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mora da potere in Gubbio aver composta la maggior parte del suo Poema, come Francesco Maria Raffaelli pretese, e da avere erudito nelle lingue greca e francese il figlio

d'esso Bosone, come volle il Dionisi. 3 Oltre a ciò, l'intitolazione dice Danti a Bosone, dal che conseguirebbe che l'Alighieri non sapesse scriver correttamente il proprio nome!

SONETTO.

Quando la notte abbraccia con fosc' ale
La terra, e 'l di dà volta e si nasconde,
In cielo, in mare, in boschi e fra le fronde
Si posa, e sotto tetto, ogni animale:
Perchè il sonno i pensier mette in non cale,
Che per le membra si distende e infonde,
Fin che l'aurora con sue trecce bionde
Rinnova le fatiche diurnale.

lo misero mi trovo fuor di schiera,

Chè 'l sospirar, nemico alla quiete,
Mi tiene aperti gli occhi e desto il core:
E come uccello avviluppato in rete,
Quanto più cerco di fuggir maniera,

Più mi trovo intricato e pien d'errore.

Col nome di Dante Alighieri vedesi questo sonetto stampato in fine della Bella Mano di Giusto de' Conti nell'edizione dello Zatta, Venezia 1784, pubblicata per cura d' Andrea Rubbi, e faciente parte della voluminosa collezione di poesie, intitolata il Parnaso italiano. Ma l'editore non disse punto donde avesselo tratto, nè quali fossero le autorità e le ragioni, per cui muoveasi a mandarlo in luce siccome componimento del divino Poeta. Peraltro un editore meno trascurato e meno corrivo del Rubbi, il quale fra tanto oro del Par naso italiano ha frammischiato tanta mondiglia, sarebbesi facilmente accorto che il presente sonetto non solo non sente punto della maniera e dello stile di Dante Alighieri, ma neppur del tempo in che questi visse, apparendo patentemente posteriore a lui di lungo tratto, sì per ragion della lingua, sì per ragione del fraseggiare. Io dunque ritengo che sia affatto da rigettarsi, come pur fu rigettato da tutti gli editori, i quali, posteriormente alla sopraindicata pubblicazione del Rubbi, impresero a mandare in luce il Canzoniere di Dante Alighie

ri. Nell' appendice alla Bella Mano (dice anco il Witte nel» l'opuscolo più volte citato) Andrea Rubbi aggiunse, senza » indicarne l'autorità, un sonetto, ch'io reputo senza fallo illegittimo.

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SONETTO.

Bicci Novel, figliuol di non so cui,
Se non ne domandassi mona Tessa,
Giù per la gola tanta roba ha messa,
Che a forza or gli convien tôrre l'altrui.
E già la gente si guarda da lui

Chi ha borsa a lato là, dove s'appressa,
Dicendo: Questi c'ha la faccia fessa
È piuvico ladron negli atti sui.

E tal giace per lui nel letto tristo

Per tema non sia preso all'imbolare,

Che gli appartien quanto Giuseppe a Cristo.
Di Bicci e de' fratei posso contare,

Che per lo sangue lor del mal acquisto

Sanno a lor donne buon cognati fare.

È veramente meritevole di riprensione il grave abbaglio del Fiacchi (uomo peraltro stimabilissimo), il quale, avendo trovato nel codice Alessandri (già da me citato altre volte) il presente sonetto, pretese darcelo siccome inedito e siccome di Dante Alighieri, mentre era edito e del Burchiello, Londra (cioè Lucca) 1757, pag. 220; e tanto maggiormente quanto più si ponga attenzione a ciò che nel suo avvertimento discorse, così conchiudendo: « Per evitare siffatti inciampi ho " fatto gli esami e le ricerche, che per me s'è potuto maggiori,.... e non avendo di me stesso una bastevol fidanza, " mi son fatto ardito di ricorrere al dottissimo e celebratis"simo signor cav. Iacopo Morelli bibliotecario della Marcia» na, il quale ha voluto colla sua consueta singolar cortesia incoraggiarmi e comunicarmi i suoi lumi. » Ed infatti il Morelli gli comunicò la notizia che in un testo a penna da lui posseduto, questo sonetto stava pure col nome di Dante Alighieri; e col nome di Dante io stesso l'ho altresì ritrovato in un codice riccardiano, coll'aiuto del quale ho potuto compiere l'undecimo verso, che nelle stampe andava mozzo.

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Di qui s'apprende quanta autorità possano fare i precedenti editori, e quanta fede debba riporsi ne' codici.

SONETTO.

Chi udisse tossir la mal fatata
Moglie di Bicci, vocato Forese,
Potrebbe dir che la fosse vernata,
Ove si fa 'l cristallo, in quel paese.
Di mezzo Agosto la trovi infreddata:
Or pensa che dee far d'ogni altro mese;
E non le val perchè dorma calzata
Mercè del copertoio cortonese.

La tosse, il freddo e l'altra mala voglia
Non le addivien per umor ch'abbia vecchi,
Ma per difetto ch'ella sente al nido.
Piange la madre, che ha più d'una doglia,
Dicendo: Lassa a me! per fichi secchi
Messa l'avria in casa il conté Guido.

