Vedi Ginevra, Isotta e l'altre amanti, E la coppia d'Arimino, che 'nseme Vanno facendo dolorosi pianti. · Così parlava: ed io, com' uom che teme Futuro male, e trema anzi la tromba, Sentendo già dov' altri ancor nol preme; Avea color d'uom tratto d'una tomba, Quand' una giovinetta ebbi da lato Pura via più che candida colomba, Ella mi prese: ed io, ch' arei giurato Difendermi da uom coperto d'arme, Con parole e con cenni fui legato: E come ricordar di vero parme,
L'amico mio più presso mi si fece, E con un riso, per più doglia darme, Dissemi entro l'orecchie: Omai ti lece Per te stesso parlar con chi ti piace, Che tutti siam macchiati d'una pece. Io era un di color cui più dispiace
Dell'altrui ben, che del suo mal, vedendo Chi m'avea preso in libertate e 'n pace: E, come tardi dopo'l danno intendo, Di sue bellezze mia morte facea, D'amor, di gelosia, d'invidia ardendo. Gli occhi dal suo bel viso non volgea, Com' uom ch'è infermo, e di tal cosa ingordo Ch'al gusto è dolce, alla salute è rea. Ad ogni altro piacer cieco era e sordo Seguendo lei per si dubbiosi passi., Ch'i' tremo ancor qualor me ne ricordo. Da quel tempo ebbi gli occhi umidi. e bassi, El cor pensoso, e solitario albergo Fonti, fiumi, montagne, boschi e sassi.
115 Da indi in qua cotante carte aspergo
Di pensieri, di lagrime e d'inchiostro, Tante ne squarcio, n'apparecchio e vergo. Da indi in qua so che si fa nel chiostro D'Amor, è che si teme e che si spera, A chi sa legger, nella fronte il mostro. E veggio andar quella leggiadra fera, Non curando di me, ne di mie pene, Di sua virtute, e di mie spoglie altera. Dall' altra parte, s'io discerno bene,
Questo signor che tutto 'l mondo sforza, Teme di lei; ond' io son fuor di spene. Ch'a mia difesa non ho ardir nè forza:
E quello in ch'io sperava, lei lusinga; Che me e gli altri crudelmente scorza. 130 Costei non è chi tanto o quanto stringa Così selvaggia e ribellante suole
Dall' insegne d'Amor andar solinga. E veramente è fra le stelle un Sole
Un singular suo proprio portamento, Suo riso, suoi disdegni, e sue parole: Le chiome accolte in oro, o sparse al vento, Gli occhi ch'accesi d'un celeste lume M'infiamman sì, ch'io son d'arder contento. Chi poria 'l mansueto alto costume
Agguagliar mai parlando, o la virtute, Ov'e'l mio stil quasi al mar picciol fiume? Nove cose e giammai più non vedute, Nè da veder giammai più d'una volta, Ove tutte le lingue sarian mute. 145 Così preso mi trovo, ed ella sciolta; E prego giorno e notte (o stella iniqua!) Ed ella appena di mille uno ascolta.
Dura legge d'Amor: ma benchè obliqua, Servar conviensi, però ch' ella aggiunge Di cielo in terra, universale, antiqua. Or so come da sè il cor si disgiunge, E come sa far pace, guerra e tregua, E coprir suo dolor quand' altri'l punge. E so come in un punto si dilegua,
E poi si sparge per le guance il sangue, Se paura, o vergogna avvien che'l segua. So come sta tra' fiori ascoso l'angue, Come sempre fra due si vegghia e dorme, Come senza larguir si more e langue.
So della mia nemica cercar l'orme,
E temer di trovarla, e so in qual guisa L'amante nell' amato si trasforme.
So fra lunghi sospiri, e brevi risa
Stato, voglia, color cangiare spesso; Viver, stando dal cor l'alma divisa. So mille volte il dì ingannar me stesso: So, seguendo 'l mio foco ovunque fugge, Arder da linge, ed agghiacciar da presso.
So com' Amor sopra la mente rugge, E com' ogni ragione indi discaccia,
E so in quante maniere il cor si strugge.
So di che poco canape s'allaccia
Un' anima gentil quand' ella è sola, E non è chi per lei difesa faccia. So com' Amor saetta, e come vola, E so com' or minaccia, ed or percote, Come ruba per forza, e come invola; E come sono instabili sue rote,
Le speranze dubbiose e 'l dolor certo, Sue promesse di fè come son vote.
Come nell' ossa il suo foco coperto,
E nelle vene vive occulta piaga,
Onde morte è palese, e'ncendio aperto. In somma so com'è incostante e vaga, Timida, ardita vita degli amanti,
Ch' un poco dolce molto amaro appaga E so i costumi, e i lor sospiri e i canti, El parlar rotto, e 'l subito silenzio E'l brevissimo riso e i lunghi pianti. 190 E qual è 'l mel temprato con l'assenzio
Poscia che mia fortuna in forza altrui
M'ebbe sospinto, e tutti incisi i nervi Di libertate, ov' alcun tempo fui, lo ch' era più selvatico che cervi, Ratto domesticato fui con tutti I miei infelici e miseri conservi. E le fatiche lor vidi e i lor lutti,
Per che torti sentieri, e con qual arte All' amorosa greggia eran condutti. Mentre ch'i' volgea gli occhi in ogni parte, S'i' ne vedessi alcun di chiara fama O per antiche, o per moderne carte, Vidi colui che sola Euridice ama,
E lei segue all'inferno, e per lei morto Con la lingua già fredda la richiama.
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