Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira. Nell' armi e ne' perigli
Qual tanto amor le giovanette menti, Qual nell' acerbo fato amor vi trasse ? Come si lieta, o figli,
L'ora estrema vi parve, onde ridenti Correste al passo lacrimoso e duro?
Parea ch'a danza e non a morte andasse Ciascun de' vostri, o a splendido convito : Ma v'attendea lo scuro
Tartaro, e l'onda morta;
Nè le spose vi foro o i figli accanto Quando su l'aspro lito
Senza baci moriste e senza pianto.
Ma non senza de' Persi orrida pena Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra Or salta a quello in tergo e sì gli scava Con le zanne la schiena,
Or questo fianco addenta or quella coscia : Tal fra le Perse torme infurïava L'ira de' greci petti e la virtute. Ve' cavalli supini e cavalieri; Vedi intralciare ai vinti
La fuga i carri e le tende cadute, E correr fra' primieri Pallido e scapigliato esso tiranno; Ve' come infusi e tinti
Del barbarico sangue i greci eroi, Cagione ai Persi d' infinito affanno, A poco a poco vinti dalle piaghe, L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva: Beatissimi voi
Mentre nel mondo si favelli o scriva.
Prima divelte, in mar precipitando, Spinte nell' imo strideran le stelle, Che la memoria e il vostro
CHE SI PREPARAVA IN FIRENZE,
PERCHÈ le nostre genti
Pace sotto le bianche ali raccolga, Non fien da' lacci sciolte Dell'antico sopor l'itale menti S'ai patrii esempi della prisca etade Questa terra fatal non si rivolga. O Italia, a cor ti stia
Far ai passati onor; che d'altrettali Oggi vedove son le tue contrade, Ne v'è chi d'onorar ti si convegna. Volgiti indietro, e guarda, o patria mia, Quella schiera infinita d'immortali, E piangi e di stessa ti disdegna; Che senza sdegno omai la doglia è stolta : Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti, E ti punga una volta
Pensier degli avi nostri e de' nepoti.
D'aria e d'ingegno e di parlar diverso Per lo toscano suol cercando gía L'ospite desioso
Dove giaccia colui per lo cui verso Il meonio cantor non è più solo. Ed, oh vergogna! udia
Che non che il cener freddo e l'ossa nude Giaccian esuli ancora
Dopo il funereo di sott'altro suolo, Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, Firenze, a quello per la cui virtude Tutto il mondo t' onora.
Oh voi pietosi, onde si tristo e basso Obbrobrio laverà nostro paese!
Bell' opra hai tolta e di ch' amor ti rende, Schiera prode e cortese,
Qualunque petto amor d'Italia accende.
Amor d'Italia, o cari,
Amor di questa misera vi sproni, Ver cui pietade è morta
In ogni petto omai, perciò che amari Giorni dopo il seren dato n'ha il cielo. Spirti v'aggiunga e vostra opra coroni Misericordia, o figli,
E duolo e sdegno di cotanto affanno Onde bagna costei le guance e il velo. Ma voi di quale ornar parola o canto Si debbe, a cui non pur cure o consigli
Ma dell'ingegno e della man daranno I sensi e le virtudi eterno vanto Oprate e mostre nella dolce impresa? Quali a voi note invio, sì che nel core, Si che nell' alma accesa
Nova favilla indurre abbian valore?
Voi spirerà l'altissimo subbietto, Ed acri punte premeravvi al seno. Chi dirà l'onda e il turbo
Del furor vostro e dell'immenso affetto? Chi pingerà l'attonito sembiante? Chi degli occhi il baleno?
Qual può voce mortal celeste cosa Agguagliar figurando?
Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante Lacrime al nobil sasso Italia serba ! Come cadrà? come dal tempo rosa Fia vostra gloria o quando? Voi, di ch'il nostro mal si disacerba, Sempre vivete, o care arti divine, Conforto a nostra sventurata gente, Fra l'itale ruine
Gl'itali pregi a celebrare intente.
Ecco voglioso anch' io
A onorar nostra dolente madre Porto quel che mi lice,
E mesco all' opra vostra il canto mio,
Sedendo u' vostro ferro i marmi avviva. O dell' etrusco metro inclito padre, Se di cosa terrena,
Se di costei che tanto alto locasti Qualche novella ai vostri lidi arriva, lo so ben che per te gioia non senti, Che saldi men che cera e men ch' arena, Verso la fama che di te lasciasti,
Son bronzi e marmi; e dalle nostre menti Se mai cadesti ancor, s'unqua cadrai, Cresca, se crescer può, nostra sciaura, E in sempiterni guai
Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura. Ma non per te; per questa ti rallegri Povera patria tua, s'unqua l' esempio Degli avi e de' parenti
Ponga ne' figli sonnacchiosi ed egri Tanto valor che un tratto alzino il viso. Ahi, da che lungo scempio
Vedi guasta colei che si meschina Te salutava allora
Che di novo salisti al paradiso ! Oggi ridotta si che a quel che vedi, Fu fortunata allor donna e reina. Tal miseria l'accora
Qual tu forse vedendo a te non credi. Taccio gli altri nemici e l'altre doglie ;
Ma non la più recente e la più fera, Per cui presso alle soglie
Vide la patria tua l'ultima sera.
