Sayfadaki görseller
PDF
ePub

PROEMIO DI MARSILIO FICINO

Fiorentino

SOPRA LA MONARCHIA DI DANTE,

TRADOTTA DA LUI DI LATINO IN LINGUA TOSCANA,

A BERNARDO DEL NERO ED ANTONIO DI TUCCIO MANETTI, Cittadini Fiorentini.

Dante Alighieri per patria celeste, per abitazione fiorentino, di stirpe angelico, in professione filosofo-poetico, benchè non parlasse in lingua greca con quello sacro padre de' filosofi, interpetre della verità, Platone, nientedimeno in spirito parlò in modo con lui, che di molte sentenzie platoniche adornò i libri suoi; e per tale ornamento massime illustrò tanto la città fiorentina, che così bene Firenze di Dante, come Dante di Firenze si può dire. Tre regni troviamo scritti dal nostro rettissimo duce Platone: uno de' beati, l'altro de' miseri, e il terzo de' peregrini. Beati chiama quelli che sono nella città di vita restituiti; miseri quelli che per sempre ne sono privati; peregrini quelli che fuori di detta città sono, ma non giudicati in sempiterno esilio. In questo terzo ordine pone tutti i viventi, e de' morti quella parte che a temporale purgazione è deputata. Questo ordine platonico prima seguì Virgilio; questo seguì Dante dipoi, col vaso di Virgilio beendo alle platoniche fonti. E però del regno de' beati, de' miseri e de' peregrini, di questa vita passati, nella sua Comedia elegantemente trattò. E del regno de’peregrini viventi nel libro da lui chiamato Monarchia; ove prima disputa dovere essere uno giusto imperadore di tutti gli uomini; di poi aggiunge questo appartenersi al popolo romano; ultimo pruova che detto imperio dal sommo Iddio sanza mezzo del papa dipende. Questo libro composto da Dante in lingua latina, acciò che sia a' più de leggenti comune Marsilio vostro, dilettissimi miei, da voi esortato, di lingua latina in toscana tradotto a voi dirige, poichè l'antica nostra amicizia e disputazione di simili cose intra noi frequentata richiede, che prima a voi questa traduzione comunichi, e voi agli altri di poi, se vi pare, ne facciate parte.

DE MONARCHIA

LIBER PRIMUS.

De necessitate Monarchiæ.

§ I. Omnium hominum, quos ad amorem veritatis natura superior impressit, hoc maxime interesse videtur, ut quemadmodum de labore antiquorum ditati sunt, ita et ipsi pro posteris laborent, quatenus ab eis posteritas habeat quo ditetur. Longe namque ab officio se esse non dubitet, qui publicis documentis imbutus, ad Rempublicam1 aliquid adferre non curat: non enim est lignum, quod secus decursus aquarum fructificat in tempore suo: sed potius perniciosa vorago, semper ingurgitans, et nunquam ingurgitata refundens. Hæc igitur sæpe mecum recogitans, ne de infossi talenti culpa quandoque redarguar, publicæ utilitati non modo turgescere, quin imo fructificare desidero, et intentatas ab aliis ostendere veritates. Nam quem fructum ferat ille, qui theorema quoddam Euclidis iterum demonstraret? qui ab Aristotele felicitatem ostensam, reostendere conaretur? qui senectutem a Cicerone defensam, resumeret defensandam? Nullum quippe, sed fastidium potius illa superfluitas tædiosa præstaret. Cumque inter alias veritates occultas et utiles, temporalis Monarchiæ notitia utilissima sit, et maxime latens, et propter non se habere immediate ad lucrum ab omnibus intentata; 2 in proposito

1 Qui, ed anco altrove, la voce Repubblica non indica una forma speciale di governo, ma la cosa pubblica, lo Stato. Infatti gl' Imperatori romani, e fin Giustiniano,

chiamaron sempre Repubblica lo stato sul quale dominarono.

È una tirata contro i giureconsulti e decretalisti, dei quali parla aspramente in appresso.

LA MONARCHIA

LIBRO PRIMO.

Della necessità della Monarchia.

§ I. Il principale officio di tutti gli uomini, i quali dalla natura superiore sono tirati ad amare la verità, pare che sia questo che come eglino sono arricchiti per la fatica degli antichi, cosi s' affatichino di dare delle medesime ricchezze a quelli che dopo loro verranno. Per che molto di lungi è dall' officio dell'uomo colui che, ammaestrato di pubbliche dottrine, non si cura di quelle alcuno frutto alla Repubblica conferire. Costui non è legno, il quale piantato presso al corso dell' acque, nel debito tempo frutti produce; ma è più tosto pestilenziale voragine, la quale sempre inghiottisce, e mai non rende. Pensando io questo spesse volte, acciò che mai non fussi ripreso del nascoso talento, ho desiderio di darc a' posteri non solamente copiosa dimostrazione, ma eziandio frutto, e dimostrare quelle verità che non sono dagli altri tentate. Imperocchè nessuno frutto produrrebbe colui, che di nuovo dimostrasse una proposizione da Euclide dimostrata; e colui che si sforzasse di dichiarare la felicità da Aristotele già dichiarata; e colui che volesse difendere la vecchiaia già difesa da Cicerone. Il sermone di costui superfluo, più tosto partorirebbe fastidio che frutto alcuno. E come tra l'altre verità occulte e utili, la notizia della temporale Monarchia è utilissima e molto nascosa e non mai da alcuno tentata, non vi si vedendo dentro guadagno; però il proposito mio è di trarre

DANTE.

