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SONETTO XXXIX.

Dice il Poeta che tutti i sette Pianeti a fondono le virtù loro nella sua donna.

Da quella luce che 'l suo corso gira Sempre al volere dell' empiree sarte, E stando regge tra Saturno e Marte, Secondo che lo astrologo ne spira;

Quella che in me col suo piacer ne aspi D'essa ritragge signorevol arte;

E quei che dal ciel quarto non si parte,
Le dà l'effetto della mia desira;

Ancor quel bel pianeta di Mercuro
Di sua vertute sua loquela tinge;
E 'l primo ciel di se già non l'è duro.

Colei che 'l terzo ciel di se costringe,
Il cor le fa d'ogni eloquenza puro:
Così di tutti i sette si dipinge '.

1 Si noti che a' tempi di Dante l'Astronomia era in fasce, conseguenza l'Astrologia dominava.

SONETTO XL.

Se la sua donna non diviene pietosa, il Poeta prevede di dover morire.

Ahi lasso, ch' io credea trovar pietate,
Quando si fosse la mia donna accorta
Della gran pena che lo mio cor porta;
Ed io trovo disdegno e crudeltate,

Ed ira forte in luogo d' umiltate,
Sicch' io m' accuso già persona morta,
Ch'io veggio che mi sfida e mi sconforta,
Ciò che dar mi dovrebbe sicurtate.

Però parla un pensier che mi rampogna,
Com' io più vivo, no sperando mai
Che tra lei e pietà pace si pogna:

Onde morir pur mi convene omai;
E dir che mal vidi Bologna ',
E quella bella donna ch' io guardai.

posso

1O qui si tratta d'un terzo, d'un quarto, o d'un quinto amore di Dante; o s'inganna chi afferma che, dopo Beatrice, egli non amò che una giovane Lucchese, nominata Gentucca. Qui parla di Bologna, e in quei tempi le donne non solcano viaggiare.

SONETTO XLI.

Per malattia della sua donna: dialogo tra il Poeta e alcune donne gentili.

Voi, donne, che pietoso atto mostrate,
Chi è esta donna, che giace sì vinta?
Sare' mai quella ch'è nel mio cor pinta?
Deh s'ella è dessa, più non mel celate.

Ben ha le sue sembianze sì cambiate,
E la figura sua mi par si spinta ';
Ch' al mio parere ella non rappresinta 2
Quella che fa parer l'altre beate.

3 Se nostra donna conoscer non puoi, Ch'è sì conquisa, non mi par gran fatto; Perocchè quel medesmo avvene a noi.

Ma se tu mirerai al gentil atto
Degli occhi suoi, cognoscerala poi:
Non pianger più, tu sei già tutto sfatto.

1

2

Spinta, per la rima, invece di spenta.

Rappresinta, per la rima, in luogo di rappresenta.

3 Sin qui parlò il Poeta, ora rispondono le donne.

SONETTO XLII.

Nello stesso argomento 1.

Onde venite voi così pensose?
Ditemel, s'a voi piace, in cortesia;
Ch'i' ho dottanza che la donna mia
Non vi faccia tornar così dogliose:

Deh, gentil donne, non siate sdegnose,
Nè di ristare alquanto in questa via,
E dire al doloroso che disia

Udir della sua donna alcune cose;

Avvegnachè gravoso m' è l'udire;
Si m'ha in tutto Amor da se scacciato,
Ch'ogni suo atto mi trae a ferire:

Guardate bene, s' io son consumato; Ch'ogni mio spirto comincia a fuggire, Se da voi, donne, non son confortato.

'Questo Sonetto mi sembra molto conforme al Sonetto XII pag. 59. Forse che il Poeta ne avea composti due nella stessa occasione, e quel solo inserì nella Vita Nuova ch' egli credeva il migliore.

ISC

SONETTO XLIII.

Le grazie e le virtù possono ben addolcire e nobilitare l'Amore, ma soggiogarlo non mai.

Savere e cortesia, ingegno ed arte,
Nobilitate, bellezza e riccore',
Fortezza, e umiltate, e largo core,
Prodezza ed eccellenza, giunte e sparte;

Este grazie e vertuti in onne parte,
Con lo piacer di lor, vincono amore;
Una più ch'altra bene ha più valore
Inverso lui, ma ciascuna n' ha parte:

Onde se voli, amico, che ti vaglia
Vertute naturale od accidente,
Con lealtà in piacer d' amor l'adovra,

E non a contastar sua graziosa ovra;
Che nulla cosa gli è incontro possente,
Volendo prendere om con lui battaglia.

1 Riccore, ricchezza.

2 È Sonetto di risposta ad altro Sonetto di Dante da Majano.

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