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e non a contastar sua graziosa ovra;
chè nulla cosa gli è incontro possente,
volendo prender om con lui battaglia.

XLVIII.

A LIPPO (PASCI DEI BARDI ?)

PER ACCOMPAGNARGLI LA STANZA CHE SEGUE.

Se Lippo amico se' tu che mi leggi,
davanti che proveggi

a le parole che dir ti prometto,

da parte di colui che mi t'ha scritto
in tua balia mi metto

e recoti salute quali eleggi.

Per tuo onor audir prego mi deggi
e con l'udir richeggi

ad ascoltar la mente e lo 'ntelletto :
io che m' appello umile sonetto,
davanti al tuo cospetto

vegno, perchè al non caler [non] feggi.
Lo qual ti guido esta pulcella nuda,

che ven di dietro a me sì vergognosa,
ch' a torno gir non osa,

perch' ella non ha vesta in che si chiuda :

e priego il gentil cor che 'n te riposa
che la rivesta e tegnala per druda,

sì che sia conosciuda

e possa andar là 'vunque è disiosa.

XLIX.

Lo meo servente core

vi raccomandi Amor, [che] vi l'ha dato,

e Merzè d' altro lato

di me vi rechi alcuna rimembranza ;

chè del vostro valore

avanti ch' io mi sia guari allungato,

mi tien già confortato

di ritornar la mia dolce speranza.
Deo, quanto fie poca addimoranza,
secondo il mio parvente!

chè mi volge sovente

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la mente

per mirar vostra sembianza : per che ne lo meo gire e addimorando, gentil mia donna, a voi mi raccomando.

L.

La dispietata mente, che pur mira
di retro al tempo che se n'è andato,
da l' un de' lati mi combatte il core;
e'l disio amoroso, che mi tira

ver lo dolce paese c'ho lasciato,
d'altra part'è con la forza d'Amore;
nè dentro i' sento tanto di valore,
che lungiamente i' possa far difesa,
gentil madonna, se da voi non vene:
però, se a voi convene

ad iscampo di lui mai fare impresa,
piacciavi di mandar vostra salute,
che sia conforto de la sua virtute.
Piacciavi, donna mia, non venir meno
a questo punto al cor che tanto v' ama,
poi sol da voi lo suo soccorso attende;
chè buon signor già non ristringe freno
per soccorrer lo servo quando 'l chiama,
chè non pur lui, ma suo onor difende.
E certo la sua doglia più m'incende,
quand' i' mi penso ben, donna, che vui
per man d'Amor là entro pinta sete:
così e voi dovete

vie maggiormente aver cura di lui;

chè que' da cui convien che 'l ben s'appari, per l'imagine sua ne tien più cari.

Se dir voleste, dolce mia speranza,

di dare indugio a quel ch'io vi domando,
sacciate che l' attender io non posso;
ch' i' sono al fine de la mia possanza.
E ciò conoscer voi dovete, quando
l'ultima speme a cercar mi son mosso;
chè tutti incarchi sostenere a dosso
de' l'uomo infin al peso ch'è mortale,
prima che 'l suo maggiore amico provi,
poi non sa qual lo trovi :

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che già mai pace non farò con elli;
poi tanto furo, che ciò che sentire
doveano a ragion senza veduta,
non conobber vedendo; onde dolenti
son li miei spirti per lo lor fallire,
e dico ben, se'l voler non mi muta,

ch'eo stesso li uccidrò que' scanoscenti !

LII.

DANTE A GUIDO CAVALCANTI.

Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento

e messi in un vasel, ch'ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio ;
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse 'l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore :
e quivi ragionar sempre d'amore,

e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi.

LIII.

RISPOSTA DI GUIDO.

S'io fosse quelli che d'amor fu degno,
del qual non trovo sol che rimembranza,
e la donna tenesse altra sembianza,
assai mi piaceria sì fatto legno.

E tu, che se' de l'amoroso regno

là onde di merzè nasce speranza,
riguarda se'l mio spirito ha pesanza,
ch' un prest' arcier di lui ha fatto segno,
e tragge l'arco che li tese Amore,

si lietamente, che la sua persona
par che di gioco porti signoria.
Or odi maraviglia ch' el disia :
lo spirito fedito li perdona,
vedendo che li strugge il suo valore.

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LIV.

GUIDO CAVALCANTI A DANTE.

Se vedi Amore, assai ti priego, Dante,
in parte là've Lapo sia presente,

che non ti gravi di por sì la mente,
che mi riscrivi s'e' lo chiama amante,
e se la donna li sembla avenante
che si le mostr' avvinto fortemente ;
chè molte fiate così fatta gente
suol per gravezza d'amor far sembiante.
Tu sai che ne la corte là've regna
non vi può servir omo che sia vile
a donna che là entro sia renduta.
Se la soffrenza lo servente aiuta,
può di leggier cognoscer nostro sire,
lo quale porta di merzede insegna.

LV.

GUIDO CAVALCANTI A DANTE.

Dante, un sospiro messaggier del core
subitamente m'assali in dormendo,
e io mi disvegliai allor temendo
ched e' non fosse in compagnia d'Amore.
Poi mi girai, e vidi il servitore
di monna Lagia, che venia dicendo:
« Aiutami, Pietà! » sì che piangendo
i' presi di Merzè tanto valore,

ch' i' giunsi Amore, ch' affilava i dardi.
Allor lo domandai del suo tormento;
ed elli mi rispuose in questa guisa :
« Di al servente che la donna è prisa,
e tengola per far suo piacimento;

e se nol crede, dì ch'a li occhi guardi ».

LVI.

Per una ghirlandetta
ch' io vidi, mi farà
sospirare ogni fiore.

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