me è tale, che non potrebbe essere adeguatamente significato per parole rimate, quali ch' elle si fossero. 7 ritemi. Il verbo ritemere non vale qui temer di nuovo, ma il semplice temere, come talvolta ricacciare, ricavare, rimettere ec., valgono il semplice cacciare, cavare, mettere ec. 8 scorza a scorza, brano a brano. 9 Intendi: Com' io temo, ho paura di palesare altrui il nome di colei, che a ciò fare ti consente la forza? cioè il nome della donna amata. 10 Intendi: Perciocchè qualora io penso di questa donna in luogo, ove alcuno possa indurre lo sguardo, più mi trema il core (per tema non traluca e venga a discuoprirsi il mio pensiero), che io non temo della morte, la quale co' denti d'Amore già mi consuma ogni facoltà sensitiva: lo che nel pensiero affievolisce la mia virtù Brusi, che d'essa allenta l'opera. ca. Brucare è qui figuratamente usato da Dante per affievolire, consumare, e non per tor via, siccome dice il Vocabolario. Infatti dicesi brucare il gelso per ispogliarlo delle sue foglie, similitudine presa dal bruco, che di esse foglie si pasce. 11 Mercè chiamando, implorando pietà, compassione. 12 messo al niego, messo sulla negativa. 13 sfida, toglie d'ogni fidanza, rende disperata. 14 d'ogni guizzo stanco, cioè, impotente a fare il più piccolo movimento. 15 strida, affanni, tormenti. Cosi nella canz. V, stanza 2. 16 S'egli alza, sottintendi la mano per ferirmi. 17 dà nel Sol, quanto nel rezzo, cioè, dà nel caldo quanto nel freddo, e probabilmente con questa metafora ha voluto significare ch'ella si conteneva in egual modo si nell' estate, che nell' inverno. 18 Intendi: Perchè non grida per cagion mia, com'io grido per cagion sua nel cocente baratro d'Amore? 19 farel, vale fare'l o lo farei. 20 sazieremi, saziereimi, mi sazierei. 21 anzi terza, innanzi l'ora terza, cioè, la mattina. 22 le squille, il suono dell' Avemaria, cioè, la sera. 23 anciso, piagato, ferito mortalmente, dal lat. incisus, sebbene ancidere abbia talvolta il significato d'uccidere. 24 Quello, ond' io ho più gola, vale a dire, il poter vagheggiare il sembiante di lei, avendo egli scritto questa canzone per vendicar lo fuggir che ella face. SONETTO XXXII. lo maledico il dì ch' io vidi in prima C'ha pulito i miei detti, e i bei colori, Ch'io ho per voi trovati e messi in rima, Per far che il mondo mai sempre v'onori. E maledico la mia mente dura, Che ferma è di tener quel che m'uccide, Sicchè ciascun di lui e di me ride, Che credo tor la ruota alla ventura. Questo sonetto vedesi nelle stampe or col nome di Dante, or con quello di Cino. Con quello di Cino sta nelle edizioni di Faustino Tasso e del Ciampi, non peraltro nella più antica del Pilli; con quello di Dante sta nella raccolta giuntina a c. 19 retro, in tutte le successive ristampe, e nel codice 49 Plut. XL della Laurenziana. Dal Quadrio, dal Dionisi e dal Ginguené fu ritenuto siccome di Dante: anzi quest'ultimo sì l'esaltò, che disselo uno de' più notevoli del Canzoniere dantesco pel tuono caldo e passionato. Infatti i modi che in questo sonetto s'osservano sono sì conformi a quelli usati altrove da Dante, che accrescono la probabilità, che ad esso, piuttosto che a Cino, appartenga. Qui dice: ed altrove (sonetto XLII): « Due donne in cima della mente mia Venute sono... Qui dice pure: l'amorosa lima, C' ha pulito i miei detti, e i bei colori, ed altrove (nella Professione di fede): Che ferma è di tener quel che m' uccide: ed altrove (canz. XI, stan. 1): La mente mia, ch' è più dura che pietra Qui dice finalmente: la bella e rea vostra figura; » ed altrove (canz. VIII, stan. 2): Com' ella è bella e ria 1 si spergiura, si fa spergiuro: tale almeno è il significato, che gli assegna il Vocabolario. Ma io credo che il verbo spergiurare o spergiurarsi sia qui usato metaforicamente, e valga bestemmiare, come vale nel seguente esempio del Boccaccio, Fiam.: Come non discendono le folgori sopra il pessimo giovane, acciocchè gli altri per innanzi di spergiurarti abbiano temenza? lo dunque intenderei: per cagion della quale vostra bella e rea figura anco Amore bestemmia e vi maledice, cosicchè ciascheduno ride d'Amore e di me, che ci vede imbestialiti. Così i concetti de' due versi si legano molto meglio, che dando a spergiurarsi il significato di farsi spergiuro, Anche i compilatori del Vocabolario di Bologna, a questa voce citano il presente sonetto non come di Cino, ma come di Dante. 