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SONETTO XIV.

Vedendo Beatrice, preceduta da altra giovane.

lo mi senti' svegliar dentro dal core
Un spirito amoroso, che dormia:
E poi vidi venir da lungi Amore,
Allegro sì, ch' appena il conoscia,

Dicendo: or pensa pur di farmi onore;
E ciascuna parola sua ridia '.

E

poco stando me col mio signore, Guardando in quella parte onde venia,

2

I' vidi monna Vanna 2 e monna Bice
Venire in ver lo loco, là ov'io era,
L'una appresso dell'altra maraviglia:

E siccome la mente mi ridice,
Amor mi disse: questa è Primavera;
E quella ha nome Amor; sì mi somiglia.

1 Ridia, ridea; come prima conoscia, conoscea.

2 Questa donna era Giovanna, salvo che per la sua biltà { secondo ch'altri crede) imposto l'era nome Primavera.

(DANT. V. N.)

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SONETTO XV.

IL SALUTO.

Tanto gentile e tanto onesta pare La donna mia, quand' ella altrui saluta; Ch'ogni lingua divien tremando muta; E gli occhi non l'ardiscon di guardare.

Ella sen va, sentendosi laudare, Umilemente d'onestà vestuta ':

E par,

che sia una cosa venuta

Di cielo in terra, a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira; Che dà per gli occhi una dolcezza al core, Che 'ntender non la può, chi non la

E

par,

che dalla sua labbia si mova

Un spirito soave, pien d' Amore,

pruov

Che va dicendo all' anima: sospira.

Ella, coronata e vestita d'umiltà, s'andava, nulla mostrando di ciò ch'ella vedeva e udiva. Dicevano molti, chè passata era: questa non è femmina, anzi è uno delli b simi Angeli del cielo. (DANT. V. N.)

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Vede perfettamente ogni salute, Chi la mia donna tra le donne vede: Quelle che vanno con lei, son tenute Di bella grazia a Dio render merzede.

E sua biltà è di tanta virtute,
Che nulla invidia all' altre ne procede;
Anzi le face andar seco vestute
Di gentilezza, d'amore e di fede.

La vista sua fa ogni cosa umile,
E non fa sola se parer piacente;
Ma ciascuna per se riceve onore.

Ed è negli atti suoi tanto gentile, Che nessun la si può recare a mente, Che non sospiri in dolcezza d'Amore 1.

1 Questo Sonetto ha tre parti. Nella prima dico che tra gente questa donna parea più mirabile. Nella seconda dico siccome era giojosa la sua compagnia. Nella terza dico quelle cose le quali operava in altrui. (DANT. V. N.)

CANZONE III,

cominciata per lodare Beatrice, interrotta per la sua morte.

Si lungamente m'ha tenuto Amore,
E costumato alla sua signoria,
Che così, com'el m'era forte in pria,
Così mi sta soave ora nel core.
Però quando mi toglie sì il valore,
Che gli spiriti par che fuggan via;
Allor sente la frale anima mia
Tanta dolcezza, che 'l viso ne smore.
Poi prende Amore in me tanta virtute,
Che fa gli spirti miei andar parlando:
Ed escon fuor chiamando

La donna mia, per darmi più salute:
Questo m'avviene, ovunch' ella mi vede,
E sì è cosa umil, che non si crede.

Quomodo sola sedet civitas plena populo: facta est quasi vidua
domina gentium. Io era nel proponimento ancora di questa
Canzone, e compiuta n' avea questa soprascritta Stanza; quan-
do il Signore della Giustizia chiamò questa gentilissima, a
gloriare sotto la insegna di quella Reina benedetta, Maria, lo
cui nome fu in grandissima reverenzia nelle parole di questa
Beatrice beata.
(DANT. V. N.)

บท

CANZONE IV.

IN MORTE DI BEATRICE.

'Gli occhi dolenti per pietà del core Hanno di lacrimar sofferta pena;

Sicchè per

vinti son rimasi omai:

Ora, s' ï' voglio sfogare il dolore,

Ch' appoco appoco alla morte mi mena,
Convienmi di parlar traendo guai:
E perch'el mi ricorda, ch' io parlai
Della mia donna, mentre che vivia,
Donne gentili, volentier con vui;
Non vo' parlare altrui,

Se non a cor gentil che 'n donna sia:
E dicerò di lei, piangendo pui,
Che se n'è ita in ciel subitamente;
Ed ha lasciato Amor meco dolente.

1 Poichè gli mici occhi ebbero per alquanto tempo lacrimato, e tanto affaticati erano che io non poteva sfogare la mia tristizia; pensai di volerla sfogare con alquante parole dolorose; e però proposi di fare una Canzone, nella quale piangendo ragionassi di lei, per cui tanto dolore era fatto distruggitore dell'ani ma mia; e cominciai: Gli occhi dolenti. (DANT. V. N.)

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