È arsa, consumata e trista e stanca.1 XIII. Ma tu, Signor, che mai non vieni meno, Lo cui memorïale sempre dura, 2 Dimostrami lo tuo volto sereno. XIV. Tu sei, Signor, la luce chiara e pura,3 Però ch'egli è venuto il tempo e l'ora Ch' ogni suo cittadino sempre onora. XIII. Tu autem, Domine, in æternum permanens: et memoriale tuum in generationem et generationem. XIV. Tu exurgens misereberis Sion: quia tempus miserendi ejus, quia venit tempus. XV. Quoniam placuerunt servis tuis lapides ejus: et terræ ejus miserebuntur. 1 Da questa penitenza (dice David) ne deriva ch' io sono estenuato e smunto, quasi terra arida е magra. 2 memoriale, cioè la memoria del cui santo nome e della cui immensa bontà sempre dura e durerà in eterno. 3 Favella qui alla seconda persona della santissima Trinità, di cui si dice nell' Evangelio di san Giovanni Era la luce vera, che illumina ogni uomo ec. Questa luce levandosi tostamente, quasi Sole, a correre la sua via (Psalm. XVIII, v. 6), assicurerà colla sua grazia Sion. Di aver pietade di quella città, cioè di Gerusalemme. 5 La quale da ogni suo cittadino è rispettata ed amata. 6 Ed è ragione, che tu le usi pietà, perciocchè i tuoi santi profeti e servi la riguardarono ognora con compiacenza e con affetto. [La mura e le mura, dicevano gli antichi, servendo la stessa voce al sing. e al plur., come la gesta e le gesta, la frutta e le frutta, la legna e le legna; e la ragione vedila nel Nannucci, lib. cit.] 7 I quali vedendo in ispirito i sospiri, l'acque, cioè le lagrime, i lamenti e i guai di quella terra, afflitta da te in gastigo delle sue colpe, si sentono per compassione intenerire, e vorrebbono che le fosse dato perdono. XVI. S' tu li cavi, Signor, da quella guerra, E il santo nome tuo, che il ciel disserra.3 La tua potenza grande e la tua gloria, XVII. Però che Dio in eterna memoria E li sarà veduto in la sua gloria: “ De' suoi eletti servi, e non disprezza XIX. Ma pur perchè la perfida durezza D'alcuni ingrati il mio parlar non stima, Sarà creato: e questo degnamente XVI. Et timebunt gentes nomen tuum, Domine: et omnes reges terræ gloriam tuam. XVII. Quia ædificavit Dominus Sion: et videbitur in gloria sua. XVIII. Respexit in orationem humilium; et non sprevit preces eorum. XIX. Scribantur hæc in generatione altera: et popolus, qui creabitur, laudabit Dominum. 1 S' tu, invece di se tu, apocope, o troncamento dagli antichi scrittori volgari assai frequentato. Fazio degli Uberti: Es' tu volessi dir, come il so io; e m. Cino: Guarti d' Amor se tu piangi, o s' tu ridi; e m. Onesto: A morir m' ha condotto, e s' tu nol credi ec. 2 Cioè da quelle afflizioni, che la guerreggiano e abbattono. 3 Che apre il cielo a sua voglia, e ne fa scendere giù le benedizioni. 4 Questi sono i motivi, per li quali dalle genti sarà Dio magnificato; e sono perchè ha voluto serbare Sion nella sua beltà, e manifestare in essa la sua gloria. 5 Altro motivo, ond'è per essere glorificato il Signore; che è, perchè esaudisce i servi suoi, che lo pregano. 6 Vuol dire: Ma ecco che gli Ebrei perfidi non crederanno alle mie ammonizioni, nè alle mie profezie. Però per loro non iscrivo io queste degnazioni del Signore, ma per altri, che sapranno approfittarsene. 