Beato te che il fato
A viver non dannò fra tanto orro Che non vedesti in braccio L'itala moglie a barbaro soldato Non predar, non guastar cittadi e colti L'asta inimica e il peregrin furore; Non degl' itali ingegni
Tratte l'opre divine a miseranda Schiavitude oltre l'alpe, e non de' folti Carri impedita la dolente via ;
Non gli aspri cenni ed i superbi regni; Non udisti gli oltraggi e la nefanda Voce di libertà che ne schernia Tra il suon delle catene e de' flagelli. Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto Che lasciaron quei felli?
Qual tempio, quale altare o qual misfatto?
Perchè venimmo a sì perversi tempi? Perchè il nascer ne desti o perchè prima Non ne desti il morire,
Acerbo fato? onde a stranieri ed empi Nostra patria vedendo ancella e schiava, E da mordace lima
Roder la sua virtù, di null' aita E di nullo conforto
Lo spietato dolor che la stracciava Ammollir ne fu dato in parte alcuna. Ahi non il sangue nostro e non la vita Avesti, o cara, e morto
Io non son per la tua cruda fortuna. Qui l'ira al cor, qui la pietade abbonda : Pugnò, cadde gran parte anche di noi : Ma per la moribonda
Italia no; per li tiranni suoi.
Padre, se non ti sdegni,
Mutato sei da quel che fosti in terra. Morian per le rutene
Squallide piagge, ahi d'altra morte degni, Gl'itali prodi; e lor fea l' aere e il cielo E gli uomini e le belve immensa guerra. Cadeano a squadre a squadre Semivestiti, maceri e cruenti, Ed era letto agli egri corpi il gelo. Allor, quando traean l'ultime pene, Membrando questa desiata madre, Diceano : oh non le nubi e non i venti, Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene, O patria nostra. Ecco da te rimoti, Quando più bella a noi l'età sorride, A tutto il mondo ignoti,
Moriam per quella gente che t'uccide.
Di lor querela il boreal deserto E conscie fur le sibilanti selve. Cosi vennero al passo,
E i negletti cadaveri all'aperto Su per quello di neve orrido mare Dilacerar le belve;
E sarà il nome degli egregi e forti Pari mai sempre ed uno
Con quel de' tardi e vili. Anime care, Bench' infinita sia vostra sciagura, Datevi pace; e questo vi conforti Che conforto nessuno Avrete in questa o nell' età futura. In seno al vostro smisurato affanno Posate, o di costei veraci figli, Al cui supremo danno
Il vostro solo è tal che s'assomigli. Di voi già non si lagna
La patria vostra, ma di chi vi spinse A pugnar contra lei,
Si ch'ella sempre amaramente piagna E il suo col vostro lacrimar confonda. Oh di costei che tanta verga strinse Pietà nascesse in core
A tal de' suoi ch'affaticata e lenta Di si buia vorago e si profonda La ritraesse! Oh glorioso spirto, Dimmi d'Italia tua morto è l'amore?
Di: quella fiamma che t' accese, è spenta? Di: nè più mai rinverdirà quel mirto Ch'alleggio per gran tempo il nostro male? Nostre corone al suol fien tutte sparte? Nè sorgerà mai tale
Che ti rassembri in qualsivoglia parte? In eterno perimmo? e il nostro scorno Non ha verun confine?
Io mentre viva andrò sclamando intorno, Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio; Mira queste ruine
E le carte e le tele e i marmi e i templi; Pensa qual terra premi; e se destarti Non può la luce di cotanti esempli, Che stai ? levati e parti.
Non si conviene a sì corrotta usanza Questa d'animi eccelsi altrice e scola : Se di codardi è stanza,
Meglio l'è rimaner vedova e sola.
QUAND' EBBE TROVATO I LIBRI DI CICERONE DELLA REPUBBLICA.
