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A posseder vegniam con divozione.1
IX. Preghiamti, re di gloria e signor nostro,

Chè tu ci guardi da dolore: e fitto s

La mente abbiamo in te, col volto prostro (a).* La Vergin benedetta po' a diritto 5

IX. Sed libera nos a malo.

(a) dal dolore afflitto (*) La nostra mente, e sia a te il cor prostro.

1 Cioè, con prontezza di volontà camminiamo all'acquisto del cielo : da che la divozione (come insegna l'Angelico) non è che una prontezza di volontà di far quello che si conosce volersi da Dio.

2 Cioè, da qualunque dolore, sì d'animo che di corpo, e in conseguenza da qualunque male che n'è la cagione. Non poteva Dante usar voce più generica, che la qui usata. I mali tutti si riducono agli spirituali e a' temporali. I primi tutti vengono tolti colla grazia di Dio, e col suo regno, il che ha espresso ne' due versi precedenti. I mali temporali sono tutti compresi con la voce dolore. Perciocchè con tal nome non solamente ogni patimento corporale e sensibile, ma ogni tristezza e passione afflittiva dell'animo viene intesa da' filosofi.

3 Gli occhi miei, cioè, la mia mente, sempre sieno fissi nel Signore, dice Davide (Psal. XXIV, n. 15), ed egli trarrà de' lacci i miei piedi.

prostro, invece di prostrato ; siccome mostro, invece di mostrato, disse il Bembo:

Se la via di curar gl' infermi hai mostro. E queste sono le cose che accompagnar debbono l'orazione: cioè, attenzione d'animo e riverenza di corpo.

5 Passa qui Dante a significare come, dopo Dio, dobbiamo aver gli ani

mi nostri rivolti a Maria; e dice che ciò è a diritto, cioè meritamente; il che è certissimo: primo per l'eccellenza della sua santità, onde per me rito di convenienza meritò ella di esser tanto da Dio amata (non ci essendo tra le pure creature chi la pareggiasse), che fu tra tutte da lui eletta a sua madre. Appresso per l'eccellenza della sua dignità, che è la maternità di Dio; la quale conseguentemente esige, che i primi onori dopo il Figliuolo, che è uomo insieme e Dio, sieno a quella creatura prestati, che più da vicino lui tocca, com' è la sua vera madre. Di poi, perchè è sentimento comune de' Padri, che qualor Cristo additò dalla croce Maria a Giovanni, dicendogli Ecco tua madre (Joann., cap. XIX, n. 27), in Giovanni egli tutta la Chiesa raffigurasse, a cui con quelle parole la desse per avvocata e per madre. Per ultimo, perchè (come dice sant' Agostino nel Serm. de Nativit. Sicut omnibus sanctis est sanctior, ita pro nobis omnibus est sollicitior), quanto ella è più santa fra tutti i santi, altrettanto, come avente le virtù tutte in grado più eccelso, ella è più sollecita fra tutti i santi per lo nostro vantaggio. Ragioni tutte che Dante qui intende in questa parola a diritto tutta piena di senso e per le quali ci esorta, dopo Dio, ad onorar Maria,

(*) Dolore afflitto. Forse qui Dante ha dato l' aggiuntivo afflitto alla voce generica dolore, per indicare non solo i mali fisici del corpo, ma anche quelli dello spirito, che inducono egualmente afflizione e tristezza (RIGOLI).

Laudiamo e benediamo (a), anzi che fine
Facciamo a quello ch'è di sopra scritto.1
E lei preghiam, ch'alle grazie (b) divine
Si ne conduca co' suoi santi preghi,
E scampi noi dall' eternal (c) ruine.2
E tutti quei, che del peccar son cieghi,3
Rallumi, e sciolga per sua cortesia (d),
E dai lacci infernai sì gli disleghi.*

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II.

III.

Piena di grazia: Iddio è (f) sempre teco:
Sopra ogni donna benedetta sia (g).

IV. El frutto del tuo ventre (h), il qual io preco 6

I. Ave Maria,

II. Gratia plena; Dominus tecum:

III. Benedicta tu in mulieribus:

IV. Et benedictus fructus ventris tui, Jesus.

(a) omai a dritto Laudare e be

nedire

(b) pregar ch' alle glorie

(c) infernai

(d) e svegli la lor tenebria.

1 Che ho detto fin ora.

2 E preghiamo che colla sua possente intercessione ella ne impetri che venghiamo nell' amicizia di Dio, e a goder cosi di sua grazia; onde scampiamo dall' eterna rovina.

