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Ivi eran quei che fur detti felici,
Pontefici, regnanti, e 'mperadorì:
Or sono ignudi, miseri e mendici.
U'son or le ricchezze? u' son gli onori,
E le gemme, e gli scettri e le corone,
Le mitre con purpurei colori?
Miser chi speme in cosa mortal pone:
(Ma chi non ve la pone?) e s' ei si trova
Alla fine ingannato, è ben ragione.
O ciechi, il tanto affaticar che giova?
Tutti tornate alla gran madre antica,
El nome vostro appena si ritrova.
Pur delle mille un' utile fatica,

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Che non sian tutte vanità palesi; Chi'ntende i vostri studj, sì mel dica. Che vale a soggiogar tanti paesi,

E tributarie far le genti strane

Con gli animi al suo danno sempre accesi?
Dopo l'imprese perigliose e vane,

E col sangue acquistar terra e tesoro,
Via più dolce si trova l'

acqua e 'l pane,
El vetro e'l legno, che le gemme e l'oro:
Ma per non seguir più si lungo tema,
Tempo è ch' io torni al mio primo lavoro.

I' dico che giunt' era l'ora estrema

Di quella breve vita gloriosa,

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E'l dubbio passo di che 'l mondo trema. 105 Er' à vederla un'altra valorosa

sciolta,

Schiera di donne non dal corpo
Per saper s'esser può Morte pietosa.
Quella bella campagna er' ivi accolta
Pur a veder e contemplar il fine
Che far conviensi, e non più d'una volta.

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Tutte sue amiche, e tutte eran vicine:
Allor di quella bionda testa svelse

Morte con la sua mano un aureo crine. 115 Cosi del mondo il più bel fiore scelse, Non già per odio, ma per dimostrarsi Più chiaramente nelle cose eccelse. Quanti lamenti lagrimosi sparsi

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Fur ivi, essendo quei begli occhi asciutti
Per ch' io lunga stagion cantai ed arsi!
E fra tanti sospiri e tanti lutti

Tacita e lieta sola si sedea,

Del suo bel viver già cogliendo i frutti. Vattene in pace o vera mortal Dea,

Diceano e tal fu ben; ma non le valse Contra la Morte in sua ragion sì rea. Che fia dell'altre, se quest' arse ed alse In poche notti, e si cangiò più volte? O umane speranze cieche e false ! 130 Se la terra bagnar lagrime molte

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Per la pietà di quell' alma gentile,
Ch'il vide, il sa: tul pensa che l'ascolte
L'ora prim'era, e'l di sesto d'Aprile,
Che già mi strinse, ed or, lasso, mi sciolse:
Come Fortuna va cangiando stile.
Nessun di servitù giammai si dolse

Ne di morte, quant' io di libertate
E della vita ch'altri non mi tolse.
Debito al mondo e debito all' etate

Cacciar me innanzi, ch' era giunto in prima,
Nè a lui torre ancor sua dignitate.
Or qual fusse'l dolor, qui non si stima.
Ch' appena oso pensarne; non ch' io sia
Ardito di parlarne in verso, o'n rima.

rtù morta è, bellezza e cortesia,
Le belle donne intorno al casto letto
Triste diceano: Omai di noi che fia?
hi vedrà mai in donna atto perfetto?
Chi udirà parlar di saper pieno
El canto pien d'angelico diletto?
o spirto per partir di quel bel seno
Con tutte sue virtuti in sè romito
Fatt' avea in quella parte il ciel sereno.

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Nessun degli avversarj fu sì ardito,

Ch' apparisse giammai con vista oscura

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Fin che Morte il suo assalto ebbe fornito.

Poi che deposto il pianto e la paura,

Pur al bel viso era ciascuna intenta,
E per disperazion fatta sicura ;

Non come fiamma che per forza è spenta,
Ma che per sè medesma si consume,
Se n' andò in pace l'anima contenta.

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A guisa d'un soave e chiaro lume,

Cui nutrimento a poco a poco manca,
Tenendo al fin il suo usato costume;

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Pallida no, ma più che neve bianca

Che senza vento in un bel colle fiocchi,

Parea posar come persona stanca.

Quasi un dolce dormir ne' suoi begli occhi,
Sendo lo spirto già da lei diviso,

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Era quel che morir chiaman gli sciocchi.

Morte bella parea nel suo bel viso.

TRIONFO

DELLA MORTE.

CAPITOLO SECOND O.

La

a notte che seguì l'orribil caso

Che spense 'l Sol, anzi 'l ripose in cielo, Ond' io son qui com'uom cieco rimaso, Spargea per l'aere il dolce estivo gielo, 5 Che con la bianca amica di Titone Suol de' sogni confusi torre il velo; Quando Donna sembiante alla stagione, Di gemme orientali incoronata Mosse ver me da mille altre corone; E quella man già tanto desiata,

ΤΟ

A me parlando e sospirando, porse,
Qnd' eterna dolcezza al cor m'è nata:

Riconosci colei che prima torse
I passi tuoi dal pubblico viaggio,
Come 'l cor giovenil di lei s'accorse.
Cosi pensosa in atto umile e saggio
S'assise, e seder femmi in una riva

La qual ombrava un bel lauro ed un faggio.
Come non conosco io l'alma mia Diva?
Risposi in guisa d'uom che parla e plora :
Dimmi pur
pur, prego, se sei morta o viva.
Viva son io, e tu sei morto ancora,

Diss' ella, e sarai sempre infin che giunga
Per levarti di terra l'ultim' ora.

'l sai,

Ma'l tempo è breve, e nostra voglia è lunga;
Però t'avvisa, e 'l tuo dir stringi e frena
Anzi che'l giorno già vicin n' aggiunga.
Ed io: Al fin di quest'altra serena
Ch' ha nome Vita, che
per prova
Deh dimmi se'l morir è sì gran pena.
Rispose Mentre al vulgo dietro vai,
Ed all' opinion sua cicca e dura,
Esser felice non puo' tu giammai.
La Morte è fin d'una prigion oscura
A gli animi gentili; a gli altri è noja,
Ch'hanno posto nel fango ogni lor cura.
Ed ora il morir mio, che si t'annoja,
Ti farebbe allegrar, se tu sentissi
La millesima parte di mia gioja.
Così parlava; e gli occhi ave' al ciel fissi
Divotamente: poi mise in silenzio
Quelle labbra rosate, infin ch'io dissi
Silla, Mario, Neron,, Gajo e Mesenzio,
Fianchi, stomachi, febbri ardenti fanno
Parer la morte amara più ch' assenzio,

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