2 e di me ride, Che credo tor la ructa alla ventura, vale a dire: e ride di me, che credo poter impedire alla fortuna di volgere a suo talento la ruota, e quindi non rimaner io più sottoposto al tirannico capriccio di lei. 3 L'expression dans ce sonnet n'est pas toujours naturelle, il s'en faut bien; mais le mouvement est passionné, c'est beaucoup. Nell'Histoire littér. d'Italie, chap. VII. BALLATA VI. Donne, io non so di che mi preghi Amore, Un lume da' begli occhi, ond' io son vago, Vero è che ad or ad or d'ivi discende Dal cor, pria che sia spenta.2 Ciò face Amor qual volta mi rammenta Che dovria la mia vita far sicura. Questa ballata fu col nome di Dante impressa nell'edizione giuntina a c. 19 retro, ed in tutte le successive ristampe. Francesco Trucchi, che pubblicò una raccolta di antiche Poesie inedite di dugento Autori Italiani (4 vol. in 8°, Prato 1846), la trasse dal codice riccardiano 2317, e la produsse (credendola inedita) sotto nome d'Andrea Lancia, a cui il detto codice l'attribuisce. Essa ha quivi due stanze d'avvantaggio: ma oltrechè queste non ben corrispondono alle due antecedenti, che formano di per sè stesse un componimento compiuto,, sono a quelle molto inferiori nella dicitura e nello stile. Ond'io sospettando a buon dritto d'alterazione, credo dovermi attenere ai Giunti, riproducendola col nome di Dante Alighieri, e nella forma in che da essi fu data. 1 Intendi: Donne, io non so di che cosa mi debba pregare Amore, perciocchè egli mi uccide, e la morte mi è incresciosa; eppure, più della morte, ho paura di sentirlo in me venir meno, ovvero, di provarne in me minore la forza. 2 Costruisci: Discende una saetta infuocata, che, prima che sia spenta, m'asciuga dal core un lago di lacrime. BALLATA VII. Madonna, quel signor, che voi portate Che voi sarete amica di pietate. 2 A sè, come a principio c'ha possanza.3 Se non fosse ch' Amore Contr' ogni avversità le dà valore Con la sua vista, e con la rimembranza Che di nuovo colore Cerchiò la mente mia, Mercè di vostra dolce cortesia. Da un codice cartaceo in fol. del secolo XVI, appartenuto già al p. abate Alessandri della Badia fiorentina, l' ab. Luigi Fiacchi trasse con altri poetici componimenti la ballata presente, e pubblicolla col nome di Dante Alighieri nel fasc. XIV degli Opuscoli scientifici e letterarii, Firenze 1812. Col nome di Dante trovasi pure nel codice vatic. 3214. Per ogni parte che si riguardi, riconosceremo agevolmente che sente molto della maniera dantesca; ed infatti il solo principio Madonna, quel signor, che voi portate Negli occhi, si trova conforme all'altro Negli occhi porta la mia donna Amore; quindi è che non avendo ragione alcuna per rifiutarla, ritengo pur io (siccome ritenne altresì il Witte) che sia, od almeno esser possa, del cantor di Beatrice. 1 sicuranza, sicurezza; desinenza che dissi già trovarsi frequentemente negli antichi; ed infatti segue qui appresso dimoranza. 2 Ed ha in compagnia molta beltate vale a dire, e quando egli (Amore) dimora negli occhi di donna assai bella. 3 a principio c'ha possanza, cioè, a principio, che ha potere, virtù d'attirarla. Che sarebbe, vale che sarebbesi. 5 codice legge Cerco; ma il Fiacchi, ritenendo che fosse lezione errata, propose di legger Cerchio, vale a dire circondo. Io propongo di legger Cerchiò. BALLATA VIII. Per una ghirlandetta Vidi a voi, donna, portar ghirlandetta E sovra lei vidi volare in fretta Dicea: Chi mi vedrà Lauderà il mio signore.3 S'io sarò là, dove un fioretto sia, Dirò: La bella gentil donna mia Porta in testa i fioretti del mio sire: Ma per crescer desire La mia donna verrà Coronata da Amore. Di fior le parolette mie novelle Han fatto una ballata: Da lor per leggiadria s' hanno tolt' elle |