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DOVUNQUE S'APPOJA.

Il T., Fr., Giul. e W.: ovunque può; l'ediz. pes.: ovunque poi. I codd. d e f, ed il marc., nonchè l'ed. S. come noi. Il cod. c.: duunque.

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Si appoggia per non venir meno: come difatti nel §. XIV vedemmo il poeta appoggiarsi al muro della sala »: WITTE. S'APPOJA. LAPO GIANNI: Colei..... Cui gentilezza ed ogni ben s'appoja (Poet. primo secolo, II, p. 118). Ed è voce viva nel dialetto siciliano, donde forse la trassero i poeti fiorentini, per tradizione dei loro antecessori dell'isola: Culonna chi s'appoja l'arma mia: LIZIO-BRUNO, Canti delle Isole Eolie, p. 76.

E PER L'EBRIETÀ.

« Cioè: per l'eccesso di quel tremore che rassembra allo stato dell' ebrietà: che mi fa parere ebro »>: CARDUCCI.

LE PIETRE PAR CHE GRIDIN. LIZIANO, sono più gentili: I'ho

<< Le pietre, ne' Rispetti del Pomossi a pietà già questi sassi Ne' quali or poso il mio corpo scontento »: CARDUCCI.

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- << Invece di sorreggerlo, le pietre di quel muro, commosse dal suo tremore, vogliono vederlo morto»: WITTE. Ma il GIULIANI: <<< Insin le pietre sembra che commosse di pietà, m'implorino la morte per meno danno ».

Come si vede, i commentatori non si accordano, se le pietre sieno mosse a pietà o ad odio verso Dante. Nell' uso comune si dice: muover a pietà le pietre; e uno Strambotto popolare dice: Ho visto per pietà movere un sasso, Le pietre tramutarsi dal suo loco; ma qui mi parrebbe che il p. volesse significare come perfino le pietre gli sieno nemiche, lo respingano quand' egli, tramortito, si appoggia alle pareti. Pietre che piangono ne troviamo negli scrittori; per es. nella Vita di S. M. Maddal.: E'l pianto era tale e sì grande e si piatoso, che pareva piagnessono le pietre, con tutte le creature del mondo. E più oltre: Non tanto le persone, ma le pietre parea che piagnessono. Tuttavia, pietre che gridino formate parole di moia, moia, è forse un po' troppo.

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PECCATO FACE CHI ALLOR MI VIDE. << II Fraticelli vuol riferirlo a Beatrice, che in quel tempo non mostravasi sensibile all'affetto del poeta. Ma ciò è contrario all' esposizione del poeta stesso, dove questo verso è chiaramente riferito a persona indeterminata, ed è contrario al contesto del Sonetto ove, al v. 12, di Beatrice parlasi in seconda persona. Mi vide cioè: mi vede, conforme al lat. videt »: CARDUCCI.

- Di vide per vede adduce parecchi esempj il NANNUCCI, Anal.

crit. dei verbi, p. 737.

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PER LA PIETÀ CHE IL VOSTRO GABBO ANCIDE. << Una volta piacque la var. del cod. Antaldi nell' ediz. di Pesaro: Per la pietà che il vostro gabbo AVVEDE; la quale dava anche modo di toglier via lo antiquato vide per vede del v. 9. Anche il Fraticelli leggeva così nella sua 1.a ediz., e interpretava: « Per l' angoscia che s' accorge del vostro gabbo o scherno ». Era contrario alla esposizione di Dante. Meglio spiegò il TORRI: « Il sentimento di compassione rimane estinto (per metafora ucciso) dal vostro beffardo contegno: il qual sentimento di compassione sarebbe mosso, destato, in altri dall' aspetto affannoso che mostra la mia interna voglia di morire; se non che ognuno v'imita non solo in non commiserarmi, ma anzi nel prendere a dileggio il mio tormento »: la quale interpretazione fu poi accolta e dal Fraticelli nelle posteriori edd., e dal Giuliani » : CARDUCCI.

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VISTA MORTA II CAVALCANTI (Son. XIX) definisce il pallore mortale prodotto da angosce amorose: Quello pauroso spirito d'amore Lo qual suol apparer, quand' uom si muore. E più sotto: il morto colore.

