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questo componimento, il quale non trovasi in nessuno de'molti codici delle biblioteche di Firenze e di Roma, non sia affatto di Dante Alighieri. Pienamente dello stesso avviso son io: onde senza farvi sopra alcuna disquisizione, riferirò qui appresso le parole del Nannucci, che saranno all' uopo più che bastanti.

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"Ho letto con mia somma sodifazione (scrive il Nannucci al Gallo, nel dì 19 agosto 1853) l' articolo, che vi siete com» piaciuto inviarmi, e che avete pubblicato nel Giornale officiale di Sicilia, intorno all' Ave Maria consegnata alla " luce dal dottor Bonucci sotto il nome di Dante. E siccome » desiderate ch'io vi dica apertamente se abbiate bene o no " giudicato di quella scrittura, e di che avviso io mi sia su questo particolare, così vi rispondo con tutta schiettezza es"sere secondo me giustissime, incontrastabili e fondate sulla "sana critica le ragioni, che avete arrecate a provare che " l'Ave Maria suddetta non può appartenere in nessun conto al nostro maggior Poeta; e tale fu il mio giudizio, senza che mi sorgesse nella mente alcun dubbio, fin dal primo " momento ch' io l'ebbi sott' occhio. E se la brevità d'una lettera, e più d'ogni altro la mia travagliata salute, non "m'impedissero d' estendermi su quest' argomento, potrei aggiungere altre prove a quelle, che avete addotte a confer» mare vie maggiormente la vostra sentenza. Pur tuttavia vo» lendo dirvene alcuna cosa, mi restringerò a due sole osser" vazioni.

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"La prima, che dicendo il suddetto componimento esser » lavoro di Dante perchè sotto il suo nome si contien nel co» dice del dottor Bonucci, è lo stesso che non dir nulla, ed " accusa anzi mancanza di critica, non essendo ascoso a chi » si è fatto a svolgere i codici quale e quanto fosse l'arbitrio " e più sovente l'ignoranza, ed anche la mala fede de' copisti " nell'attribuire secondo le loro mire a certi autori alcune » scritture, che loro non spettavano affatto. Ve ne darò un » esempio. Nel cod. riccard. 2760 si ha Una lauda divota di » Nostra Donna fatta per messer Giovanni Boccaccio; e quella lauda non è niente meno che la canzone del Petrarca che incomincia Vergine bella che di Sol vestita. Parimente " nel cod. 1705 I dieci Comandamenti di Dio, i sette Pec» cati mortali, il Pater nostro e l' Ave Maria, che quivi si » dicono fatti in volgare ed in rima per io maestro Antonio "da Ferrara, son quelli che si contengono nel Credo di » Dante. Così il Poema della passione di Gesù Cristo, che il » Mehus e il Perticari han creduto del Boccaccio per esser riportato col suo nome in due codici, l'uno laurenziano e l'altro riccardiano, in uno parimente riccardiano, e in un

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» altro assai antico della biblioteca di Siena, è detto appar. » tenere a Niccolò di Mino di Cicerchia da Siena, ed è in quest'ultimo indicato perfino l'anno in cui fu scritto, cioè "nel 1364. E che il suddetto poema sia lavoro, non del Boccaccio, ma sì d'un poeta da Siena, non si sarebbe posto in dubbio, quando si fosse gettato l'occhio su tante voci e desinenze, proprie del dialetto senese, che vi si leggono, e » delle quali non vi ha neppure un vestigio in tutte le opere "sì in verso che in prosa del Certaldese. Finalmente nella "Raccolta di rime e prose del buon secolo della lingua, pub"blicata dal can. Telesforo Bini, Lucca 1852, si legge una » Lauda a un frate novello, assegnata dal codice Venturi al "beato Jacopone, ed è la serventese del Cavalca che comincia " Poichè se' fatto frate, o caro amico, dataci nella raccolta "suddetta per inedita, ma che si legge stampata dietro le > trenta stoltizie del Cavalca, e poi riprodotta nella Raccolta " di rime antiche toscane, Palermo 1817. E anche un sonetto » che principia Fior di virtù si è gentil coraggio, che quivi è "attribuito a Dante, è di Folgore da San Gemignano, come » si può vedere nella raccolta dell' Allacci, e ne' Poeti del » primo secolo, Firenze 1816. Altri infiniti esempii avrei da >> recarvi in mezzo per dimostrare come si voglia andare a "rilento nel credere di questo o di quell' autore un dato com» ponimento, perchè col suo nome è riportato in qualche codice, e particolarmente se è un solo, come quello del dottor » Bonucci. Ma passerò alla seconda osservazione, ch'è la più > importante.

