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Ma quelle bellezze, che sono fondate su'giusti rapporti delle cose, o sulla natura immutabile del cuore umano, resistono alla forza distruggitrice de' secoli, e sono ammirate dai nipoti, come lo furono dagli avi. Per questo appunto le liriche di Dante, ricche di tanti intrinseci pregii, saranno sempre una scuola eccellente per chi voglia darsi all' arte del dire per rima, e non verranno mai meno nell'ammirazione di tutti coloro, che sanno conoscere e gustare il vero ed il bello.

CAPITOLO V.

DELL' ILLEGITTIMITÀ DI VARII COMPONIMENTI LIRICI

ATTRIBUITI A DANTE ALIGHIERI.

Opera dunque da porsi fra le prime, che si abbia il nostro Parnaso, è il Canzoniere di Dante Alighieri. Ma donde accade che questo Poeta venga rimproverato d'avere scritto alcune di queste sue rime con irregolarità di dizione? Che talora si perda, come gli altri poeti dell'età sua, in arguzie e in una vana ricercatezza d'espressioni? Che si compiaccia nell'estendersi su di alcune particolarità, che il buon gusto esige siano toccate leggermente? Che nei sonetti più specialmente non dispieghi tanta virtù, quanta negli altri suoi lirici componimenti?

Se fra le opere d'un valente scrittore ne fossero intramischiate non poche di altri, inferiori assai di merito a quello; e se uomini per molto sapere autorevoli le avessero tutte egualmente tenute parto della mente istessa, autenticandone per simil guisa la legittimità, l'opinione che del valor di questo scrittore si verrebbe a formare, sarebbe assai minore del vero merito di lui. Così appunto è disgraziatamente avvenuto delle poesie liriche dell' Alighieri. Unita a una canzone del Dante fiorentino trovasene una del Dante maianese; di seguito a una ballata del cantor di Beatrice ne viene un' altra del cantor di madonna Primavera; di fronte a un sonetto del Poeta divino si vede un sonetto del Poeta barbiere. Adunque canzoni, sonetti e ballate di Dante da Maiano, di Guido Cavalcanti, del Burchiello e di parecchi altri antichi poeti sono, per l'inavvertenza ed incuria degli antichi e moderni editori, state in gran numero intruse fra

1 GINGUENÉ, Histoire littéraire d'Italie, Première partie, chap. VII. 2 LEONARDO BRUNI, Vita di Dante.

le rime di Dante, ed hanno menomata la gloria che queste dovevano a lui produrre.

Imbattutomi a vedere come alcune delle canzoni pubblicate col nome del nostro massimo Poeta si trovavano pubblicate altresì col nome di Cino, mi cadde in pensiero di far delle ricerche intorno la loro provenienza e legittimità. Ma perchè ciò addivenne quando le rime di Dante erano omai state stampate, non potei nella prima edizione 1 dare ad esse quell'ordine che loro dar si dovrebbe, e che dò loro in questa seconda, col dividerle in tre parti: cioè collocando nella prima quelle riportate da Dante stesso nella Vita Nuova e nel Convito, quelle ch'ei cita come sue nel Volgar Eloquio, e tutte le altre che con molta probabilità posson tenersi per legittime: nella seconda le dubbie, e nella terza le spurie. Sul bel principio ch'io posi mie cure in cosiffatte ricerche aveva pensato di fermarmi sopra le sole rime contenute nel volume pubblicato dal Caranenti, Mantova 1823, ma in progresso giudicai non poter essere se non di una qualche utilità il raccogliere e l'esaminare tutte le altre, ch'erano state intralasciate dai precedenti collettori, e che potei rinvenire col nome di Dante o in antichi e rari, o in recentissimi libri a stampa. Anzi, così facendo, ebbi in mira non tanto di dare un maggior numero di componimenti, quanto e più particolarmente di porli sott' occhio del lettore, affinchè egli potesse, insieme ai critici miei rilievi, prenderli ad esame; e di portar la falce nel loglio e negli sterpi, che infestano questa bella mèsse, perchè chi dopo di me s'accingesse a voler dare altre più copiose raccolte delle rime di Dante, non dovesse supporre che questi componimenti mi fossero fuggiti di vista.

In diverso modo però giudicai dovermi contenere per le rime inedite, che ne'molti codici fiorentini rinvenni col nome di Dante; vale a dire lasciarle nell'oscurità in cui giacciono: ed eccone le ragioni.