Il WITTE :« la vista morta, l'aspetto tramortito della mia persona cria, fa nascere, ovvero dovrebbe farlo, pietà in altrui. Anzi, il non sentirne e il non manifestarla, non confortando l'alma sbigottita del poeta, o non dimostrando almeno qualche compassione pel suo stato, sarebbe peccato. Ma questa pietà, benchè nata in altrui, è uccisa dal gabbo, dal beffarsi che Beatrice ne fa colle sue compagne ». E il TODESCHINI dice che bisogna « supporre fra l'uno e l'altro terzetto la elissi di una idea, che l' a. non voleva chiaramente esprimere. E pertanto ecco come io la intendo: Fa peccato chi vedendomi non mi dà qualche conforto col mostrarmi compassione: ma di ciò avete colpa voi, perchè il vostro gabbarmi estingue in altrui quella pietà che nascerebbe dal tristissimo aspetto degli occhi miei >>.

FORSE VEDREBBONO QUESTA PIETÀ. « L'ediz. pes.: chiuderebbero: il Rajna propose leggere pièta anzichè pietà, cioè aspetto compassionevole, pietosa vista, tanto qui come nel verso 12. Ma se pièta starebbe bene qui, non ci sembra altrettanto nel Sonetto. Il cod. b legge: pietosa scorta, ma non intendiamo ciò che voglia dire. Forse il passo è corrotto per tanta pietà e pietosa che vi occorre, e probabilmente doveva qui ritornare pietosa vista addirittura. Del resto, sebbene il Giuliani richiami qui l'attenzione del lettore su l'arte di Dante, ci par piuttosto dover dire col

TODESCHINI che da un simil Sonetto niuno avrebbe «saputo mai prevedere, che l'autore doveva dettare in età più tarda uno de' più alti poemi del mondo ».

Appresso ciò che io dissi questo Sonetto, mi mosse una § XVI. volontà di dire anche parole, nelle quali dicessi quattro cose ancora sopra il mio stato, le quali non mi parea che fossero manifestate ancora per me. La prima delle quali si è, che molte volte io mi dolea, quando la mia memoria movesse la fantasia ad imaginare quale Amor mi facea; la seconda si è, che Amore spesse volte di subito m'assalìa sì forte, che in me non rimanea altro di vita se non un pensiero, che parlava di questa donna; la terza si è, che quando questa battaglia d'Amore mi pugnava così, io mi movea, quasi discolorito tutto, per veder questa donna, credendo che mi difendesse la sua veduta da questa battaglia, dimenticando quello che per appropinquare a tanta gentilezza m'addivenia; la quarta si è, come cotal veduta non solamente non mi difendea, ma finalmente disconfiggeva la mia poca vita; e però dissi questo Sonetto: Spesse fïate vegnonmi alla mente

L'oscure qualità ch' Amor mi dona;
E vienmene pietà sì, che sovente
Io dico: lasso! avvien egli a persona?
Ch' Amor m' assale subitanamente

Si, che la vita quasi m'abbandona:
Campami un spirto vivo solamente,
E quei riman, perchè di voi ragiona.
Poscia mi sforzo, chè mi voglio atare;

E così smorto, e d'ogni valor vôto,
Vegno a vedervi, credendo guarire:
E se io levo gli occhi per guardare,
Nel cor mi si comincia uno tremoto,
Che fa de' polsi l'anima partire.

Questo Sonetto si divide in quattro parti, secondo che quattro cose sono in esso narrate: e però che sono esse ragionate di sopra, non m'intrametto se non di distinguere le parti per li loro cominciamenti: onde dico che la seconda parte comincia quivi: Ch'Amor; la terza quivi: Poscia mi sforzo; la quarta: E se io levo.

APPRESSO CIÒ CHE IO DISSI QUESTO SONETTO. Il Fr., Giul. e T. pongono virgola dopo dissi, come fosse il Sonetto che lo mosse a volontà di dire anche parole. Il W. segue come facciamo noi la volgata, e il Todeschini aderendovi, pone a raffronto il principio del §. XXI: Poscia che io trattai d'amore nella soprascritta rima, vennemi voglia di dire anche parole.

QUATTRO COSE.

