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La più probabile origine di questo nome a me sembra quella che si adduce dal marchese Maffei, e prima di lui era stata recata da Torquato Tasso (V. Pelli §. 17.), cioè che avendo Dante distinti tre stili, il sublime da lui detto tragico, il mezzano ch'ei chiamò comico, e l'infimo ch'ei disse elegiaco, diede il titolo di Commedia al suo poema, perchè ei si prefisse di scriverlo nello stile di mezzo. Ma non così ne han giudicato i più saggi discernitori del bello e del sublime poetico, che han rimirato e rimiran tuttora la Commedia di Dante, come uno de' più maravigliosi lavori che dall' umano ingegno si producesser giammai. Lasciamo stare l'erudizione per quei tempi vastissima, che vi s'incontra, per cui Dante è stato detto a ragione profondo teologo non meno che filosofo ingegnoso, poichè egli mostra di aver appreso quanto in quelle scienze poteasi allora apprendere, e consideriamo la Commedia di Dante solo in quanto ella è poesia. Io so che essa non è nè commedia, nè poema epico, nè alcun altro regolare componimento. E qual maraviglia s'essa non è ciò che Dante non ha voluto che fosse? So che vi si leggon sovente cose inverisimili e strane; che le imagini sono talvolta del tutto contro natura; ch' ei fa parlare Virgilio in

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molto vi ha di languido, e che di alcuni appena si può sostener la lettura; che i hanno spesso spesso un' insofferibil durez che le rime non rare volte sono così sfor strane che ci destano alle risa; che in so Dante ha non pochi e non leggeri difetti c niun uomo, il qual non sia privo di buon se potranno giammai scusarsi. Ma, in mez tutti questi difetti, non possiamo a meno di riconoscere in Dante tai pregi che sareb bramare di vederli ne' nostri poeti più sp che non si veggono. Una vivacissima fanta un ingegno acuto, uno stile a quando a qua sublime, patetico, energico che ti solleva e pisce, imagini pittoresche, fortissime invetti tratti teneri*e passionati, ed altri somiglia ornamenti onde è fregiato questo, o poem o, comunque vogliam chiamarlo, lavoro po tico, sono un ben abbondante compenso de' fetti e delle macchie che in esso s'incontran E assai più chiaramente vedremo qual lode del basi a Dante, se poniam mente a' tempi in cu egli visse. Qual era stata fin allora la poesia ita liana? Poco altro più che un semplice accozza mento di parole rimate, con sentimenti per lo più languidi e freddi, e tutti comunement

p.

d'amore, ovver precetti morali, ma esposti senza una scintilla di fuoco poetico. Dante fu il primo che ardisse di levarsi sublime, di cantar cose a cui niuno avea ardito rivolgersi, di animare la poesia e di parlare un linguaggio sin allora non conosciuto. Ammiriam dunque in lui ciò che anche al presente è più facile ammirar che imitare; e scusiamo in lui que' difetti che debbonsi anzi attribuire al tempo in cui visse il poeta, che al poeta medesimo. Io non entrerò qui a rigettare i sogni del Arduino che pretese di togliere a Dante la gloria di questo lavoro (Mém. de Trév. 1717, août), e se pur essi han bisogno di confutazione, ciò è stato già fatto dall'eruditissimo sig. marchese ab. Giuseppe Scarampi ora degnissimo vescovo di Vigevano (Innanzi al t. 1 dell' ediz. di Dante in Ver. 1749). Solo non è da omettere che Dante avea cominciata quest'opera in versi latini, e oltre i tre primi versi che il Boccaccio ne recita nella Vita di lui, alcuni codici si conservano che ne hanno un numero anche maggiore (V. Pelli loc. cit. S. 17 p. 111 nota 3). Ma ei fu saggio in mutare consiglio; poichè verisimilmente egli avrebbe ottenuta fama minore assai scrivendo in latino, come è avvenuto al Petrarca.

Appena la Commedia di Dante fu publi

cata, ch'ella divenne tosto l'oggetto dell' ammirazione di tutta l'Italia. E ne son pruova non solo i moltissimi codici che ne abbiamo, scritti in quel secol medesimo, ma più ancora i comenti con cui molti presero ad illustrarla. E tra' primi a farlo furono, come ben conveniva, Pietro e Jacopo figliuoli di Dante, delle cui fatiche sopra il poema del padre, che ancor si giacciono inedite, parlano il sig. Pelli (S. 4) e l'ab. Mehus (Vita Ambr. camald. p. 180), il qual secondo scrittore accenna ancora ( Ib. e p. 137) i Comenti di Accorso de' Bonfantini Francesdi Micchino da Mezzano canonico di Ravenna, di un anonimo che scrivea nel 1334, e di più altri spositori di Dante in questo secol medesimo. Giovanni Visconti arcivescovo e signor di Milano circa l'anno 1350 radunò sei de' più dotti uomini che fossero in Italia, due teologi, due filosofi e due di patria Fiorentini, e commise loro che un ampio comento scrivessero sulla Commedia di Dante, di cui al presente conservasi copia nella Biblioteca Laurenziana in Firenze (Mehus loc. cit.). Chi fossero questi comentatori, non è ben certo; ma il Mehus paragonando il comento che Jacopo dalla Lana in questo medesimo secolo scrisse su Dante, e che vedesi anche alle stampe, e le Chiose sullo

stesso poeta attribuite al Petrarca, che nella citata biblioteca si trovano, ne congettura che amendue fosser tra quelli, che vennero in tal lavoro impiegati. L'ab. de Sade però si crede ben fondato a pensare (Mém. de Petr. t. 3. p. 515.), che il Petrarca non iscrivesse comento alcuno su Dante. Il fondamento, a cui egli si appoggia, è una lettera del Petrarca al Boccaccio, che trovasi nell'edizione delle Lettere di questo poeta, fatta in Ginevra l'anno 1601, in cui egli si duole di esser creduto invidioso della fama di Dante. Ei veramente non nomina mai questo poeta, ma, a parere dell'ab. de Sade, parla in tal modo ch'è evidente che parla di Dante. Ei dunque, rispondendo al Boccaccio che lodato avea questo poeta, gli dice ch'egli è ben giusto ch'ei si mostri grato a colui, ch'è stato la prima guida ne' suoi studi; che ben dovute sono le lodi di cui l'onora; ch'esse sono assai più pregevoli degli applausi del volgo; e che egli stesso con colui si congiunge a lodar quel poeta volgare nello stile, ma nobilissimo ne' pensieri. Quindi si duole di ciò che spargeasi, ch'ei fosse invidioso del gran nome di cui quegli godeva; dice ch' ei non l'avea veduto che una volta sola essendo fanciullo, o a dir meglio, che una volta gli era stato mostrato a dito; che quegli

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