ITALO ardito, a che giammai non posi Di svegliar dalle tombe
I nostri padri ? ed a parlar gli meni A questo secol morto, al quale incombe Tanta nebbia di tedio? E come or vieni Si forte a' nostri orecchi e sì frequente, Voce antica de' nostri,
Muta si lunga etade ? e perchè tanti Risorgimenti? in un balen feconde Venner le carte ; alla stagion presente I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi Detti degli avi. E che valor t'infonde Italo egregio, il fato? O con l'umano Valor forse contrasta il fato invano?
Certo senza de' numi alto consiglio Non è ch'ove più lento
grave è il nostro disperato obblio, A percoter ne rieda ogni momento Novo grido de' padri. Ancora è pio Dunque all'Italia il cielo ; anco si cura Di noi qualche immortale :
Ch' essendo questa o nessun' altra poi L'ora da ripor mano alla virtude Rugginosa dell' itala natura, Veggiam che tanto e tale
È il clamor de' sepolti, e che gli eroi Dimenticati il suol quasi dischiude, A ricercar s'a questa età si tarda Anco ti giovi, o patria, esser codarda.
Di noi serbate, o gloriosi, ancora Qualche speranza? in tutto Non siam periti? A voi forse il futuro Conoscer non si toglie. Io son distrutto Nè schermo alcuno ho dal dolor, che scuro M'è l'avvenire, e tutto quanto io scerno È tal che sogno e fola
Fa parer la sperenza. Anime prodi, Ai tetti vostri inonorata, immonda
Plebe successe; al vostro sangue è scherno E d'opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne lodi
Nè rossor più nè invidia; ozio circonda
I monumenti vostri ; e di viltade
Siam fatti esempio alla futura etade.
Bennato ingegno, or quando altrui non De' nostri alti parenti, [cale
A te ne caglia, a te cui fato aspira Benigno si che per tua man presenti Paion que' giorni allor che dalla dira Obblivione antica ergean la chioma, Con gli studi sepolti,
I vetusti divini, a cui natura Parlò senza svelarsi, onde i riposi Magnanimi allegràr d'Atene e Roma. Oh tempi, o tempi avvolti
In sonno eterno! Allora anco immatura La ruina d'Italia, anco sdegnosi Eravam d'ozio turpe, e l'aura a volo Più faville rapia da questo suolo.
Eran calde le tue ceneri sante, Non domito nemico
Della fortuna, al cui sdegno e dolore Fu più l'averno che la terra amico. L'averno e qual non è parte migliore Di questa nostra ? E le tue dolci corde Susurravano ancora
Dal tocco di tua destra, o sfortunato Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce L'italo canto. E pur men grava e morde Il mal che n' addolora
Del tedio che n' affoga. Oh te beato, A cui fu vita il pianto! A noi le fasce Cinse il fastidio; a noi presso la culla Immoto siede, e su la tomba, il nulla. Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, Ligure ardita prole,
Quand' oltre alle colonne, ed oltre ai liti Cui strider l'onde all' attuffar del sole Parve udir su la sera (2), agl' infiniti Flutti commessso, ritrovasti il raggio Del Sol caduto, e il giorno
[do; Che nasce allor ch'ai nostri è giunto al fon- E rotto di natura ogni contrasto, Ignota immensa terra al tuo viaggio Fu gloria, e del ritorno
Airischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto L'etra sonante e l'alma terra e il mare Al fanciullin, che non al saggio, appare. Nostri sogni leggiadri ove son giti Dell' ignoto ricetto
D' ignoti abitatori, o del diurno Degli astri albergo, e del rimoto letto Della giovane Aurora, e del notturno Occulto sonno del maggior pianeta (3)? Ecco svaniro a un punto,
E figurato è il mondo in breve carta ; Ecco tutto è simile, e discoprendo,
Solo il nulla s' accresce. A noi ti vieta Il vero appena è giunto,
O caro immaginar; da te s'apparta Nostra mente in eterno; allo stupendo Poter tuo primo ne sottraggon gli anni; E il conforto peri de' nostri allanni.
Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo Sole splendeati in vista,
Cantor vago dell' arme e degli amori, Che in età della nostra assai men trista Empiêr la vita di felici errori ; Nova speme d'Italia. O torri, o celle, O donne, o cavalieri,
O giardini, o palagi! a voi pensando, In mille vane amenità si perde La mente mia. Di vanità, di belle Fole e strani pensieri
Si componea l'umana vita: in bando Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde
È spogliato alle cose? Il certo è solo
Veder che tutto è vano altro che il duolo.
