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che su quest'autore egli scrisse, di cui il Muratori ha dati alla luce que' tratti (Antiq. Ital., t. 1.) che giovano ad illustrare la storia. Da un di essi sembra raccogliersi ch'ei lo scrivesse nel 1389, perciocchè, parlando del Campidoglio, dice (ib. p. 1070): Sed proh dolor! istud sumptuosum opus destructum et prostratum est de anno præsenti 1389 per populum Romanum. E così veramente si legge nel codice MS. che ne ha questa Biblioteca Estense. Ma l'ab. Mehus riflette (p. 182), che in un codice della Laurenziana si legge MCCCLXXIX, e così veramente mi sembra che debba leggersi, poichè in quest'anno i Romani espugnarono il Campidoglio occupato fin allora da' fautori dell' antipapa Clemente. È certo però, ch'ei vi leggeva Dante fino dal 1375, poichè ei dice che avendo scoperto un grave disordine in quella università in M CCC LXXV, dum essem Bononiæ, et legerem istum librum (l. cit. p. 1063), ne diede avviso al cardinal di Bourges legato, il quale in quest' anno appunto ebbe il governo di Bologna (Ghirardacci t. 2. p. 333). Ei dedicò il suo Comento al marchese Niccolò II d'Este, da cui dice di essere stato consigliato a distenderlo e a publicarlo. Anche in Pisa fu istituita la lettura di Dante, ed essa fu data, circa il 1385 a Francesco di Bartolo da

Buti, di cui e del Comento ch' egli pure scrisse su Dante, e di qualche altra operetta da lui composta, veggasi il conte Mazzucchelli ( Scritt. ital. t. 2. par. 4. p. 2468), e gli altri scrittori da lui citati. In Venezia ancora leggevasi in questo secolo Dante da Gabriello Squaro Veronese, come prova il p. degli Agostini (Scritt. Venez. t. 1. pref. pag. 27). Finalmente nel Catalogo, da noi mentovato più volte, de' professori dell' università di Piacenza, all' anno 1399 veggiam assegnato lo stipendio mensuale di L. 5. 6. 8. M. Philippo de Regio legenti Dantem et Auctores (Script. rer. ital. vol. 20 p. 940). Altri al tempo medesimo presero a tradurre Dante in versi latini; e il primo fu Matteo Ronto Monaco Olivetano, del quale ragioneremo fra' poeti latini del secolo seguente a cui appartiene. Egli è vero però, che tutte queste fatiche, con cui a que' tempi cercossi di rischiarar Dante, non produsser gran frutto. In vece di occuparsi in rilevarne le bellezze poetiche, in illustrarne i passi più oscuri, in di chiarare le storie che vi si trovano solo accennate, la maggior parte degl' interpreti gittavano

il

tempo nel ricercarne le allegorie e i misteri. Ogni parola di Dante credeasi che racchiudesse qualche profondo arcano, e perciò i comentatori poneano tutto il loro studio nel penetrar dentro

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a quella pretesa caligine, e nel ridurre il senso mistico al letterale. E chi sa quanti pensieri hanno essi attribuiti a Dante, che a lui non erano mai passati pel capo! Ma checchessia del successo delle loro fatiche, l'ardore con cui le intrapresero, ci fa vedere quanta fosse in questo secol la brama di venirsi instruendo, e in quanto pregio si avessero i buoni studi, o quelli almeno, che allora credevansi buoni.

LE POESIE LIRICHE

DI

DANTE ALIGHIERI

TRATTE DALLA VITA NUOVA,

DAL CONVITO,

E DALLE MIGLIORI RACCOLTE DELLE SUE RIME.

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