7 Cioè, il popolo cristiano.. Lauderà Dio in basso ed anche in cima.1 XXI. Per liberare dall' eterna guerra Quelli, ch' eran ligati, infermi e morti, Potessono lodare il nome santo Nel regno degli eletti e suoi consorti: XXIII. Dove la gente e 'l popol tutto quanto Saranno insieme con li re pietosi; E li gli serviran con dolce canto. XXIV. In questo mondo, come virtuosi, Risponderan essi all' eterno Dio, E poi saranno sempre glorïosi. Ora ti prego, o dolce Signor mio, XX. Quia prospexit de excelso sancto suo: Dominus de cœlo in terram aspexit. XXI. Ut audiret gemitus compeditorum: ut solveret filios interemptorum. XXII. Ut annuntient in Sion nomen Domini: et laudem ejus in Jerusalem. XXIII. In convertendo populos in unum, et reges ut serviant Domino. XXIV. Respondit ei in via virtutis suæ: Paucitatem dierum meorum nuntia mihi. Che tu ti degni di manifestarmi Nel mezzo de' miei giorni:1 ma più tosto E poi la terra col profondo Inferno.3 Ora invecchiarsi come il vestimento, XXV. Ne revoces me in dimidio dierum meorum: in gene rationem et generationem anni tui. XXVI. Initio tu, Domine, terram fundasti: et opera manuum tuarum sunt cæli. XXVII. Ipsi peribunt, tu autem permanes: et omnes sicut vestimentum veterascent. XXVIII. Et sicut opertorium mutabis eos, et mutabuntur : tu autem idem ipse es, et anni tui non deficient. 1 Nel mezzo de' miei giorni. In questo tempo pericoloso, in questa mia fervida età; ma datemi tempo di pe nitenza, e aspettatemi. E a terra rivocarmi è lo stesso, che farmi tornar in terra, cioè morire, giusta l'espressione di Dio nel Genesi (capitolo III, n. 19). 2 Cioè, soggetto ad ogni infirmità e disgrazia, che mi può toglier la vita. si parla di Gesù Cristo e della Chiesa sua sposa, non della cattività di Babilonia, e che l'apostolo Paolo, volendo convincere gli Ebrei della divinità di Gesù Cristo, questo sedicesimo versetto lora appunto allega: Initio tu, Domine ec. Allude l'interprete nella sua traduzione alla parabola evangelica de'talenti (Matth., cap. XXV), dove per talenti s'intendono i doni naturali e Chiarissimo argomento, che qui soprannaturali da Dio datici ec. XXIX. Or fa, Signore, che della mia tomba Ma puro come semplice colomba; Che li tuoi figli e servitor riceve; XXIX. Filii servorum tuorum habitabunt: et seme eorum in sæculum dirigetur. SALMO VI. I. Dallo profondo 2 chiamo a te, Signore, La voce afflitta dello mio clamore. E non voler guardare al mio fallire. I. De profundis clamavi ad te, Domine: Domine, exaudi vo cem meam. II. Fiant aures tuæ intendentes in vocem deprecationis meæ. III. Si iniquitates observaveris, Domine: Domine, quis susti nebit? 1 Festeggiamento e letizia, nel qual significato usò Dante si fatta voce nella Cantica del Paradiso più volte, ed espressamente nel canto XXXI, così scrivendo: Qual è quell' angiol, che con tanto giuoco 2 San Grisostomo, Teodoreto ed alcuni altri greci intendono dal profondo del cuore, cioè dall' intimo fondo. Ma può letteralmente intendersi dalla caverna d' Engaddi. 3 Cioè a' peccati, che si commettono alla giornata, i quali, comunque veniali, ci demeritano i più singolari favori del Signore, ci diminuiscono la sua amicizia, e ci rendono men belli a' suoi sguardi. Perciocchè col nome d' iniquità s'intende qui qualunque prevaricazione della legge (come ben notan gl'interpreti) obbligante o sotto grave, o sotto leggiera colpa. |