--

2.

19

est, hanc de suis enucleare latibulis: tum ut utiliter mundo pervigilem, tum et ut palmam tanti bravii primus in meam gloriam adipiscar. Arduum quidem opus et ultra vires aggredior, non tam de propria virtute confidens, quam de lumine Largitoris illius, qui dat omnibus affluenter, et non improperat.

§ II. Primum igitur videndum est, quid temporalis Monarchia dicatur, typo ut dicam, et secundum intentionem. Est ergo temporalis Monarchia, quam dicunt Imperium, unus Principatus, et super omnes in tempore, vel in iis et super iis quæ tempore mensurantur. Maxime autem de hac, tria dubitata quæruntur. Primo namque dubitatur et quæritur, an ad bene esse mundi necessaria sit. Secundo, an Romanus populus de jure Monarchiæ officium sibi asciverit. Et tertio, an auctoritas Monarchæ dependeat a Deo immediate, vel ab alio Dei ministro seu vicario. Verum quia omnis veritas, quæ non est principium, ex veritate alicujus principii fit manifesta; necesse est in qualibet quæstione habere notitiam de principio, in quod analytice recurratur, pro certitudine omnium propositionum quæ inferius assumuntur. Et quia præsens Tractatus est inquisitio quædam, ante omnia de principio scrutandum esse videtur, in cujus virtute inferiora consistant.

§ III. Est ergo sciendum, quod quædam sunt, quæ nostræ potestati minime subjacentia, speculari tantummodo possumus, operari autem non; velut Mathemathica, Physica, et Divina. Quædam vero sunt, quæ nostræ polestati subjacentia, non solum speculari, sed et operari possumus: et in iis non operatio propter speculationem, sed hæc propter illam assumitur, quoniam in talibus operatio est finis. Cum ergo materia præsens politica sit, imo fons atque principium rectarum politiarum; et omne politicum nostræ potestati subjaceat: manifestum est, quod materia præsens non ad speculationem per prius, sed ad operationem ordinatur.1

'Nella epistola allo Scaligero dice Dante lo stesso rispetto alla sua Commedia genus philosophiæ, sub quo hic in toto et parte proceditur,

est morale negolium seu ethica, quia non ad speculandum, sed ad opus, inventum est totum.

questa dalle tenebre alla luce, acciò che io m' affatichi per dare al mondo utilità, e primo la palma in questo esercizio a mia gloria conseguiti. Certamente grande opera e difficile e sopra le forze mie incomincio, confidandomi non tanto nella propria virtù, quanto nel lume di quello Donatore, che dà a ognuno abondantemente, e non rimprovera.

§ II. Prima è da vedere brievemente che cosa sia la temporale Monarchia, affinchè io dica nella forma e secondo l' intenzione. La Monarchia temporale, la quale si chiama Imperio, è uno Principato unico e sopra tutti gli altri nel tempo, ovvero in quelle cose che sono nel tempo misurate: nella quale tre dubbii si muovono: primo, si dubita e si domanda, s'ella è al bene essere del mondo necessaria; secondo, se il Romano popolo ragio-. nevolmente s' attribuì l'officio della Monarchia; terzo, se l'autorità del Monarca dipende sanza mezzo da Dio, o da alcuno ministro suo, ovvero vicario. Ma perchè ogni verità, che non è un principio, si manifesta per la verità d'alcuno principio, è necessario in ciascheduna inquisizione avere notizia del principio al quale analiticamente si ricorra per certificarsi in tutte le proposizioni che dopo quella si pigliano; e però essendo il presente Trattato una certa inquisizione, in prima è da cercare del principio, nella verità del quale le cose inferiori consistano.

§ III. È da sapere che alcune cose sono, che non sono sottoposte alla potestà nostra, le quali possiamo solamente ricercare e conoscere, ma non operarle come sono le cose di Aritmetica e Geometria, e simili, e naturali, e logiche, e divine. Altre cose sono alla nostra potestà suggette, le quali non solo conoscere, ma eziandio operare possiamo; e in queste non si piglia la operazione per la cognizione, ma la cognizione più tosto per la operazione: imperocchè in esse il fine è operare. Adunque essendo la presente materia civile, anzi fonte e principio d'ogni retta cirilità, e le cose civili essendo alla potestà nostra suggette, è manifesto che la presente materia non è principalmente alla cognizione, ma alla operazione ordinata. Ancora, perchè nelle

« ÖncekiDevam »