Primieramente poco fondamento dell' autenticità d'un sonetto o d'una canzone d'antico rimatore italiano è da fare sulla semplice autorità d'un codice, poichè la maggior parte di questi non presenta delle raccolte ben ordinate, ma piuttosto degli zibaldoni o centoni di poesie, più anni appresso la morte de' loro autori trascritte, e spesso per mani diverse e in tempi varii. Gli amanuensi di tali rime erano per lo più queglino che ne indicavan l'autore; e ciò facevano secondo la propria opinione, quando non vi fosse una tradizione certa e costante, o quando essendovi non piacesse loro seguirla. Infatti come può diversamente spiegarsi il ve

1 Firenze, presso Allegrini e Mazzoni, 1855.

dere tanti di que' brevi componimenti poetici attribuiti a più autori? La famosa canzone Donna mi prega; perch' io voglio dire non potea a quei tempi ignorarsi essere di Guido Cavalcanti: era ovunque diffusa e letta; era stata tosto comentata e illustrata; l'autore avea per essa riscosso il plauso universale. Eppure agli amanuensi dei codici magliabechiano num. 1100, Cl. VII, e riccardiano num. 1093, piacque toglierla al Cavalcanti e darla all' Alighieri. Così il sonetto Fior di virtù si è gentil coraggio, che nei codici veduti dall' Allacci stava col nome di Folgore da San Gemignano, nel cod. 38, Pl. 42 della Laurenziana si vede col nome di Dante, nel cod. 47, Plut. 90 col nome di Cino, e nel cod. 118 col nome di Simone Forestani. Io potrei porre innanzi molti di questi fatti per confortare la mia asserzione; ma il lettore, io spero, rimarrà appien persuaso, dopo che avrà veduto le disquisizioni bibliografiche e critiche, che ho premesso a ciaschedun poetico componimento pubblicato col nome di Dante.

Secondariamente giudicai non dover tali rime aver luogo fra queste, perchè lo stile non le palesava punto per opera dell' Alighieri, ed a prima vista poteasi ravvisarne la falsità nel modo stesso che di una pittura di Buffalmacco, la quale portasse in fronte il nome di Giotto. Se alcun poco di somiglianza può in qualche parte avere un sonetto di Cino, una canzone del Cavalcanti, colla maniera dantesca, non potrà per certo averla nè un componimento di Butto Messo, ne un altro del Burchiello. Ed in simili abbagli appunto non sarebbero per avventura caduti (in fra gli altri) il Fiacchi ed il Rigoli, uomini peraltro di molto sapere forniti se nella pubblicazione dei componimenti, da essi rinvenuti col nome di Dante, avessero adoperato una critica giudiziosa e circospetta.

Una terza osservazione debbo aggiungere, ed è questa: che l'identità de' nomi può anch'essa facilmente trarre in inganno Un Dante, contemporaneo del nostro, scrisse in poesia volgare: è questi il maianese, del quale le deboli rime furono pur troppo confuse talvolta con quelle del fiorentino. Un altro Dante, pronipote del celebre, fiorì in Verona nel secolo XV, e fu buon poeta latino e volgare, come ne fanno fede Lilio Gregorio Giraldi, dicendo che latina et vernacula lingua non sine laude versus scripsit, e Pierio Valeriano che in un suo endecasillabo lo chiama poetam optimum. Due altri Alighieri, cioè Pietro ed Jacopo, figlioli del nostro Poeta, attesero anch'eglino alla volgar poesia: infatti di Pietro si leggono alcune rime ne' codici della Laurenziana 1 e

1 Vedi il Catalogo del BANDINI, e il MAZZUCCHELI, Scrstovi d'Italia, vol. I, parte I, pag. 495.

si citano nel Vocabolario della Crusca. Altre, esistenti in un codice appartenente a G. B. Boccolini di Foligno, son ricordate dal Crescimbeni, ed alcune si hanno pure nella Riccardiana. Le rime di Jacopo, sappiamo dal Mazzucchelli che si conservano manoscritte in Roma nella Vaticana e nella Ghigiana a' codici 1124 e 589, in Pesaro in un codice miscellaneo esistente presso A. degli Abati Olivieri, e in Firenze nella Strozziana e nella Laurenziana e in alcuni testi a penna già del balì Gregorio Redi e si citano nel Vocabolario della Crusca e dal Crescimbeni.5

Adunque la indicazione o di Dante o di Alighieri, sì per gli arbitrii de' copisti, sì per le somiglianze de'nomi, non può unicamente essere il fondamento della originalità di quelle rime, come han creduto finora (generalmente parlando) i varii editori di esse; ma deve esserlo il componimento stesso, preso in esame. Ciascuno de' sommi poeti, come de' sommi artisti, ha il suo stile e la sua maniera particolare, per la quale può ben ravvisarsi; e Dante specialmente, grande al pari d'Omero nel magistero poetico, si distingue da ogni altro poeta per l'elevatezza de' concetti, per la forza della elocuzione e per la novità delle idee.

