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Che non pur lui, ma 'l suo onor difende :
E certo la sua doglia più m' incende,
Quand' io mi penso ben, donna, che vui
Per man d' Amor là entro pinta sete:
Così e voi devete

Vie maggiormente aver cura di lui;

Che quel, da cui convien che 'l ben s' appari, Per l' imagine sua ne tien più cari.

Se dir voleste, dolce mia speranza,
Di dare indugio a quel ch' io vi domando,
Sacciate che l' attender più non posso;
Ch' io sono a fine della mia possanza:
E ciò conoscer voi dovete, quando
L'ultima speme a cercar mi son mosso:
Che tutti i carchi sostenere addosso
De' l' uomo infino al peso ch' è mortale,
Prima che 'l suo maggiore amico provi;
Che non sa, qual sel trovi;

E s'egli avvien che gli risponda male,
Cosa non è che tanto costi cara,
Che morte n' ha più tosta, e più amara.

E voi pur sete quella ch' io più amo;
E che far mi potete maggior dono,
E 'n cui la mia speranza più riposa :
Che sol per voi servir, la vita bramo;

E quelle cose ch' a voi onor sono,
Dimando e voglio; ogni altra m' è nojosa:
Darmi potete ciò ch' altri non osa;

Ch' il sì e 'l no tututto in vostra mano

Ha

posto Amore; ond' io grande mi tegno. La fede ch' io v' assegno,

Muove dal vostro portamento umano;
Che ciascun che vi mira, in veritate
Di fuor conosce che dentro è pietate.

Dunque vostra salute omai si muova,
E vegna dentro al cor che lei aspetta,

Gentil madonna, come avete inteso:
Ma sappi ch' allo entrar di lui si trova
Serrato forte di quella saetta

Ch' Amor lanciò lo giorno ch' io fu’ preso;
Perchè lo entrare a tutti altri è conteso,

Fuor ch' a' messi d' Amor, ch' aprir lo sanno Per volontà della vertù che 'l serra:

Onde nella mia guerra

La sua venuta mi sarebbe danno,
S'ella venisse senza compagnia

De' messi del signor che m' ha in balia.

Canzone, il tuo andar vuol esser corto; Che tu sai ben, che picciol tempo omai Puote aver luogo quel perchè tu vai.

CANZONE XVII.

LA MONTANINA.

'Amor, dacchè convien pur ch' io mi d Perchè la gente m' oda,

E mostri me d' ogni vertute spento;

Dammi savere a pianger, come voglia;
Sicch' il duol che si snoda,

Porti le mie parole com' io 'l sento:

Tu vuoi ch' io muoja; ed io ne son content
Ma chi mi scuserà, s' io non so dire
Ciò che mi fai sentire?

Chi crederà ch' io sia omai sì colto?
Ma se mi dai parlar quanto tormento,
Fa, signor mio, che innanzi al mio morire
Questa rea per me nol possa udire;
Che se intendesse ciò ch' io dentro ascolto,
Pietà faria men bello il suo bel volto.

1 È opinione del celebre Valeriano Vannetti che questo al simo Poeta, ne' suoi frequenti viaggi lungo il fiume Adige, a bia dimorato alcun tempo in qualche castello de' Castelbar nella valle Lagarina presso Roveredo, e che ivi compones questa Canzone.

Io non posso fuggir ch' ella non vegna Nell' imagine mia,

Se non come il pensier che la vi mena: L'anima folle, ch' al suo mal s' ingegna, Come ella è bella e ria,

Così dipinge e forma la sua pena :

Poi la riguarda, e quando ella è ben piena
Del gran desio che dagli occhi la tira,
Incontra a se s' adira,

Ch' ha fatto il foco, ove ella trista incende.
Quale argomento di ragion raffrena,
Ove tanta tempesta in me si gira?
L'angoscia che non cape dentro, spira
Fuor della bocca sì ch' ella s' intende,
Ed anche agli occhi lor merito rende.

La nemica figura, che rimane
E signoreggia la vertù che vuole,
Vaga di se medesma andar mi fane
Colà dove ella è vera,

Come simile a simil correr suole:

Ben conosc' io, che va la neve al sole;
Ma più non posso: fo come colui
Che, nel podere altrui,

Va co' suoi piè colà dove egli è morto:
Quando son presso, parmi odir parole
Dicer: vie via; vedrai morir costui?

Allor mi volgo, per veder a cui
Mi raccomandi; a tanto sono scorto
Dagli occhi che m'ancidono a gran torto.

Qual io divenga sì feruto, Amore,
Sal contar tu, non io,

Che rimani a veder me senza vita:
E se l'anima torna poscia al core,
Ignoranza ed oblio

Stato è con lei, mentre ch' ella è partita.

Quando risurgo, e miro la ferita

Che mi disfece quando io fui
Confortar non mi posso,
Sicch' io non tremi tutto di

percosso,

paura:

E mostra poi la faccia scolorita

Qual fu quel tono che mi giunse addosso;

Che se con dolce riso è stato mosso,

Lunga fiata poi rimane oscura;

Perchè lo spirto non si rassicura.

Così m' hai concio, Amore, in mezzo l' alpi, Nella valle del fiume,

Lungo il qual sempre sopra me sei forte :

Qui vivo e morto, come vuoi, mi palpi;
Mercè del fiero lume,

Che folgorando fa via alla morte.

Lasso, non donne qui, non genti accorte

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