Glandiferæque etiam quercusque arbusta dedere.1 Non heic insidiæ, non heic injuria, quantas, Esse putas. Non ipse mihi te fidis amanti? Sunt forsan mea regna tibi dispecta? Sed ipsi Di non erubuere cavis habitare sub antris:
Testis Achilleus Chiron, et pastor Apollo.
Mopse, quid es demens? Quia non permittet Jolas * Comis et urbanus, dum sunt tua rustica dona, Iisque tabernaculis non est modo tutius antrum, Quis potius ludat. Sed te quis mentis anhelum Ardor agit, vel quæ pedibus nova nata cupido? Miratur puerum virgo, puer ipse volucrem,
Le ghiandifere quercie, e gli arbuscelli Scossa la cima, securtà ten danno. Qui non insidie, non oltraggi, come Tu pensi. Del tuo amico non ti fidi? Spiaccionti forse i nostri regni? E pure Gli stessi Dei ne' cupi antri abitare Non isdegnar. Di ciò Chiron fa fede, Mastro d' Achille, ed il pastore Apollo. O Mopso, sei tu pazzo? Poichè Iola Piacevole ed urban non fia, che mai Questo conceda; mentre i doni tuoi Son villerecci, e il tuo speco sicuro Non è più de' palagii, ove più tosto Titiro si ricrei. Ma qual t' affanna Ardor la mente; e qual nuova vaghezza Nasce a' tuoi pie? Come la verginella Con intenso piacer mira il fanciullo, Il fanciullo augel, l'augel le selve,
1 i. majores, mediocres et minores te fiduciant.
2 Eo quod magis ter fuit Achillis. pa
stor, dum pavit oves Ameti.
3 Loquitur sibi ipsi auctor.
4 i. dominus Guido Novellus de Polenta lunc dominus Ravenna. Comis,
5 Quis, pro quibus. ludat, i. ludere possit. te, s. Mopsum.
6 Assignat cupidinis causam crem, miratur. silvæ, mirantur. verna, quia (silva) pullulant veris adve niente temperie. te, miratur,
Et volucris silvas, et silvæ flamina verna; Tityre, te Mopsus: miratio gignit amorem. Ne contemne; sitim phrygio Musone levabo: Scilicet hoc nescis, fluvio potator avito.3
Quid tamen interea mugit mea bucula circum? Quadrifluumne gravat coxis humentibus uber? Sic reor: en propero situlas implere capaces Lacte novo, quo dura queant mollescere crusta. Ad mulctrale veni: si tot mandabimus illi Vascula, quot nobis promisit Tityrus ipse: Sed lac pastori fors est mandare superbum.7
E le selve il soffiar di primavera; Si Mopso veder te, Titiro, gode. Suol dal veder esser prodotto amore. Non ne far poco conto: a te con l'acque Del Muson frigio ammorzerò la sete. Forse tu nol conosci, a ber sol uso Al patrio fume. Ma che? mugge intanto La mia vacchetta: che la gravin forse Le gonfie mamme all' umide sue cosce? Così credo: ecco ad empiere m'affrelto Di nuovo latte le capaci secchie, U' possansi ammollir le dure croste. Vieni dunque al mastello: in questa guisa Titiro avrà da noi tante misure,
Quante egli a noi ha di mandar promesso: Ma ad un pastore inviar latte forse
1 Nel MS. me contemne: io leggo ne. 2 i. Musatto poeta paduano.
3 Quia avus Mopsi fuit paduanus. Costui s' inganna di grosso: imperciocchè Giovanni qui parla direttamente con Dante; e lo dice ignaro del frigio Musone, perchè a bere avvezzo nel fiume avito, cioè, nell'Arno'; con che dir vuole, ch' essendo il Mussato poeta latino, Dante, che fin allora aveva poetato in lingua volgare, cioè nell'idioma nativo degli avi suoi, non lo conosceva. Quindi è ch'io non
credo nemmeno che l'avolo di Gio- vanni fosse padovano; e l'ho questa notizia per arrischiata dal glosatore sull'inganno or ora scoperto. 4i. bucolico carmine.
6 Così nel MS. Ma se per li dieci vasetti promessi dal Poeta nella sua egloga prima (v. 64), s' intende l'egloga stessa, avendola questi effettivamente mandata, legger conviene præmisit.
7 Redarguit tacite Tityrum, quia pa
Dum loquor en comites, et Sol de monte rotabat.1
Mal si conviene. Mentre ch' io ragiono Ecco i compagni, e il Sole omai tramonta.
DANTES ALAGERII JOANNI DE VIRGILIO.