3 cieghi, per licenza, invece di ciechi; siccome nel suo gran Poema disse il nostro medesimo Dante sego per seco.

4 La Chiesa non altrimenti favella in un suo inno sopra Maria (in Hymn. Ave maris stella Solve vincla reis, Profer lumen cæcis):

Sciogli ai rei le catene,

E porgi lume ai ciechi.

Non che Maria sia ella padrona e dispositrice; perciocchè nulla può essa che mediante il suo figliuolo; ma perchè il figliuolo vuol glorificare la madre, come insegna sant' Anselmo (De Excell. Virg., cap. VI), e

(e) Salve

(f) sia

(g) Più ch' altra donna benedetta e pia

(h) E benedetto il frutto (QUADRIO) vuol però che le grazie passino per mano di lei. Oltra che, essendo il figliuolo anche giudice, sovente la sua misericordia è trattenuta dalla sua giustizia; dove la madre essendo pura nostra avvocata, fa solo le nostre parti, sollicitando precisamente a misericordia Però a lei la Chiesa favella in quel modo, non già riputandola di quelle grazie sorgente primaria e per sè, come calunniosamente spacciano di noi gli Acattolici, ma secondaria e per mediazione.

5 Or qui comincia quella preghiera a Maria, che c' insegna di porgere: e questa è la salutazione angelica, della eccellenza della quale già sopra si è detto, e che per esser qui dal Poeta assai chiaramente esposta non abbisogna di altre note.

6 Il medesimo Dante usò questa voce di preco, invece di prego, nel

Che ci guardi dal mal, Cristo Gesù,
Sia benedetto, e noi tiri con seco (a).
Vergine benedetta, sempre tu

Òra per noi Dio, che (b) ci perdoni,1
E diaci grazia a viver sì quaggiù,
Che' Paradiso al nostro fin ci doni (c).

V. Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus nunc, et in hora mortis nostræ.

(a) E che alla nostra fin ci tiri

Feco

(b) che Cristo

suo gran Poema, Inferno, canto XV, V. 54:

lo dissi lui, quanto posso ven preco : e usò la medesima licenza in detta voce, anche quando era sostantivo, invece di priego, significante preghiera (ivi, canto XXVIII, v. 89):

Non farà lor mestier voto, nè preco.

1 Ottima spiegazione delle parole, Ora pro nobis peccatoribus nunc ec. Perciocchè due regole abbiam noi in questa vita a tenere (come insegna maestrevolmente il pontefice san Gregorio) che sono innanzi al peccato temer la giustizia; e dopo al peccato sperar la misericordia. Ma altresì è agevole che in due scogli urtino ingannati i mortali: l'uno è di abusare della divina tolleranza, dimorando a pentirsi, se non peccatori; e l'altro è di fidarsi a peccare, sul riflesso che Dio aspetta i peccatori a perdono. Le vere regole son je seguenti, mostrateci colla scorta

(c) E che a viver ci dia si ben quaggiù, Che a nostra fin Paradiso ci doni (QUADRIO).

dell' Evangelio universalmente dai santi Padri, per adempiere le quali aver non possiamo mediatrice più efficace appo il Signore, che la Vergine benedetta sua madre: la prima è di convertirci subito a lui dopo il peccato, pieni di calda fiducia, ch'egli sia, come infinitamente misericordioso, per perdonarci, se facciamo a lui ricorso per tempo. E avvedutamente perciò dice Dante alla vergine: Ora per noi ec.; l'altra è, che dopo la sincera nostra conversione studiamci di viver bene, pieni d'alto timore, che Dio non sia, come .infinitamente giusto, per gastigarci se abusiamo di sua pazienza che è ciò di che volle ammonirci sant' Agostino (De Doctr. Christ.: Non potest male mori, qui bene vixerit: et vix bene moritur, qui male vixit), dicendo, che non può morir male, chi avrà ben vivuto; e che appena ben muore, chi ha mal vivuto. E perciò pur soggiunge a Maria divinamente il medesimo Dante: E che a viver ci dia ec.

DANTE.-1.

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EGLOGIE LATINE

DI

GIOVANNI DEL VIRGILIO

E DI

DANTE ALIGHIERI

COLLE NOTE LATINE DI ANONIMO CONTEMPORANEO E COLLE ILLUSTRAZIONI

DI MONSIGNOR DIONISI

TRATTE DAL IV DE' SUOI ANEDDOTI, VERONA 1788;

AGGIUNTAVI LA

TRADUZIONE ITALIANA IN VERSI SCIOLTI

DI FRANCESCO PERSONI

ACCADEMICO FILARMONICO DI VERONA.

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