artem antecedentis induere; per quod patet, quod ipsa de qua loquimur, erit conterminatio, sive compages omnium eorum, quæ Cantio sumit ab arte; quibus divaricatis, quam quærimus, descriptio innotescit. Tota igitur ars Cantionis circa tria videtur consistere; primo circa cantus divisionem, secundo circa partium habitudinem, tertio circa numerum carminum, et syllabarum: de rithimo vero mentionem non facimus, quia de propria Cantionis arte non est. Licet enim in qualibet Stantia rithimos innovare, et eosdem reiterare ad libitum, quod, si de propria Cantionis arte rithimus esset, minime liceret, quod dictum est. Si quid autem rithimi servare interest, hujus quod est artis comprehendetur ibi, cum dicemus partium habitudinem. Quare hic colligere possumus ex prædictis diffinientes, et dicere Stantiam esse sub certo cantu et habitudine, limitatam carminum et syllabarum compagem.

sappia ancora che cosa sia Canzone; perciò che dalla cognizione delle cose, che diffiniscono, resulta ancora la cognizione della cosa diffinita, e però consequentemente è da trattare della Stanzia, acciocchè investighiamo, che cosa essa si sia, e quello che per essa volemo intendere. Ora circa questo è da sapere, che tale vocabolo è stato per rispetto dell' arte sola ritrovato; cioè perchè quello si dica Stanzia, nel quale tutta l'arte della Canzone è contenuta, e questa è la Stanzia capace, ovvero il recettacolo di tutta l'arte. Perciocchè siccome la Canzone è il grembo di tutta la sentenzia, così la Stanzia riceve in grembo tutta l' arte; né è lecito di arrogere alcuna cosa di arte alle Stanzie sequenti; ma solamente si vestono dell' arte della prima : il perchè è manifesto, che essa Stanzia (della quale parliamo) sarà un termine, ovvero una compagine di tutte quelle cose, che la Canzone riceve dall' arte; le quali dichiarite, il descrivere che cerchiamo, sarà manifesto. Tutta l'arte adunque della Canzone pare che circa tre cose consista, delle quali la prima è circa la divisione del canto, l' altra circa la abitudine delle parti, la terza circa il numero dei versi e delle sillabe; delle rime poi non facemo menzione alcuna, perciocchè non sono della propria arte della Canzone. È lecito certamente in cadauna Stanzia innovare le rime, e quelle medesime a suo piacere replicare; il che, se la rima fosse di propria arte della Canzone, lecito non sarebbe. E se pur accade qualche cosa delle rime servare, l'arte di questo ivi si contiene, quando diremo della abitudine delle parti.1 Il perchè così possiamo raccogliere dalle cose predette, e diffinire, dicendo: La Stanzia è una compagine di versi e di sillabe, sotto un certo canto, e sotto una certa abitudine limitata.

'Intendi: l'arte di questo sarà esposta là dove diremo dell' abitudine delle parli (vale a dire nel Cap.

X1). La voce abitudine, qui ed altrove, significa disposizione.

CAPUT X.

Quid sit cantus Stantiæ, et quod Stantia variatur pluribus modis in Cantione.

Scientes quod rationale animal bomo est, et quod sensibilis anima, et corpus est animal, et ignorantes de hac anima, quid ea sit, vel de ipso corpore, perfectam hominis cognitionem habere non possumus; quia cognitionis perfectio uniuscujusque terminatur ad ultima elementa, sicut magister sapientum in principio Physicorum testatur. Igitur ad habendam Cantionis cognitionem, quam inhiamus, nunc diffinientia suum deffiniens sub compendio ventilemus: et primo de cantu, deinde de habitudine, et postmodum de carminibus et syllabis percontemur. Dicimus ergo, quod omnis Stantia ad quandam odam recipiendam armonizata est; sed in modo diversari videtur; quia quædam sunt sub una oda continua, usque ad ultimum progressive, hoc est sine iteratione modulationis cujusquam, et sine dieresi; et dieresim dicimus deductionem vergentem de una oda in aliam; hanc Voltam vocamus, cum vulgus alloquimur; et hujusmodi Stantiæ usus est fere in omnibus Cantionibus suis Arnaldus Danielis et nos eum secuti sumus, cum diximus :

« Al poco giorno, ed al gran cerchio d'ombra. ' »>

Quædam vero sunt dieresim patientes, et dieresis esse non potest secundum quod eam appellamus, nisi reiteratio unius odæ fiat, vel ante dieresim, vel post, vel utrimque. Si ante dieresim repetitio fiat, Stantiam dicimus habere Pedes: et duos habere decet, licet quandoque tres fiant, rarissime

È la sestina, posta nel Canzoniere col num. I.

CAPITOLO X.

Che sia il canto della Stanzia, e che la Stanzia si varia
in parecchi modi nella Canzone.

Sapendo poi che l'animale razionale è uomo, e che l'anima è sensibile, e il corpo è animale; e non sapendo che cosa si sia quest' anima, nè questo corpo, non possemo avere perfetta cognizione dell'uomo; perciò che la perfetta cognizione di ciascuna cosa termina negli ultimi elementi, siccome il Maestro di coloro che sanno, nel principio della sua Fisica afferma. Adunque per avere la cognizione della Canzone, che desideriamo, consideriamo al presente sotto brevità quelle cose, che diffiniscano il diffiniente di lei; e prima del canto, dappoi della abitudine, e poscia dei versi e delle sillabe investighiamo. Dicemo adunque, che ogni Stanzia è armonizzata a ricever una certa oda, ovvero canto; ma paiono esser fatte in modo diverso, che alcune sotto una oda continua fino all' ultimo procedono, cioè senza replicazione di alcuna modulazione, e senza divisione; e dicemo divisione quella cosa, che fa voltare di un'oda in un' altra; la quale quando parliamo col vulgo,1 chiamiamo Volta. E queste Stanzie di un' oda sola Arnaldo Daniello usò quasi in tutte le sue Canzoni; e noi avemo esso seguitato quando dicemmo:

« Al poco giorno, ed al gran cerchio d'ombra. »>

Alcune altre Stanzie sono poi, che patiscono divisione; e questa divisione non può essere nel modo, che la chiamiamo, se non si fa replicazione di una oda o d'avanti la divisione, o dappoi, o da tutte due le parti, cioè d' avanti, e dappoi. E se la repetizion dell' oda si fa avanti la divisione, dicemo che la Stanzia ha Piedi; la quale ne dee aver due, avvegnachè qualche volta se ne

'Non v'ha dubbio che le parole cum vulgus alloquimur suonino, com' ha tradotto il Trissino, quando parliamo al volgo; ma dee avvertirDANTE. 21.

si, che Dante ha voluto in sostanza significare quando parliamo in lingua volgare.

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