OTorquato, o Torquato, a noi l'eccelsa Tua mente allora, il pianto
A te, non altro, preparava il cielo. Oh misero Torquato! il dolce canto Non valse a consolarti o a sciorre il gelo Onde l'alma t'avean, ch' era sì calda, Cinta l'odio e l'immondo
Livor privato e de' tiranni. Amore, Amor, di nostra vita ultimo inganno, T'abbandonava. Ombra reale e salda Ti parve il nulla, e il mondo
Inabitata piaggia. Al tardo onore (4) [no, Non sorser gli occhi tuoi ; mercè, non dan- L'ora estrema ti fu. Morte domanda Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda. Torna torna fra noi, sorgi dal muto E sconsolato avello,
Se d'angoscia sei vago, o miserando Esemplo di sciagura. Assai da quello Che ti parve si mesto e nefando, È peggiorato il viver nostro. O caro, Chi ti compiangeria,
Se, fuor che di se stesso, altri non cura? Chi stolto non direbbe il tuo mortale Affanno anche oggidì, se il grande e il raro Ha nome di follia;
Ne livor più, ma ben di lui più dura La noncuranza avviene ai sommi? o quale, Se più de' carmi, il computar s' ascolta, Ti appresterebbe il lauro un' altra volta?
Da te fino a quest' ora uom non è sorto, O sventurato ingegno,
Pari all'italo nome, altro ch' un solo, Solo di sua codarda etate indegno Allobrogo feroce, a cui dal polo Maschia virtù, non già da questa mia Stanca ed arida terra,
Venne nel petto; onde privato, inerme, (Memorando ardimento) in su la scena Mosse guerra a' tiranni : almen si dia Questa misera guerra
E questo vano campo all'ire inferme Del mondo. Ei primo e sol dentro all'arena Scese, e nullo il segui, che l' ozio e il brutto Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto. Disdegnando e fremendo, immacolata Trasse la vita intera,
E morte lo scampò dal veder peggio. Vittorio mio, questa per te non era Età ne suolo. Altri anni ed altro seggio Conviene agli alti ingegni. Or di riposo Paghi viviamo, e scorti
Da mediocrità: sceso il sapiente
E salita è la turba a un sol confine, [so, Che il mondo agguaglia. O scopritor famoSegui; risveglia i morti,
Poi che dormono i vivi; arma le spente Lingue de' prischi eroi; tanto che in fine Questo secol di fango o vita agogni
E ad atti illustri, o si vergogni. sorga
Poi che del patrio nido
I silenzi lasciando, e le beate Larve e l'antico error, celeste dono, Ch' abbella agli occhi tuoi quest'ermo lido, Te nella polve della vita e il suono Tragge il destin; l'obbrobriosa etate Che il duro ciclo a noi prescrisse impara, Sorella mia, che in gravi E luttuosi tempi L'infelice famiglia all' infelice Italia accrescerai. Di forti esempi Al tuo sangue provvedi. Aure soavi L'empio fato interdice All'umana virtude,
Nè pura in gracil petto alma si chiude. O miseri o codardi
Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso Tra fortuna e valor dissidio pose
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi, E nella sera dell' umane cose, Acquista oggi chi nasce il moto e il senso. Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda Questa sovr'ogni cura,
Che di fortuna amici
Non crescano i tuoi figli, e non di vile Timor gioco o di speme: onde felici Sarete detti nell' età futura: Poichè (nefando stile, Di schiatta ignava e finta)
Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta. Donne, da voi non poco
La patria aspetta, e non in danno escorno Dell' umana progenie al dolce raggio Delle pupille vostre il ferro e il foco Domar fu dato. A senno vostro il saggio E il forte adopra e pensa ; e quanto il giorno Col divo carro accerchia, a voi s'inchina. Ragion di nostra etate
Io chieggo a voi. La santa
Fiamma di gioventù dunque si spegne Per vostra mano? attenuata e franta Da voi nostra natura? e le assonnate Menti, e le voglie indegne,
E di nervi e di polpe
Scemo il valor natio, son vostre colpe?
Ad atti egregi è sprone
Amor, chi ben l'estima, e d'alto affetto Maestra è la beltà. D'amor digiuna Siede l'alma di quello a cui nel petto Non si rallegra il cor quando a tenzone Scendono i venti, e quando nembi aduna L'olimpo, e fiede le montagne il rombo Della procella. O spose,
Chi de' perigli è schivo, e quei che indegno È della patria e che sue brame e suoi Volgari affetti in basso loco pose, Odio mova e disdegno;
Se nel femmineo core
D'uomini ardea, non di fanciulle, amore, Madri d'imbelle prole
V'incresca esser nomate. I danni e il pianto Della virtude a tollerar s'avvezzi
La stirpe vostra, e quel che pregia e cole La vergognosa età, condanni e sprezzi; Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto Agli avi suoi deggia la terra impari. Qual de' vetusti eroi
Tra le memorie e il grido
Crescean di Sparta i figli al greco nome; Finchè la sposa giovanetta il fido Brando cingeva al caro lato, e poi
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