Questo sonetto, che sente molto della maniera e de' gerghi del Burchiello, fu col precedente e coi quattro susseguenti, pubblicato dal Fiacchi, che avealo tratto dal già citato codice Alessandri. Ma esso è d'una data meno antica di quella supposta dall' editore, nè temo punto d'ingannarmi asserendo che non è di Dante, ma bensì d'alcuno di quei servili ed insipidi rimatori del secolo XV, i quali disonorarono il parnaso italiano col poetare alla burchiellesca. Il Witte è d'opinione che appartenga ad uno de' discendenti del divino Poeta, e lo deduce dal sonetto Ben so che fosti figliuol d'Alighieri, che il Fiacchi pubblicò siccome responsivo all'altro Bicci Novel, figliuol di non so cui, riportato poc' anzi; ed io non saprei dire improbabile l'opinione del professore alemanno.1

1 Ai due sonetti Bicci Novel ec., Chi udisse tossir ec., il Fiacchi ne riporta in risposta altri due Ben so che fosti figliuol d'Alighieri; L'altra notte mi venne una gran tosse, d'un certo Forese, ch' egli dice de' Donati. Ma che questo Forese non sia il noto poeta contemporaneo dell' Alighieri,

e da lui rammentato nel Purg., can

to XXX, v. 47, è certo per quello che ho notato di sopra, cioè che questi componimenti appartengono al secolo XV, mentre Forese de'Donati visse nel secolo XIII: e rilevasi pure dalla frase del primo quaternario del sonetto presente

..... la mal fatata Moglie di Ficci, vocato Forese;

darra quale apparisce esser Forese un soprannome, e non già il nome della persona, di cui si fa menzione nel sonetto. Il primo poi de' due citati sonetti responsivi, cioè quello che incomincia Ben so che fosti ec. (sebbene dal Fiacchi creduto inedito) cra pur esso stampato fra le rime

del Burchiello, pag. 220. E questo istesso sonetto, siccome sta nel codice 49, Plut. XL della Laurenziana, si palesa ad evidenza appartenente ad un tal Bicci Novello, da cui fu diretto ad un nipote di Dante Alighieri, chiamato pur esso Dante, donde nacque tutto questo equivoco.

SONETTO.

Deh ragioniamo un poco insieme, Amore,
E trammi d'ira, che mi fa penare;
E se vuoi l'un dell' altro dilettare,
Diciam di nostra donna, o mio signore.
Certo 'l viaggio ne parrà minore,
Prendendo un così dolce tranquillare,
E già mi par gioioso il ritornare,
Udendo dire e dir del suo valore.
Or incomincia, Amor, che si conviene,
E muoviti a far ciò; ch'ella è cagione
Che ti dichine a farmi compagnia.

O vuol mercede, o vuol tua cortesia

Che la mia mente, o il mio pensier dipone,
Tal è il desio ch'aspetta d'ascoltare.

Anco questo fu tratto dal codice Alessandri e pubblicato dal Fiacchi. Ma come potrà credersi di Dante un sonetto, nell' ultimo verso del quale è grossolanamente sbagliata la rima? Come potrà reputarsi dell' autore del sacro Poema una poesia così insulsa, e dalla quale non può talvolta, come nel secondo ternario, ritrarsi alcun senso? E quanta fede potremmo riporre in un codice, il quale (siccome abbiamo veduto più sopra) attribuisce al sommo Alighieri un sonetto, che appartiene al pedestre Burchiello, ed un altro ch'è del medesimo merito? Il Fiacchi stesso, nel dare alla luce questo ed altri poetici componimenti, avvertì che non deesi porre cieca fede ne'codici, perciocchè questi vanno bene spesso errati nell'indicare i nomi de' respettivi autori: e tali ragioni addusse, e tanti esempii ne riportò, che eziandio il più corrivo avrebbe dovuto rifiutare siccome di Dante questo e parecchi altri di quelli ch' ei produsse. Eppure egli nol fece, perchè

trascurò di seguire que' precetti di critica, che muovevano da' suoi medesimi ragionamenti.

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E va correndo, e gittagliti a' piedi,
Sicchè tu paia bene accostumato.
E quando sei con lui un poco stato,
Anco il risalutrai; non ti ricredi;
E poscia l'imbasciata tua procedi,
Ma fa che il tragga prima da un lato;
E di': Meuccio, quei che t'ama assai
Delle sue gioie più care ti manda,
Per accostarsi al tuo coraggio buono.
Ma fa che prenda per lo primo dono
Questi tuoi frati: ed a lor si comanda

Che stien con lui, e qua non tornin maî.

Anche questo sonetto, tratto dal Fiacchi dal codice Ales sandri, e pubblicato insieme cogli altri noti, non è assolutamente di Dante, sì perchè troppo povero ne' concetti e nell'artifizio poetico, si perchè troppo plebeo e disordinato nello stile.

SONETTO.

Omè, Comun, come conciar ti veggio
Si dagli oltramontan, si da' vicini,
E maggiormente da' tuoi cittadini,
Che ti dovrebbon por nell' alto seggio!
Chi più ti dê' onorar, que' ti fa peggio;
Legge non ci ha che per te si dichini:
Co' graffi, colla sega e cogli uncini
Ciascun s'ingegna di levar lo scheggio,

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