Velleribus colchis præpes detectus Eous Alipedesque alii pulchrum Titana ferebant: Orbita, qua primum flecti de culmine cœpit, Currigerum canthum libratim quemque tenebat," Resque refulgentes, solitæ superarier umbris, Vincebant umbras, et fervere rura sinebant. Tityrus hæc propter confugit et Alphesibous Ad silvam, pecudumque suique misertus uterque, Fraxineam silvam, tiliis platanisque frequentem:
Spogliato già de' velli aurei di Colco Traeva il chiaro Sol l'agile Eoo, E seco gli altri corridori aluti:
L'orbita allor, che a declinar dall' allo Incominciò, dall' una all' altra parte Tenea le rote eguali, e la splendente Vampa, che vinta suol esser dall' ombre, L'ombre vincea, ed arder fea le ville. Titiro e Alfesibeo, di sè e del gregge Pietade avendo, rifuggir per questo Nella selva di frassini, di tigli, E di platani densa: e mentre l'agne
storum interest lacte abundare. en, pro
3 Era dunque il bel mezzo gior
4 magister Fiducius de Milottis de Certaldo medicus, qui tunc morabatur Ravenna.
Et dum silvestri pecudes mistæque capellæ Insidunt herbæ, dum naribus aëra captant, Tityrus heic annosus enim, defensus acerna Fronde, soporifero gravis incumbebat odori, Nodosoque piri vulso de stirpe bacillo Stabat subnixus, ut dicerat Alphesibous.
Quod mentes hominum, fabatur, ad astra ferantur, Unde fuere, nove cum corpora nostra subirent; Quod libeat niveis avibus resonare Caystrum Temperie cœli lætis, et valle palustri;
Quod pisces coëant pelagi, pelagusque relinquant,* Flumina qua primum Nerei confinia tangunt; Caucason Hyrcanæ maculent quod sanguine tigres,
E le caprette in un miste e confuse Si riposan su l'erba, e respirando Van per le nari, qui Titiro il vecchio A un sonnifero odor lasso attendea Sotto l'ombra d'un acero, e appoggiato Stava a un nodoso bastoncel, dal ceppo Svelto d'un pero, perchè Alfesibeo Pur favellasse, il qual si prese a dire: Che l'alme umane agli astri, onde fur trulle I corpi ad informar, faccian ritorno; Che ai cigni lieti pel temprato cielo, E per la valle paludosa, piaccia Empir de' canli loro il bel Caistro; Che uniscansi del mare i pesci, e quando Ne' confini di Nereo entrano i fiumi, Lascino il mar; che il Caucaso di sangue Sozzin Pircane tigri, e con sue squame
2 Dubito, se la virgola vada qui, o dopo nove, la qual parola non so nemmeno se abbia a prendersi per avverbio, o per nome. In qualunque modo intendi sanamente; chè se Alfesibeo qui parla da platonico,egli Dante parla da cristiano per bocca di Beatrice nel canto IV del Paradiso e di Stazio nel
canto XXV del Purg. Alcuni però anche dei Padri della Chiesa, che pur abbominavano la sentenza di Platone, usarono talvolta simiglianti espressio ni, solo per voler dire, che le anime nostre sono da Dio e ritornano a Dio. 3 i. cignis. Caystrum, flumen Asia. Cum intrant aquam dulcem. Nerei, Dei marini.
Et Libyus coluber quod squama verrat arenas, Non miror; nam cuique placent conformia vitæ, Tityre. Sed Mopso miror, mirantur et omnes Pastores alii mecum sicula arva tenentes,
Arida Cyclopum placeant quod saxa sub Ætna.3 Dixerat: et calidus, et gutture tardus anhelo
Jam Melibus adest; et vix, en, Tityre, dixit Irrisere senes juvenilia guttura, quantum
Sergestum e scopulo vulsum risere Sicani. Tum senior viridi canum de cespite crinem Sustulit, et patulis efflanti naribus infit: O nimium juvenis, quæ te nova causa coegit
Che il libico serpente ari il terreno, Stupore alcun non prendo, poichè suole, O Titiro, ciascuno aver diletto
Di seguir ciò, ch'è al viver suo conforme. Ma ben mi maraviglio, e meco tutti Gli altri pastori siculi, che a Mopso Gli aridi sassi aggradin de' Ciclopi
Là presso l'Etna. Avea egli detto, e in quella Già caldo, e tardo per l'ansante gola Melibeo sopraggiunge; ed ecco, o Titiro, A stento pronunciò. Risero i vecchi Al suono giovanil, quanto i Sicani Trar veggendo Sergesto dallo scoglio. Quindi il canuto crin dal verde cespo Alzato il vecchio, a lui che respirava A larghe nari, disse: O giovin troppo, Qual mai novella occasion ti spigne Ad affannar con sì veloce corso
1 Mopso è terzo caso richiesto dal verbo placeant.
2 Quia parvi lucri.
3 Mons Siciliæ pro nitur.
4 s. magister Fiducius.
5 i. ser Dinus Perini.
6 Nota qui il signor canonico Ban
dini: Olim senex, deinde correctum fuit senes.
7 L'istesso signor Bandini: Ab eadem antiqua manu addita est præpositio e.
8 Siciliani. senior, i. Tityrus. canum, caput. Sustulit, elevavit. efflanti, s. Melibao. infit, dixit.
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