» Nell'antipenultima terzina di quest' Ave Maria leggo:

» Nobis soccorri, non ti vincan l'ire,

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» Questo solo luogo basterebbe ad atterrare l'opinione del » Bonucci e di coloro che tengono con essolui essere stata » dettata da Dante. Imperciocchè voi vedete qui, mio pregia"tissimo amico, la voce priva per privi, vale a dire la terza "persona sing. dell'indicativo pres. in luogo di quella del "congiuntivo: il qual brutto modo non è proprio che de' Lombardi, ed anco del dialetto napoletano; nè per quanto frughiate in tutte le scritture de' padri della nostra lingua, e " in particolar modo toscani, non vi riuscirà mai di trovarne un solo esempio. E si vorrà poi affibbiarlo a Dante? Credat "Judæus Apella, non ego. E a chi mi dicesse d'aver egli » usato ancora altre voci lombarde nel suo Poema, nei Salmi » penitenziali e nel Credo (sebbene ho qui tanto in mano da

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"poter provare il contrario), risponderei che altro è l'usare qualche parola d'un dato dialetto, ed altro il peccare con"tro le regole della grammatica e della lingua; e di questo non potrà mai esser Dante accusato da nessuno. Aggiun"gerò ancora, non esservi esempio in tutte le sue opere e in " verso ed in prosa, ch'egli abbia adoperato ne' verbi di se"conda coniugazione la desinenza in i nella terza persona sing. del congiuntivo, come si usa particolarmente da cinquecentisti, e come si vede in quel togli per toglia nella terzina sopra citata, ed in quel vogli per voglia, ossia volga, » nella terza. E notate, che vollere o vogliere per volgere non » è della lingua fiorentina, ma del dialetto senese. E nella » tredicesima terzina quel sacristia vi par egli farina del » sacco di Dante, o non piuttosto di quello del frate divoto, » dal quale voi supponete scritta quest' Ave Maria? e ci " scommetterei che avete dato nel segno: chè leggendosi nella " ventesima terzina:

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E che conceda ad esto pover gregge

Della sua verità lume e splendore,

con l'esto pover gregge è facile che il divoto frate abbia » indicata la comunità del suo monastero, invocando l'aiuto » della Vergine. Lascio poi la camera del Spirito santo, il porsi e il fidar sè nelle sue braccia, la lodē umana che re"gna al mondo, Cristo che in sulla croce ci dette il lume » della sua lucerna, la Vergine lustra porta della Chiesa, lo " scusar di morte eternale, il por fine all' infirma legge, il portar la palma giuliva del mondo, il liberare dal mortal pondo, ed altre stemperate e dilavate frasi e dizioni, ed aggiunti soverchiamente ripetuti, che si discostano le mille miglia dall'alta fantasia e dall' ingegno creatore di Dante. » Concludendo, per le cose esposte, e per quelle che voi » stesso avete con retto criterio osservate, io torno a dirvi » che quest' Ave Maria non l'ho tenuta, nè potrò mai tenerla » per parto legittimo del nostro sovrano Poeta. "

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DI ALCUNI FRAMMENTI

CHE SI VEGGONO A STAMPA, E DI VARII ALTRI COMPONI. MENTI LIRICI, CHE NE' CODICI S' INCONTRANO FALSAMENTE ATTRIBUITI A DANTE ALIGHIERI.

Il Redi (annotazioni al Bacco in Toscana, Firenze 1691, pag. 111) riporta il seguente brano di un sonetto di 16 versi, o vogliam dire sonetto colla coda, che in un antico suo MS. stava col nome del divino Poeta:

lacopo, io fui nelle nevicate alpi,

Con quei gentili dond'è nata quella,
Ch' Amor nella memoria ti suggella,
E par che tu parlando anzi lei palpi.
Non credi tu, perch' io aspre vie scalpi,
Ch'io mi ricordi di tua vita fella?....

Il Witte pure, allorquando nell' Antologia pubblicò la nota canzone Poscia ch' io ho perduta ec., riportò a modo di citazione e d'appoggio, i frammenti seguenti, ch'egli avea tratto da un codice, di cui non diede al pubblico verun ragguaglio.

E se 'l mio dire in la tua mente pegni,

Tu troverai in tutto chiaro e vero.

Leggi questo saltero:

Da poi che venne Carlo con affanno,

Sempre ha cresciuto, e crescerà 'l tuo danno.

Nuova figura, speculando in vetro,

Appare a me vestita negra e bianca,

Come persona in cui regna sospiro:

E questa aperse l'uno e l'altro metro,
E forte mi feri in parte manca,

Si che la vita ranca

Divenne sì, ch'io caddi per lo miro
In ogni parte ch'io mi volgo e giro
Nuovi tormenti veggio in la tua parte,
Ed adoperar Marte

Si, ch'io piango per te, o bella donna,
Che già ti vidi di virtù colonna.

Ora ti veggio nuda, magra e scalza,

E nessun ti rincalza,

Ma ciascheduno segue il tuo dannaggio, Cui più hai fatto onore e grande omaggio.

Similemente come a sofferire

L'aquila ardisce, mirando la spera,
Di riguardar nella rota del Sole;
Cosi pensando di voler fuggire,
A magnanimità che è sì altera,
Che rado per suo segno andar si suole,
Rimira ciò ch'ella disia e disvuole.

Ahi cara donna, pensa alli tuoi danni,
Che per li mal pastor sei mal condotta,
Ad ogni vizio rotta;

Onde che la sentenza è già prescritta
Dal dittator, che sempre il vero ditta.

Or ti sfoga, ruina, empia tempesta,
Ora s'abissi 'l cielo e 'l mondo strano,
Apriti terra, e 'l miser corpo umano
Inghiotti e l'alma lagrimosa e mesta.

In quest' affanni, anzi dispetti e rabbia,
Convien la trista vita ormai finire
Senza speranza sol di requie o posa.

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