Di Metrodoro parlo e d'Aristippo.
Poi con gran subbio, e con mirabil fuso Vidi tela sottil tesser Crisippo. 115 Degli Stoici 'l padre alzato in suso, Per far chiaro suo dir, vidi Zenone Mostrar la palma aperta, e'l
E per fermar sua bella intenzione, La sua tela gentil tesser Cleante, Che tira al ver la vaga opinione. Qui lascio, e più di lor non dico avante.
Dell' aureo albergo coll' Aurora innanzi
Si ratto uscival Sol cinto di raggi, Che detto aresti: E' si corcò pur dianzi. Alzato un poco, come fanno i saggi,
Guardoss' intorno, e da sè stesso disse: Che pensi? omai convien che più cura aggi. Ecco, s'un uom famoso in terra visse, E di sua fama per morir non esce, Che sarà della legge che 'l ciel fisse ? E se fama mortal morendo cresce,
Che spegner si doveva in breve, veggio Nostra eccellenza al fine, onde m'incresce. Che più s'aspetta, o che pote esser peggio? Che più nel ciel ho io, che 'n terra un uomo, A cui esser egual per grazia cheggio? Quattro cavai con quanto studio como, Pasco nell'Oceano, e sprono e sferzo!
pur la fama d'un mortal non domo.
Ingiuria da corruccio, e non da scherzo, Avvenir questo a me, s'io foss' in cielo, Nou dirò primo, ma secondo o terzo. Or conven che s'accenda ogni mio zelo
Sì, ch' al mio volo l'ira addoppj i vauni; Ch'io porto invidia a gli uomini, e nol celu. 25 De' quali veggio alcun dopo mill' anni, E mille e mille più chiari che 'n vita, Ed io m'avanzo di perpetui affanni. Tal son, qual era anzi che stabilita Fosse la terra, dì e notte rotando Per la strada rotonda, ch'è infinita . Poi che questo ebbe detto, disdegnando Riprese il corso più veloce assai, Che falcon d'alto a sua preda volando. Più dico: nè pensier poria giammai
Seguir suo volo, non che lingua o stile, Tal che con gran paura il rimirai. Allor tenn' io il viver nostro a vile Per la mirabil sua velocitate,
Via più ch' innanzi nol tenea gentile.
40 E parvemi mirabil vanitate
Fermar in cose il cor che 'l tempo preme, Che mentre più le stringi, son passate. Però chi di suo stato cura o teme,
Provveggia ben, mentr' è l'arbitrio intero, Fondar in loco stabile sua speme. Che quant' io vidi 'l tempo andar leggiero Dopo la guida sua, che mai non posa; I' nol diro, perchè poter nol spero. l' vidi 'l ghiaccio, e li presso la rosa, Quasi in un punto il caldo,
Ma chi ben mira col giudicio saldo, Vedrà esser così; che nol vid' io,
Di che contra me stesso or mi riscaldo. Seguii già le speranze, e 'l van desío; Or ho dinanzi a gli occhi un chiaro specchio, Ov' io veggio me stesso e 'l fallir mio: E quanto posso al fine m' apparecchio
Pensando 'l breve viver mio, nel quale Sta mane era un fanciullo, ed or son vecchio. 60 Che più d'un giorno è la vita mortale Nubilo, breve, freddo e pien di noja, Che può bella parer, ma nulla vale? Qui l'umana speranza, e qui la gioja; Qu'i miseri mortali alzan la testa, E nessun sa quando si viva o moja. Veggio la fuga del mio viver presta, Anzi di tutti, e nel fuggir del Sole La ruina del mondo manifesta. Or vi riconfortate in vostre fole
Giovani, e misurate il tempo largo, Che piaga antiveduta assai men dole. Forse che ndarno mie parole spargo; Ma io v'annunzio che voi siete offesi Di un grave e mortifero letargo . Che volan l'ore, i giorni, e gli anni, e i mesi, E inseme con brevissimo intervallo Tutti avemo a cercar altri paesi
Non fate contra 'l vero al core un callo, Come siete usi, anzi volgete gli occhi, Mentr' emendar potete il vostro fallo. Non aspettate che la Morte scocchi, Come fa la più parte; che per certo Infinita è la schiera degli sciocchi .
85 Poi ch'i' ebbi veduto e veggio aperto Il volar el fuggir del gran pianeta,
Ond' i' ho danni e 'nganni assai sofferto, Vidi una gente andarsen queta queta,
Senza temer di tempo, o di sua rabbia, Che gli avea in guardia istorico o poeta. Di lor par più che d'altri invidia s'abbia, Che per sè stessi son levati a volo Uscendo fuor della comune gabbia. Contra costor colui che splende solo, S'apparecchiava con maggiore sforzo, E riprendeva un più spedito volo. A' suoi corsier raddoppiat' era l'orzo; E la Reina di ch' io sopra dissi,
Volea d'alcun de' suoi già far divorzo. 100 Udii dir, non so a chi, ma'l detto scrissi: In questi umani, a dir proprio, ligustri, Di cieca obblivione oscuri abissi
Volgerà 'l Sol non pur anni, ma lustri, E secoli vittor d'ogni cerebro,
E vedra' il vaneggiar di questi illustri. Quanti fur chiari tra Penéo ed Ebro,
Che son venuti, o verran tosto meno! Quant'in sul Xanto, e quant' in val di Tebro! Un dubbio verno, un instabil sereno È vostra fama, e poca nebbia il rompe: ΕἸ gran tempo a'gran nomi è gran veneno. Passan vostri trionfi e vostre pompe, Passan le signorie, passano i regni, Ogni cosa mor'al tempo interrompe; 115 E ritolta a' men buon', non dà a' più degni; E non pur quel di fuori il tempo solve, Ma le vostr' eloquenze e i vostri ingegni.
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