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SONETTO 239.

Mai non fu' in parte ove sì chiar vedessi
Quel che veder vorrei, poi ch'io nol vidi;
Nè dove in tanta libertà mi stessi,
N'empiessi 'l ciel di sì amorosi stridi :
Nè giammai vidi valle aver sì spessi
Luoghi da sospirar riposti e fidi,
Nè credo già, ch'Amor in Cipro avessi,
O in altra riva si soavi nidi.

L'acque parlan d'Amore, e l'ora e i rami,
E gli augelletti ei pesci, e i fiori e l'erba;
Tutti insieme pregando ch'i' sempr' ami.
Ma tu ben nata, che dal ciel mi chiami,
Per la memoria di tua morte acerba
Preghi ch'i' sprezzi 'l mondo e i suoi dolci
ami.

SONETTO 240.

Quante fiate al mio dolce ricetto

Fuggendo altrui, e, s'esser può, me stesso, Vo con gli occhi bagnando l'erba e'l petto, Rompendo co' sospir l'aere da presso: Quante fiate sol pien di sospetto

Per luoghi ombrosi e foschi mi son messo
Cercando col pensier l'alto diletto

Che Morte ha tolto, ond' io la chiamo spesso:
Or in forma di Ninfa o d'altra Diva,
Che del più chiaro fondo di Sorga esca,
E pongasi a seder in su la riva;
Or l'ho veduta su per l'erba fresca
Calcar i fior, com' una donna viva,
Mostrando in vista, che di me le 'ncresca.

SONETTO 241.

Alma felice, che sovente torni
A consolar le mie notti dolenti

Con gli occhi tuoi, che Morte non ha spenti,
Ma sovra 'l mortal modo fatti adorni;
Quanto gradisco ch'i miei tristi giorni
A rallegrar di tua vista consenti :
Così incomincio a ritrovar presenti
Le tue bellezze a suo' usati soggiorni.
Là 've cantando andai di te molt' anni
Or, come vedi, vo di te piangendo;
Di te piangendo no, ma de' miei danni,
Sol un riposo trovo in molti affanni;
Che quando torni, ti conosco, e'ntendo
'All' andar, alla voce, al volto, a' panni.

SONETTO 242.

Discolorato hai, Morte, il più bel volto
Che mai si vide, ei più begli occhi spenti;
Spirto più acceso di virtuti ardenti

Del più leggiadro e più bel nodo hai sciolto.
In un momento ogni mio ben m' hai tolto,
Posto hai silenzio a' più soavi accenti
Che mai s'udiro, e me pien di lamenti:
Quant' io veggio m'è noja, e quant'io ascolto.
Ben torna a consolar tanto dolore

Madonna, ove pietà la riconduce,
Nè trovo in questa vita altro soccorso:
E se com' ella parla e come luce,
Ridir potessi, accenderei d'amore,

Non dirò d'uom, un cor di tigre o d'orso.

SONETTO 243.

Si breve è'l tempo, e'l pensier si veloce
Che mi rendon Madonna così morta,
Ch' al gran dolor la medicina è corta:
Pur mentr' io veggio lei, nulla mi noce.
Amor, che m'ha legato, e tiemmi in croce,
Trema quando la vede in su la porta
Dell' alma, ove m'ancide ancor si scorta,
Si dolce in vista, e sì soave in voce.
Come douna in suo albergo, altera vene,
Scacciando dell' oscuro e grave core
Con la fronte serena i pensier tristi.
L'alma, che tanta luce non sostene
Sospira e dice: O benedette l'ore
Del di che questa via con gli occhi apristi!

SONETTO 244.

Ne mai pietosa madre al caro figlio,
Nè donna accesa al suo sposo diletto
Diè con tanti sospir, con tal sospetto
In dubbio stato si fedel consiglio,
Come a me quella che 'l mio grave esiglio
Mirando dal suo eterno alto ricetto,
Spesso a me torna con l'usato affetto,
E di doppia pietate ornata il ciglio
Or di madre or d'amante: or teme, or'arde
D'onesto foco; e nel parlar mi mostra
Quel che 'n questo viaggio fugga o segua,
Contando i casi della vita nostra,

Pregando ch' al levar l'alma non tarde:

E sol quant' ella parla, ho pace o tregua. Petrarca Vol. II.

2

SONETTO 245.

Se quell' aura soave de' sospiri
Ch'i' odo di colei che qui fu mia
Donna, or è in cielo, ed ancor par qui sia,
E viva, e senta e vada, ed ami e spiri,
Ritrar potessi; o che caldi desiri

Movrei parlando! si gelosa e pia

Torna ov' io son, temendo non fra via Mi stanchi, o'ndietro o da man manca giri: Ir dritto alto m'insegna, ed io che 'ntendo Le sue caste lusinghe e i giusti preghi Col dolce mormorar, pietoso e basso Secondo lei conven mi regga e pieghi, Per la dolcezza che del suo dir prendo; Ch' avria vertù di far piauger un sasso.

SONETTO 246.

Sennuccio mio, benchè doglioso e solo
M'abbi lasciato, i' pur mi riconforto,
Perchè del corpo ov' eri preso e morto,
Alteramente se' levato a volo.
Or vedi insieme l'uno e l'altro polo,
Le stelle vaghe e lor viaggio torto;
E vedi veder nostro quanto è corto,
Onde col tuo gioir tempro'l mio duolo.
Ma ben ti prego che 'n la terza spera

Guitton saluti, e messer Cino e Dante, Franceschin nostro e tutta quella schiera. Alla mia Donna puoi ben dire, in quante Lagrime i' vivo; e son fatto una fera, Membrando 'l suo bel viso e l'opre sante.

SONETTO 2470

Tho pien di sospir quest' aer tutto,
D'aspri colli mirando il dolce piano
Ove nacque colei ch' avendo in mano
Mio cor, in sul fiorire e'n sul far frutto,
È gita al cielo, ed hammi a tal condutto
Čol subito partir, che di lontano

Gli occhi miei stanchi, lei cercando in vano,
Presso di sè non lassan loco asciutto.
Non è sterpo nè sasso in questi monti,
Non ramo o fronda verde in queste piagge,
Non fior in queste valli o foglia d'erba;
Stilla d'acqua non vien di queste fonti,
Nè fiere han questi boschi si selvagge
Che non sappian quant'è mia pena acerba.

SONETTO 248

L'alma mia fiamma oltra le belle bella,
Ch'ebbe qui'l ciel si amico e sì cortese,
Anzi tempo per me nel suo paese
E ritornata, ed alla par sua stella.
Or comincio a svegliarmi, e veggio ch'ella
Per lo migliore al mio desir contese;
E quelle voglie giovenili accese
Temprò con una vista dolce e fella.
Lei ne ringrazio e'l suo alto consiglio,
Che col bel viso, e co' soavi sdegni
Fecemi ardendo pensar mia salute.
O leggiadre arti, e lor effetti degni,
L'un con la lingua oprar, l' altra col ciglio,
lo gloria in lei, ed ella in me virtute!

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