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Quand' uom la canterò,

Che le facciate onore.

Dal codice Alessandri, citato poc' anzi trasse il Fiacchi anco la ballata presente, e col nome di Dante Alighieri pubblicolla nello stesso fascicolo XIV degli Opuscoli scientifici e letterarii. In altri codici fu pur ritrovata dal professor Witte; per lo che sempre più probabile si rende, che veramente appartenga a Dante. Infatti in essa non mancano pregii, particolarmente quelli della leggiadria e dell' eleganza. La lezione per altro ch'io produco, non è quella del Fiacchi, perchè assai difettosa ed errata, ma è quella del Witte.

1 mi farà Sospirar ogni fiore, perche ogni fiore mi ricorderà la ghirlanda; e la ghirlanda, la mia don

na.

2 sottile, delicato, gentile. 3 il mio signore, cioè, Amore. Quand' uom, vale a dire, quando alcuno.

SONETTO XXXIII.

Io sono stato con Amore insieme
Dalla circolazion del Sol mia nona,
E so com'egli affrena e come sprona,
E come sotto a lui si ride e geme.
Chi ragione o virtù contro gli spreme
Fa come quei, che 'n la tempesta suona,*
Credendo far colà, dove si tuona,

Esser le guerre de' vapori sceme.
Però nel cerchio della sua balestra"
Liber arbitrio giammai non fu franco,
Sì che consiglio invan vi si balestra."
Ben può con nuovi spron punger lo fianco,
E qual che sia 'l piacer ch'ora n' addestra,
Seguitar si convien, se l'altro è stanco.7

6

Questo sonetto fu da Dante scritto a Cino da Pistoia in risposta ad un altro, che questi aveagli inviato, e che comincia, Dante, quando per caso s'abbandona (nell' edizione del Ciampi il CXXIX), col quale domandavagli se l'uomo, quando sente in sè venir meno un amore, può passare ad un altro. Credesi esser questo il componimento poetico, che Dante uni alla sua nota epistola Exulanti pistoriensi, la quale si ag

gira appunto su tale argomento. Il sonetto fu rinvenuto nel codice magliabechiano 143, classe VII, dal valente bibliografo Colomb de Batines, e fu pubblicato da E. Bindi, Ricordi filologici e letterarii, num. 18, Pistoia 1848.

Il concetto di questo sonetto è preso a confutare da Cecco d'Ascoli nell' Acerba, lib. III, cap. 1; e ciò, se non altro, fa riprova evidente, che il sonetto appartiene a Dante, e che è in risposta ad un altro di Cino:

Ma Dante rescrivendo a messer Cino,
Amor non vide in questa pura forma,
Chè tosto avria cambiato suo latino,
Io sono con Amore stato insieme.
Qui pose Dante, com' novi speroni
Sentir può il fianco con la nuova speme.
Contra tal dito dico quel ch' io sento,
Formando filosofiche rasoni:

Se Dante poi le solve, io son contento. »

1 circolazione del Sole, corso annuo del Sole. Intendi: Io sono stato innamorato fino dal mio nono anno. Ed ei ben lo racconta sul principio della Vita Nuova Circolazione per giro di sfera celeste è usato più volte da Dante: L'operazione vostra (de'motori del terzo cielo), cioè la vostra circulazione, è quella che m'ha tratto nella presente condizione. Nel Conv., Tratt. II, cap. 7.

2 Intendi: Chi gli oppon ragione o virtù fa come quei, che in tempo di tempesta suona le campane; cioè fa cosa vana.

3 Credendo (col suonar le campa

ne) di far si, che nelle regioni dell'aria cessino le guerre de' vapori cioè le tempeste.

4 nel cerchio della sua balestra, vale: per tutto quel tratto, ove posson giungere i suoi strali.

5 Cioè: si che invano vi s' adopra il consiglio.

6 Vale a dire: Ben può destare nuove passioni nel cuore.

7 Intendi: E qualunque sia la passione, che ora per nuova bellezza ne conduce, convien secondarla, se l'altra passione (cioè, quella per l'altra bellezza) è stanca.

DANTE. - 1.

10

PARTE SECONDA.

SONETTO XXXIV.

Parole mie, che per lo mondo siete;
Voi che nasceste poich' io cominciai
A dir per quella donna, in cui errai:1
Voi, che, intendendo, il terzo ciel movete
Andatevene a lei, che la sapete,2

Piangendo sì ch'ella oda i nostri guai;3
Ditele: Noi sem vostre; dunque omai
Più che noi semo, non ci vederete.*
Con lei non state; chè non v'è Amore:5
Ma gite attorno in abito dolente,
A guisa delle vostre antiche suore.
Quando trovate donna di valore,7
Gittativele a' piedi umilemente,

Dicendo: A voi dovem noi fare onore.

In questo sonetto il Poeta cita siccome sua la canzone del Convito, Voi, che, intendendo, il terzo ciel movete: dunque l'autore n'è Dante: col nome del quale sta infatti nell'edizione giuntina a c. 13 retro, nei codici laurenziani 49 Plut. XL, 36 Plut. XC, e nel riccardiano 1044.8

Fece il Poeta questo sonetto dopo aver già composto il suo Canzoniere, rivolgendo le sue parole alla filosofia ch'è la femmina, la quale, dacchè fu salita al cielo Beatrice, incominciò ad esser da lui amata, e lodata nella canzone detta sopra.

1 per quella donna, in cui errai. 11 Dionisi dando alla frase in cui errai il significato di per la quale errai, ed ppoggiandosi a varii passi del Convito, nei quali dice Dante la ragione, per cui le sue parole suonano talvolta il contrario di quello parrebbe dovessero dire, crede che ciò sia detto dal Poeta secondo l'apparenza. Se peraltro alla preposizione in daremo il significato che suole talvolta avere di contra, n' avremo questo concetto: per quella donna, contra la quale commisi fallo, non amandola prima d'ogni altra, poichè in prima fui servo d' un amor sensuale.

