Mai non fu' in parte ove sì chiar vedessi Quel che veder vorrei, poi ch'io nol vidi; Nè dove in tanta libertà mi stessi, N'empiessi 'l ciel di sì amorosi stridi : Nè giammai vidi valle aver sì spessi Luoghi da sospirar riposti e fidi, Nè credo già, ch'Amor in Cipro avessi, O in altra riva si soavi nidi.
L'acque parlan d'Amore, e l'ora e i rami, E gli augelletti ei pesci, e i fiori e l'erba; Tutti insieme pregando ch'i' sempr' ami. Ma tu ben nata, che dal ciel mi chiami, Per la memoria di tua morte acerba Preghi ch'i' sprezzi 'l mondo e i suoi dolci ami.
Quante fiate al mio dolce ricetto
Fuggendo altrui, e, s'esser può, me stesso, Vo con gli occhi bagnando l'erba e'l petto, Rompendo co' sospir l'aere da presso: Quante fiate sol pien di sospetto
Per luoghi ombrosi e foschi mi son messo Cercando col pensier l'alto diletto
Che Morte ha tolto, ond' io la chiamo spesso: Or in forma di Ninfa o d'altra Diva, Che del più chiaro fondo di Sorga esca, E pongasi a seder in su la riva; Or l'ho veduta su per l'erba fresca Calcar i fior, com' una donna viva, Mostrando in vista, che di me le 'ncresca.
Alma felice, che sovente torni A consolar le mie notti dolenti
Con gli occhi tuoi, che Morte non ha spenti, Ma sovra 'l mortal modo fatti adorni; Quanto gradisco ch'i miei tristi giorni A rallegrar di tua vista consenti : Così incomincio a ritrovar presenti Le tue bellezze a suo' usati soggiorni. Là 've cantando andai di te molt' anni Or, come vedi, vo di te piangendo; Di te piangendo no, ma de' miei danni, Sol un riposo trovo in molti affanni; Che quando torni, ti conosco, e'ntendo 'All' andar, alla voce, al volto, a' panni.
Discolorato hai, Morte, il più bel volto Che mai si vide, ei più begli occhi spenti; Spirto più acceso di virtuti ardenti
Del più leggiadro e più bel nodo hai sciolto. In un momento ogni mio ben m' hai tolto, Posto hai silenzio a' più soavi accenti Che mai s'udiro, e me pien di lamenti: Quant' io veggio m'è noja, e quant'io ascolto. Ben torna a consolar tanto dolore
Madonna, ove pietà la riconduce, Nè trovo in questa vita altro soccorso: E se com' ella parla e come luce, Ridir potessi, accenderei d'amore,
Non dirò d'uom, un cor di tigre o d'orso.
Si breve è'l tempo, e'l pensier si veloce Che mi rendon Madonna così morta, Ch' al gran dolor la medicina è corta: Pur mentr' io veggio lei, nulla mi noce. Amor, che m'ha legato, e tiemmi in croce, Trema quando la vede in su la porta Dell' alma, ove m'ancide ancor si scorta, Si dolce in vista, e sì soave in voce. Come douna in suo albergo, altera vene, Scacciando dell' oscuro e grave core Con la fronte serena i pensier tristi. L'alma, che tanta luce non sostene Sospira e dice: O benedette l'ore Del di che questa via con gli occhi apristi!
Ne mai pietosa madre al caro figlio, Nè donna accesa al suo sposo diletto Diè con tanti sospir, con tal sospetto In dubbio stato si fedel consiglio, Come a me quella che 'l mio grave esiglio Mirando dal suo eterno alto ricetto, Spesso a me torna con l'usato affetto, E di doppia pietate ornata il ciglio Or di madre or d'amante: or teme, or'arde D'onesto foco; e nel parlar mi mostra Quel che 'n questo viaggio fugga o segua, Contando i casi della vita nostra,
Pregando ch' al levar l'alma non tarde:
E sol quant' ella parla, ho pace o tregua. Petrarca Vol. II.
Se quell' aura soave de' sospiri Ch'i' odo di colei che qui fu mia Donna, or è in cielo, ed ancor par qui sia, E viva, e senta e vada, ed ami e spiri, Ritrar potessi; o che caldi desiri
Movrei parlando! si gelosa e pia
Torna ov' io son, temendo non fra via Mi stanchi, o'ndietro o da man manca giri: Ir dritto alto m'insegna, ed io che 'ntendo Le sue caste lusinghe e i giusti preghi Col dolce mormorar, pietoso e basso Secondo lei conven mi regga e pieghi, Per la dolcezza che del suo dir prendo; Ch' avria vertù di far piauger un sasso.
Sennuccio mio, benchè doglioso e solo M'abbi lasciato, i' pur mi riconforto, Perchè del corpo ov' eri preso e morto, Alteramente se' levato a volo. Or vedi insieme l'uno e l'altro polo, Le stelle vaghe e lor viaggio torto; E vedi veder nostro quanto è corto, Onde col tuo gioir tempro'l mio duolo. Ma ben ti prego che 'n la terza spera
Guitton saluti, e messer Cino e Dante, Franceschin nostro e tutta quella schiera. Alla mia Donna puoi ben dire, in quante Lagrime i' vivo; e son fatto una fera, Membrando 'l suo bel viso e l'opre sante.
Tho pien di sospir quest' aer tutto, D'aspri colli mirando il dolce piano Ove nacque colei ch' avendo in mano Mio cor, in sul fiorire e'n sul far frutto, È gita al cielo, ed hammi a tal condutto Čol subito partir, che di lontano
Gli occhi miei stanchi, lei cercando in vano, Presso di sè non lassan loco asciutto. Non è sterpo nè sasso in questi monti, Non ramo o fronda verde in queste piagge, Non fior in queste valli o foglia d'erba; Stilla d'acqua non vien di queste fonti, Nè fiere han questi boschi si selvagge Che non sappian quant'è mia pena acerba.
L'alma mia fiamma oltra le belle bella, Ch'ebbe qui'l ciel si amico e sì cortese, Anzi tempo per me nel suo paese E ritornata, ed alla par sua stella. Or comincio a svegliarmi, e veggio ch'ella Per lo migliore al mio desir contese; E quelle voglie giovenili accese Temprò con una vista dolce e fella. Lei ne ringrazio e'l suo alto consiglio, Che col bel viso, e co' soavi sdegni Fecemi ardendo pensar mia salute. O leggiadre arti, e lor effetti degni, L'un con la lingua oprar, l' altra col ciglio, lo gloria in lei, ed ella in me virtute!
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