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XIV. Perocchè io sono de' tuoi servi e schiavi,
Io prego che distrugga tutti quelli,

Li quai contra mi sono crudi e gravi,
E che al mio bene far sono ribell.1

XIV. Et perdes omnes, qui tribulant animam meam; quonium ego servus tuus sum.

1 Quali erano Assalonne, Achitofello e cent' altri, che, dopo aver ri

cevuto tanto bene da Davide, gli si erano rivolti contro.

PROFESSIONE DI FEDE

O PARAFRASI IN TERZA RIMA

DEL CREDO, DE'SACRAMENTI, DEL DECALOGO, DEI VIZII CAPITALI, DEL PATER NOSTER E DELL' AVE MARIA.

Notizia letteraria del motivo che indusse Dante a comporre il Credo estratta dal codice 1011 della Riccardiana di Firenze.

Poi che l'autore, cioè Dante, ebbe compiuto questo suo libro (la Divina Commedia) e pubblicato, fu studiato per molti solenni uomini e maestri in teologia, e in fra gli altri di frati minori: e trovarono in un capitolo del Paradiso, dove Dante

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»zione de' Sacramenti e del Decalo» go, l'enumerazione de' vizii capi» tali e la parafrasi dell' orazione

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domenicale, e della salutazione angelica in terza rima... Questa Pro»fessione di fede fu già pubblicata » nel secolo XV; e quindi ridotta » all'ortografia moderna; ma da noi » volentieri si riproduce, poichè le cure impiegatevi ci hanno posto in grado di presentarla in stato più » conforme alla mente del suo auto»re. L'abbiamo primieramente confrontata con dodici MSS. della biblioteca riccardiana, e colle cdi»zioni del quattrocento, e per tal » mezzo è stata accresciuta la ter» zina XXVI, la quale comincia Ma » sol di quell' eterno ec. mancante in » tutte le stampe, e si sono riportate le varianti di maggiore importanza, » seguitando su questo proposito il

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fa figura che truova san Francesco, e che detto san Francesco lo domanda di questo mondo, e sì come si portano i suoi frati di suo ordine, de' quali gli dice che istà molto maravigliato, però che da tanto tempo ch'è in Paradiso, e mai non ve ne montò niuno e non ne seppe novella. Di che Dante gli risponde si come in detto Capitolo si contiene. Di che tutto il convento di detti frati l'ebbono molto a male, e feciono grandissimo consiglio; e fu commesso ne' più solenni maestri che studiasseno nel suo libro, se vi trovasseno cosa da farlo ardere, e simile lui per eretico. Di che gli feciono gran processo contro, ed accusaronlo allo 'nquisitore per eretico, che non credea in Dio nè osservava gli articoli della fè. E' fu dinanzi al detto inquisitore, ed essendo passato vespero; di che Dante rispose e disse: Datemi termine fino a domattina, ed io vi darò per iscritto com'io credo Iddio: e s'io erro, datemi la punizione ch' io merito. Di che lo 'nquisitore gliel diè per fino la mattina a terza. Di che Dante vegghiò tutta la notte, e rispose in quella medesima rima ch'è il libro, e sì come si seguita appresso: dove dichiara tutta la nostra fè e tutti gli articoli, che è una bellissima cosa e perfetta a uomini non litterati, e di bonissi

» Salviati negli Avvert. sulla lingua, » lib. I, cap. 6, il quale parlando di » varii testi a penna, dice così: A "niuno di loro si va dietro del tutto, ma di ciascuno si prende il buono, e nel non buono si abbandona. Vi abbiamo ancora premessa la Notizia » letteraria del motivo che lo indus»se a comporla: non è a noi palese » che sia stata riferita da altri, ma

» non osiamo proporla per vera. Dessa fu estratta dal codice 1011 della

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» tradotta nell' anno 1580, o in quel torno, in versi latini la Commedia » di Dante, ci dice che egli dovette » soffrire per parte del suo superiore » l'umiliazione di vedersi ridotto al» la condizione laicale. Ci racconta il Boccaccio nella Vita di Dante (Firenze 1755, pag. 259) che il libro » De Monarchia più anni dopo la » morte dell'autore fu dannato da mes» ser Beltramo cardinale del Poggetto, »e legato del Papa nelle parti di Lombardia, perchè per argumenti teologici pruova l'autorità dell' imperio » immediatamente procedere da Dio, e non mediante alcun suo vicario, co

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mi assempri utili e preghiere a Dio e alla Vergine benedetta Maria, si come vedrà chi lo leggerà. Chè non fa bisogno avere, nè cercare altri libri per sapere tutti i detti articoli, nè i sette peccati mortali; chè tutto dichiara si bene e si chiaramente, che si tosto come lo 'nquisitore gli ebbe letti con suo consiglio in presenzia di XII Maestri in teologia (li quali non seppono che si dire nè allegare contro a lui), che lo 'nquisitore licenziò Dante, e si fe beffe di detti frati; i quali tutti si maravigliarono come in si piccolo tempo avesse potuto fare una si notabile cosa in rima ec.