Ma si opporrà forse da alcuno che quandoque bonus dormitat Homerus, cioè non esser tutt'oro quel ch'è di Dante, e poter egli avere scritti nell' incominciare del suo poetico studio dei deboli componimenti. Io però senza impugnar questo affatto, farò osservare che in tutto intiero un Sonetto, in tutta intiera una Canzone, la qual sia di Dante, è impossibile non rinvenire alcun tratto che palesi quel gran poeta,

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come nel suo Poema non s'incontrano quattro consecutivi ternarii, nei quali non risplenda qualche bellezza. Nella Vita Nuova abbiamo i primi saggi del suo poetico ingegno, e nella Vita Nuova appunto si trova il bellissimo sonetto Tanto gen tile, di cui abbiamo fatto parole più sopra, gli altri lodati dal Muratori, e le canzoni e le ballate, delle quali con molta lode parlò il Ginguené.

Or dunque anche questi primi saggi poetici dell' Alighieri erano tali da stare al di sopra de' componimenti di tutti gli altri rimatori di quell'età; e Dante veniva così a pelesarsi

1 Storia della volgar poesia, vol. V, pag. 12.

2 Nei Cod. IX e XXVI. Vedi il Catalogo del LAMI.

3 Scrittori d'Italia, vol. I, parte I, pag. 492.

4 Cod. 42, Plut. L.I.

Storia della volgar poesia, vol. III, pag. 1850.

per un grand' ingegno fin dal principio ch' egli si diede alle lettere. Laonde io ripeterò che non la fallace autorità di uno o più codici dee essere il fondamento dell' autenticità delle rime di Dante, ma sì il componimento stesso, considerato e per rispetto allo stile e per rispetto alle particolarità, risguardanti le opinioni e la vita del Poeta.

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Se nessuno, per quanto sia a nostra notizia, si è accinto finora a entrar di proposito in queste critiche ricerche, alcuni peraltro sospettarono forte dell' originalità di varie rime a Dante attribuite, e fra questi il Dionisi ed il Perticari, che tanto studio posero intorno le opere del nostro Poeta. Il primo di essi fra le altre cose disse: « Le rime legittime di Dante, le quali sono per anche terra incognita alla Repubblica delle Lettere, debbono essere separate dalle spurie, cacciatevi per entro dalla vanità degl' imperiti editori. Di ventidue » canzoni a lui attribuite nella stampa del Zatta, sole tredici sono sue. Sonetti ancora e ballate gli furono attribuite che " di lui non sono. » 1 Ed il Perticari: «Di due fregi dovrebbe " ornarsi una ristampa delle rime di Dante; e le farebbero grande onore. L'uno sarebbe una bella chiosa, che le ri"schiarasse; l'altro un severo giudicio che sequestrasse le "certe dalle non certe; le legittime dall'adultere. Il primo è lavoro di lunga fatica, e grave d'assai; il secondo è assai opera » difficile e sottile. Nei Codici si leggono versi or col titolo di Dante, or con quello di Alighieri; onde pel nome so» vente si baratta l'oro del poeta divino, col piombo di Dante » da Maiano; e pel cognome si cangiano rime del padre con quelle de' figli e de' nepoti di lui, poeti infelici, i quali vennero al mondo per mostrare che la virtù de' maggiori rado » si travasa d'una in un'altra generazione Ora i cercatori » de' vecchi libri hanno spacciato per opere del nostro Poeta » tutte quelle, che hanno trovato sotto il sigillo ora di quel "nome, ora di quel cognome; nè hanno badato alla confursione della persona de' figli con quella del padre, e dello "scomposto e pedestre Maianese coll' altissimo Fiorentino. "Ecco ragione, per cui molti di quei versi che da Dante si nominano, sono trovati indegni di sì gran nome. Qui è dunque necessaria la facella della critica, che entri in questo buio e lo squarci. È necessario che alcun maestro esamini » bene i codici più solenni; e scelga quelle rime che sono segnate più della interna loro bellezza, che dal solo titolo » esterno; e quelle conceda alla imitazione e al diletto degli Italiani. Di quante rimangono si dovrebbe far poi un'appendice, siccome gli eruditi del secolo XV fecero delle cose

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1 Aneddoto II, pag. 97.

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