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E'n disparte color che sotto'l freno
Di modesta fortuna ebbero in uso
Senz' altra pompa di godersi in seno.
Questi cinque trionfi in terra giuso

Avem veduti, ed alla fine il sesto,
Dio permettente, vedrem lassuso;
El tempo disfar tutto, e così presto;
E Morte in sua ragion cotanto avara,
Morti saranno insieme e quella e questo:
E quei che fama meritaron chiara,

Che 'l tempo spense; e i bei visi leggiadri
Che 'mpallidir fè 'l tempo e Morte amara;
130 L'obblivion, gli aspetti oscuri ed adri,
Più che mai bei tornando, lasceranno
A morte impetuosa i giorni ladri.
Nell' età più fiorita e verde aranno
Con immortal bellezza eterna fama:
Ma innanzi a tutti ch' a rifar si vanno,

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È quella che piangendo il mondo chiama
Con la mia lingua, e con la stanca penna :
Ma'l ciel pur di vederla intera brama.
A riva un fiume che nasce in Gebenna,
140 Amor mi diè per lei sì lunga guerra,
Che la memoria ancor il core acceuna.
Felice sasso che 'l bel viso serra!

Che poi ch' avrà ripreso il suo bel velo,
Se fu beato chi la vide in terra,

145 Or che fia dunque a rivederla in cielo ?

GIUNTA

D'ALCUNE

COMPOSIZIONI

DEL

PETRARCA

Che si dicono da lui rifiutate; parte delle quali si leggono in molte altre edizioni, parte si son tratte da libri antichi manoscritti, ed impressi; e principalmente la Frottola riportata dal Bembo nel VI. libro del 1. volume delle sue Lettere: colle proposte d'alcuni Poeti di que' tempi al 'Petrarca; e colle tre famose Canzoni di Guido Cavalcanti, di Dante Alighieri, e di Cino da Pistoja, i primi versi delle quali piacque al nostro Poeta d' inserire nella sua Canzone:

Lasso me, ch'i' non so in qual parte pieghi ec. posta a carte 59.

FRAMMENTO D'UN CAPITOLO

M. F.

DI

PETRARCA

Che in alcune edizioni suol collocarsi
avanti il Trionfo della Morte.

Quanti

uanti già nell'età matura ed acra Trionfi ornaro il glorioso colle: Quanti prigion passar per la Via Sacra Sotto'l monarca ch' al suo tempo volle Far il mondo descriver universo

Che'l nome di grandezza a gli altri tolle: O sotto quel che non d' argento terso Die ber a' suoi, ma d' un rivo sanguigno Tutti poco, o niente foran verso Quest' un ch' io dico; e sì candido cigno Non fu giammai, che non sembrasse un corvo Press' al bel viso angelico e benigno.

E così in atto dolcemente torvo

L'onesta vincitrice in ver l'occaso Segnò 'l lito Tirren sonante e corvo. Ove Sorga, e Durenza in maggior vaso Congiungon le lor chiare e torbide acque, La mia Accademia un tempo, e'l mio Parnaso; Ivi, ond'a gli occhi miei il bel lume nacque Che gli volse a bon porto, si rattenne Quella per cui ben far prima mi piacque.

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