2 che la sapete, che la conoscete. 3 i nostri guai. O vuole il Poeta significare le sue dolenti parole, ovvero i dispiaceri e le avversità, cui forse potè andar soggetto per esser appunto uomo di lettere, filosofo e

onesto.

Intendi: Noi siamo vostre; dunque non ci vedrete in maggior numero di quel, che omai siamo (perchè vi abbiamo già pagato il tributo promessovi e dovutovi).

5 Con lei non state; chè non v'è Amore. Vuol dire che la filosofia non ha amore, cioè, brama di sapere (com' abbiam noi) perchè ella in se considerata è la stessa sapienza (Vedi il Conv., tratt. III, cap. 12). Ovvero è da dirsi che anche qui secondo l'apparenza egli parli; perciocchè l'amor di Dante verso la filosofia (Vedi il Convito loc. cit.) era lo studio; l'amore di quella verso di Dante era, dirò cosi, il porgersi ad esser facilmente intesa da lui. Adunque tutto il lamento del Poeta veniva dal non intendere.

6 in abito dolente, A guisa delle vostre antiche suore. Per suore antiche intende il Poeta le rime della Vita Nuova; poichè nel Convito, tratt. III, cap. 9, rendendo ragione dell' aver chiamato na ballata sorella, dice: Per similitudine dico sorella; chè siccome sorella è detta quella femmina,

che da uno medesimo generante è generata; così puote l'uomo dire sorella quell' opera, che da uno medesimo operante è operata; chè la nostra operazione in alcun modo è generazione. A queste sue rime dice d' andar attorno in abito dolente, mentre l'abito di queste e di quelle esser dovea simigliante, ma per cagione molto diversa. Imperocchè le antiche doleansi per la morte di Beatrice; e le nuove per le difficoltà e le fatiche, che provava il Poeta nello studio della filosofia.

7 donna di valore. Per donna di valore o gentile (dice Dante nel Convito, tratt., III, cap. 14), s' intende la nobile anima d' ingegno e libera nella sua propria potestà, ch'è la ragione: onde le altre anime dire non si possono donne ma ancelle, perocchè non per loro sono, ma per altrui. E'l filosofo dice nel primo della Metafisica, che quella cosa è libera, ch'è per cagione di se e non per altrui. — Alla qual donna, cioè all' anima gentile, vuole il Poeta che le sue rime facciano onore, perchè la commendazione de' buoni è un tacito vitupero dei tristi, e perchè, lodando egli le persone oneste e virtuose, non si discostava punto dalle lodi della filosofia, in onor della quale ritorna tutto il sapere e l'onesto, che è da lei a quelle comunicato.

8 Questo codice, che altrimenti è segnato 0, 1, num. XXVI, contiene il Convito, nel fine del quale si legge: Qui appresso fa scripto uno scnetto di Dante Alighieri, per mezzo del quale e' si vede questa Opera (il Convito) non gli piacere, et essere di sua intenzione non seguitare più oltre. È questa peraitro una falsa congettura del copista, perciocchè siccome chiaramente si vede) il sonetto non fa ailusione al Convito, ma sivvero alle altre parole rimate vale a dire alle altre poesie liriche, sorelle di quelle, cioè parto della meute stessa, che produsse il so

netto.

SONETTO XXXV.

Chi guarderà giammai senza paura
Negli occhi d'esta bella pargoletta,
Che m'hanno concio si, che non s'aspetta
Per me se non la morte, che m'è dura?
Vedete quanto è forte mia ventura,1

Che fu tra l'altre la mia vita eletta

Per dare esempio altrui, ch' uom non si metta
A rischio di mirar la sua figura.2

Destinata mi fu questa finita 3

Dacch' uomo conveniva esser disfatto,
Perch' altri fosse di pericol tratto:

E però lasso! fu' io così ratto

In trarre a me 'l contrario della vita,"
Come virtù di Stella margherita."

Elegante e leggiadro sonetto, che col nome di Dante Alighieri sta nel codice palatino, nei laurenziani 49 Plut. XL, e 37 Plut. XC, e che col nome stesso fu impresso nell' edizione giuntina a c. 14 retro, non che in tutte le sue ristampe. La bella pargoletta, soggetto del componimento, è la filosofia, giovine non per sè stessa, ma rispetto a Dante, e secondo l'apparenza: gli occhi di lei (Vedi il Convito, tratt. III, cap. 15) sono le sue dimostrazioni; e l'esser egli a tale stato ridotto, che non gli resta più che morire, deriva dall' assidua e grave fatica, ch'è richiesta dallo studio di essa.

1 quanto è forte mia ventura, quanto è orribile la mia sciagura.

2 uom

non si metta A rischio di

mirar la sua figura, vale a dire, nissuno si arrischi a vagheggiarla perciocchè tanto s'innamorerà dello studio di essa, che non potrà mai distaccarsene, anche a rischio della propria salute.

3 questa finita, vale questa fine, questa morte.

Intendi: Dappoichè conveniva

che un uomo si riducesse macro e sfinito per l'assiduo studio della filosofia, affinchè altri fosse tratto di pericolo, cioè, tratto della pericolosa strada dell' errore e del vizio.

5 il contrario della vita è la morte 6 Come virtù di stella margherita.Intendi: come la margherita (la perla) trae a sé, attira a sẻ virtù di stella, cioè la virtù del Sole, per la quale (secondo un' antica opinione) si produce.

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