PARTE PRIMA. SONETTO I. A ciascun'alma presa, e gentil core, 8 Del tempo, che ogni stella è più lucente, Mio core in mano, e nelle braccia avea Pensando al dolcissimo saluto di Beatrice, fu Dante sopraggiunto da un soave sonno, nel quale egli ebbe (secondo che narra nella Vita Nuova) una mirabil visione. Svegliatosi, si propose di scrivere un sonetto, in cui trattare di quelle cose che gli era sembrato vedere, e quindi indirizzarlo ai più famosi poeti di quel tempo, perchè ne giudicassero, ed emettessero la loro opinione. Fra i varii Trovatori che, rispondendo per rima, scrissero a Dante il loro parere intorno cotale visione, uno fu Guido Cavalcanti col sonetto Vedesti al mio parere ogni valore, un altro Cino da Pistoia con quello Naturalmente chere ogni amatore, e un terzo Dante da Maiano col suo Di ciò che stato sei dimandatore. 1 presa, cioè, innamorata. È frequente negli antichi poeti. 2 In ciò che leggono la maggior parte de' testi; ma la lezione A ciò che, ch'è del codice magliabechiano 1108 e del laurenziano 20, è da preferirsi. 3 parvente, cioè parere, voce antiquata. É dal provenzale parven. 4 eran quasi che atterzate l'ore, cioè, crano quasi le quattr' ore, la terza parte delle dodici. 5 Del tempo, ch'ogni stella è più lu cente, vale a dire della notte, poichè nel giorno lo splendore delle stelle è vinto da quello del Sole. 6 subitamente, ad un tratto, all'improvviso, dal lat. subito. 7 Cui essenza membrar mi dà orrore, int. L'essenza del quale (cioè d'Amore) a considerarla mi fa spavento. 8 involla in un drappo dormendo, che dormiva involta in un drappo. 9 esto, altri testi leggon esso. 10 ardendo, che ardeva. SONETTO II. Guido, vorrei che tu e Lapo ed io E messi ad un vascel, ch' ad ogni vento E ciascuna di lor fosse contenta, All'amico suo Guido Cavalcanti indirizzò l'Alighieri il presente sonetto, a cui vuolsi che quegli rispondesse coll' altro S'io fossi quello che d'amor fu degno (Vedi le Rime del Cavalcanti per cura del Cicciaporci, pag. 128). La Bice qui nominata è, come ognuno può immaginarsi, la Beatrice dell' Alighieri, Vanna o Giovanna l'amorosa di Guido Cavalcanti, l'altra che nel serventese, scritto da Dante (siccome dice nella Vita Nuova) in lode delle sessanta più belle donne di Firenze, cadeva in sul numero trenta, era la donna di Lapo Gianni. Col nome di Dante Alighieri vedesi questo sonetto nell' edizione giuntina a c. 134 retro, non che in tutte le sue ristampe, e nel codice magliabechiano 991. E per poesia di Dante lo ritennero pure il Barbieri (Poesia rim., pag. 77) e il Dionisi (Anedd, II, pag. 43). 1 ad un vascel; altri testi leggono in un... 2 fortuna, tempesta. 3 vivendo sempre in un talento, lezione del cod. magliabechiano, cioè vivendo sempre in una stessa volontà. Altri testi portano vivendo sempre in noi'l talento. Quella che nel serventese, scritto da Dante in lode delle sessanta più belle donne di Firenze, cadeva sul numero trenta, era (siccome ho detto di sopra) la donna di Lapo Gianni; ma del suo nome tace l'istoria. 5 sariamo, saremmo. 6 Il Crescimbeni e il Muratori si perdono in congetture per fissar l' ероса, in cui fiori Lapo Gianni. Ma il sonetto presente ce lo fa chiaramente conoscere contemporaneo dell' Alighieri. BALLATA I. O voi, che per la via d'Amor passate,1 S'egli è dolore alcun, quanto 'l mio, grave: E poi immaginate S'io son d'ogni tormento ostello e chiave. Amor non già per mia poca bontate,2 Ma per sua nobiltate, Mi pose in vita si dolce e soave, Ch'io mi sentia dir dietro assai fïate: 3 Deh! per qual dignitate Cosi leggiadro questi lo cor have? Ora ho perduta tutta mia baldanza, In guisa, che di dir mi vien dottanza.” Che, per vergogna, celan lor mancanza, E dentro dallo cor mi struggo e ploro Dante nella sua gioventù guardava (come dicemmo nella dissertazione) a tener celato all' altrui conoscenza l'amor suo per Beatrice. Ma avendo composto un serventese (capitolo in terza rima), nel quale, lodando le sessanta più belle donne di Firenze, avea collocato in sul numero nove il nome della donna sua, corse gran rischio di far palese il segreto. Prese egli allora l'occasione dell' esser partita dalla città una di quelle gentildonne che avea nel serventese nominate, e di cui per l'avanti (fingendosene innamorato) s' avea fatto schermo alla verità, e, lamentandosi della partita di lei, tentò ricondurre la gente alla primiera credenza. Questa è l'origine della presente ballata, inserita da Dante nel suo libro della Vita Nuova. 10 voi ec. È secondo quelle parole del profeta Geremia; O vos omnes, qui transitis per viam, atlendite ec. 2 per mia poca bontade, cioè per un qualche poco di mia bontà. 3 Invece di assai fiate, altri testi, togliendo la dieresi dalla voce fate, che ordinariamente lo richiede, leggono molte fiate. dottanza, dubitanza, timore, dal verbo ant. dottare, e dal provenzale doptar. 5 allegranza, cioè allegrezza. 6 dallo, elegantemente per allo. 11 verso leggesi anco cosi: E di dentro dal cor mi stringo e ploro. Ed altresi: E dentro al core mi distruggo e ploro. SONETTO III. Piangete, amanti, poichè piange Amore, E riguardava inver lo ciel sovente, 4 Che donna fu di si gaia sembianza. Accadde all' Alighieri di veder giacente in mezzo di molte donne, che pietosamente piangevano, il corpo d' una giovinetta la quale fu assai graziosa e di molto gentile aspetto. E ricordandosi d'averla veduta altre volte far compagnia a Bea |