PROFESSIONE DI FEDE.

Io scrissi già d'amor più volte rime,1
Quanto più seppi dolci, belle e vaghe,
E in pulirle adoprai (a) tutte mie lime."
Di ciò son fatte le mie voglie smaghe,3
Perch'io conosco avere speso invano

(a) Ed in pulirle oprai

1 Le amorose rime di Dante formano i primi quattro libri de' dieci, in che sono scompartiti i sonetti e canzoni di diversi antichi Autori toscani, raccolti da Bernardo Giunta e impressi in Firenze nel 1527 in 8o, e poi in Venezia nel 1552, e i cinque dei dodici, in che queste stesse poesie, accresciute, furono ristampate in Venezia per Cristoforo Zane nel 1731. e 1740, in 80.

2 Tutta l'industria e l'ingegno: metafora, che piacque anche al Petrarca; onde adottolla in quel verso del suo sonetto Vergognando talor:

Ne opra da polir con la mia lima,

3 smaghe, cioè, mutate, dalla voce smagare, che è provenzale, come ben disse il Bembo: ed è formata da image e da es, che è l'ex de' Latini

onde esmagare, smagare, cioè, trarre, o uscir d'immagine, e smagato e smago per sincope, cioè, tratto d' immagine, cangiato e simil cosa. Quindi il Castelvetro e il Menagio errarono amendue, i quali, negando che detta voce fosse provenzale, si presero a ribattere il Bembo. E il primo la volle venuta in Italia dalla Grecia, e trassela dal greco machomai, che val combattere, colla giunta della s, dando alla medesima poi la significazione, che mai non ebbe, di superare, vincere ec. Il secondo a' Latini ascrivendola, con modo veramente da ridere, la derivò da exvagare, formandone prima svagare, e poi sbagare e al fine smagare.

[Smago o osmagato, partic. di smagare, non è da ex e image, ma da ex e mage. Vedi la nota 9 alla ball. III.]

Le mie fatiche, ad aspettar (a)1 mal2 paghe.s
Da (b) questo falso amor omai la mano

A (c) scriver più di lui io vo' (d) ritrare,*
E ragionar di Dio come cristiano.5

I. Io credo in Dio (e) padre, che può fare

Tutte le cose (f), e da cui tutti i beni
Procedon sempre di ben operare (g).
II. Della cui grazia terra e ciel son pieni,"
E da lui furon (h) fatti di niente,

I. Credo in unum Deum Patrem omnipotentem,
II. Factorem cœli et terræ,

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1 Sottintendi, conosco d'aver ad aspettar.

2 Troncamento di male, licenza da' poeti usata. Cosi Dante da Maiano (canz. Giovane donna dentro al cor) disse person, invece di persone, e il Boccaccio schier invece di schiere (Teseid., lib. VI), e tremol frondi invece di tremole frondi (nell' Amor. Vis.); e Fazio degli Uberti mortal ferute, invece di mortali ferute, ec. (nel Dittam.)

3 mal paghe, mal frutto, cioè il doverne aver da Dio la pena.

4 Con un sola, sincopato da ritirare per licenza poetica in grazia della rima; non da ritrarre: sebbene del sonetto Dagli occhi della mia donna usò questo poeta la libertà di dire anche ritrare invece di ritrarre, cosi scrivendo:

Si veggion cose, ch'uom non può ritrare. [Non da ritirare si fece per contrazione ritrare, ma da ritraere,]

5 Ottimo esempio da imitarsi da ogni altro somigliante compositore.

6 Egregiamente qui Dante spiega la voce onnipotente, dicendo, che non solo Dio può fare tutte le cose, ma

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che in effetto tutte le cose son da lui fatte, contro al credere de' Manichei e delle loro sètte: da che ogni cosa data che sia ottima, e ogni dono che sia perfetto (come dice l'apostolo san Iacopo Epist. Can., cap. 1), ci vien di sopra, e ci scende dal Padre de' lumi. E perchè i Pelagiani e i loro fautori, Cassiano, Fausto ed altri, stimavano che potesse l' uomo da sẻ alcuna cosa volere e fare in quell'ordine almeno, che alla pietà e alla salute s'aspetta però qui Dante espressamente confessa di credere colla Chiesa cattolica, che da Dio solo i beni tutti, cioè tutte le forze di ben operare procedono, di modo che l'uomo da se non può nè amar Dio, neppur come autore della natura, e imperfettamente, senza l'aiuto della grazia, nè può pure da se disporsi si, che per questa sua disposizione la grazia gli sia conferita che è ciò che Cristo stesso insegnò nell' Evangelio (Ioan, cap. XV, n. 5): Senza me non potete far nulla.

7 Perchè Dio è immenso, e ogni cosa è effetto di sua bontà. E forse ch' io non empio il cielo e la terra? dice egli appo Geremia (cap. XXIII. n. 14),

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