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<< Sono gli stessi pensieri che formano il son. anteced., e non si vede troppo bene perchè l'a. ascriva al presente §. quattro cose, le quali non mi parea che fossero manifestate ancora per me »: WITTE.

BATTAGLIA D'AMORE. - GUIDO GUINICELLI: Ed io dallo suo amor sono assalito Con si fiera battaglia di sospiri Che contro a lei di gir non saria ardito. GUIDO CAVALCANTI (Son XXIV): L'anima mia vilmente è sbigottita Della battaglia ch' ella sente al core. E anche (ibid.): Per gli occhi venne la battaglia pria. E Son. IX: La nova donna a cui mercede io chieggio Questa battaglia di dolor mantiene. E Canz. II: La mia virtù si parti sconsolata, Poichè lasciò lo core Alla battaglia ove Madonna è stata.

L'OSCURE QUALITÀ. « Il tremor del cuore, la pallidezza del viso, il venir meno degli spiriti sensitivi, e generalmente la schernevole sua vista. Dona in senso di dà, che si dice anche delle cose spiacevoli »: WITTE.

-

Nel Son. del §. xxxvI: La qualità della mia vita oscura, cioè angosciosa, trista come ogni cosa priva di luce.

AVVIEN EGLI A PERSONA?

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<< Sottintendi: ciò che avviene a me? Qual è che si trovi mai in un così compassionevole stato?»: GIULIANI.

UNO TREMOTO. << La volg:: Un terremoto. Forse qui tremoto è in vece di tremito, formato al medesimo modo che tremolare, tremore: non bene, ma amo meglio di credere che Dante formasse di testa questo nuovo vocabolo, di quello ch' e' pensasse alla truffaldinesca metafora del terremoto »: CARDUCCI.

Poi che io dissi questi tre Sonetti, ne' quali parlai a questa § XVII. donna, però che furo narratori di tutto quasi lo mio stato, credendomi tacere e non dir più, però che mi parea avere di me assai manifestato, avvegna che sempre poi tacessi di dire a lei, a me convenne ripigliare materia nova e più nobile che la passata. E però che la cagione della nova materia è dilettevole a udire, la dirò quanto potrò più brevemente.

CREDENDOMI.- Il T. il Fr. e il G. seguendo l' ediz. pes.: credeimi, e fanno punto a manifestato. Ma poichè, dice il RAJNA « tutti i codd. non che le ediz. ant. recano il gerundio, non vediamo ragione alcuna di sostituire il perfetto cogli edd. pes. Piuttosto che migliorare, la loro lezione guasta il testo. Se l' avvegna che dovesse qui stare in principio di periodo, gli si sarebbe preposto, se ben si guarda, un e, ma, o qualcosa di simile ». Anche il TODESCHINI opina << doversi tornare al credendomi della volgata, e quindi segnare non altro che punto e virgola dopo manifestato. Se si pongano per un momento da banda i due incisi però che furono ecc. avvegna che sempre ecc. (i quali rimessi al luogo loro non recano veruna alterazione al costrutto) si scorgerà limpidamente, che la lezione comune non lascia già sospeso il discorso, anzi ce l'offre meglio tessuto. Ciò che in questo periodo mi dà noja è il primo però che, ch'io cangerei volentieri in e che, ovvero ed i quali ». CREDENDOMI TACERE E NON DIR PIU. Se Dante non avesse fatto intendere sul bel principio della V. N. di voler in essa raccogliere soltanto alcune delle poesie scritte per Beatrice, probabilmente innanzi a questo luogo, donde comincia materia nova e più nobile che la passata, avrebbero trovato posto alcuni componimenti che leggonsi nel suo Canzoniere. Diremo quali sono le rime che, secondo noi, spettano a questo primo periodo della vita, dell'amore e dell'arte di Dante.

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In primo luogo il bel Sonetto: Guido, vorrei che tu e Lapo ed io, che ha tutto l'ardore e il sereno entusiasmo della gioventù. Esso fu certo scritto contemporaneamente o poco dopo al Serventese in lode delle sessanta belle fiorentine: dappoichè l'amata di Lapo vi è designata appunto col numero che le spetta in quello. Vi si cantano, con nota soave e melanconica, i piaceri dell' amore più remoti dalla materia e dal senso, e quali può trovarli una vi

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