Sayfadaki görseller
PDF
ePub

II.

La voce sconosciuta dal forame: «Come dipingeresti uno stemma della provincia di Verona? »

Mi sollevo a sedere sul tarlato e traballante cataletto, e rispondo, con uno sbadiglio stropicciatimi gli occhi, e riprendendo alquanto il fiato:

dicerolti molto breve

(Inf. III.)

Se col nome di provincia, geograficamente, o sconosciuta voce, intendi il territorio attuale della nostra città, nessun partito conosco migliore di questo: Magistralmente disegnarne in breve scala una mappa topografica. Poichè all' iconografia cotal mappa non può essere accetta, e predilige le figure simboliche, o allegoriche; i tre oggetti più rilevanti del territorio, e che a qualche modo segnano altresì i suoi confini, essendo l'Adige, uno dei fiumi principali della penisola, il Benaco celebratissimo in prose e versi, e Montebaldo il giardino botanico d'Italia; nello stemma li rappresenterei tutti e tre in estetico gruppo.

Il Flamminio aveva in questo distico elegantemente scolpita l'iconografia della bellissima nostra patria.

Urbibus italicis praestat Verona superbis,

Aedibus, ingeniis, Flumine, Monte, Lacu.

Se troppo agevole per avventura non è, conciossiachè fino ad oggi non ne abbiamo avuto esempio, la rappresentazione iconografica di Montebaldo in una figura allegorica; possono bastare quelle dell'Adige e del Benaco. Notissime ne sono le imagini allegoriche. Stanno da

vanti agli occhî di tutti nel magnifico affresco sul palazzo Murari al Ponte nuovo, dipinto da Domenico Brusasorci, gloria della scuola di pittura veronese (1), rappresentante le nozze del Benaco colla ninfa Caride, cioè Garda, celebre terra che ad esso impose il moderno suo nome. L'affresco allude al poema latino sul medesimo argomento di Giorgio Giodoco Bergano, che fu monaco nella nostra badia di s. Zenone. Quasi cancellato dal tempo, è riprodotto nella pregiata Raccolta di affreschi veronesi del nostro egregio pittore Pietro Nanin, illustrato coi versi di questo poema a que' di lodatissimo (2).

La provincia di Verona pertanto, dall'Adige e dal Benaco allegoricamente figurati, per quanto spetta alla sua topografia, opinerei che dicevolmente fosse rappresentata.

Se male mi appongo, sono pronto a ricredermi, si veramente che il mio errore si dimostri con buone ragioni.

III.

Se storicamente effigiare la brami, egli è d'uopo chiaramente indicare in qual epoca ritrar la vuoi, dacchè non ignori essere tante appunto le fasi della storia della nostra città, quante sono quelle della storia d'Italia. La strategica sua postura al vertice della penisola, in gran parte la assoggettò a cotal fortuna, dai primi anni della storia nazionale fino alla battaglia di Custoza dell'anno 1866. Perciò ogni storia d'Italia, è storia di Verona; ed ogni storia di Verona è storia d'Italia. Basti citare a pro

(1) La veronese è simile alla veneziana, ma da essa abbastanza distinta per costituire una scuola di pittura che può stare da sẻ.

(2) Questa illustrazione può essere migliorata mercè uno studio più accurato del poema allegorico di Giodoco, che ispirò al Brusasorci il disegno del magnifico quadro.

va la Verona illustrata di Scipione Maffei. Se ogni nostra città avesse la sua Verona illustrata, la storia d'Italia non sarebbe desiderio di tutti, pretensione di molti, scienza di pochi.

Avvegnachè volendo fare oggi uno stemma della nostra provincia, sembra che nel passato indagare si voglia la radice del presente, come è generoso istinto dell' uomo, il quale appunto per questo scrive e studia la storia; ritrovare bisogna un' epoca, la quale colla nostra abbia singolar somiglianza.

Dico somiglianza, non identità, perchè due epoche, due fatti, due uomini identici, non apparvero fino ad oggi nella storia.

L'epoca gloriosa, la quale colla presente, che la fortuna fece avventurosa, e la virtù e sapienza nostra debbono fare gloriosa, se male non veggo, ha particolare somiglianza, è quella della Lega Lombarda, nella quale primeggiò fra i liberi Comuni il nostro (1). Allora infatti, si lottò fino all' ultimo sangue contro la Germania: si accese invitto sentimento di autonomia per ogni Comune, che sapeva fare da sè: non ostanti gli sforzi giganteschi della potenza dominatrice, si collegarono insieme i generosi Comuni al conseguimento di un bene supremo, la libertà di tutti (La libertà, non l'indipendenza, al concetto e desiderio della quale i nostri non si erano ancora innalzati). Allora brillarono immortali esempi di patriotismo, non eclissati dalla viltà dei rinnegati, e dei liberali della dimane. Allora si ammirarono inaspettati esempi di valor militare, e basti per mille la vittoria di Legnano.

Se tutto questo è vero, lo stemma trionfante del nostro Comune (nell' ampio significato di quell' epoca) può essere lo stemma dell' attuale nostra Provincia.

(1) Verona era in Lombardia, quando un suo principe Scaligero da Dante era salutato col nome di gran Lombardo.

E quale era quello stemma?

Guardate sul nostro gonfalone: guardate sul nostro palazzo del Comune: guardate sul nostro carroccio. Se non lo vedete, non domandatene conto a me; ma piuttosto a Federico Barbarossa. Non credo che pur sotterra, dopo tanti secoli abbialo potuto dimenticare.

IV.

Voce anonima: «E se a figurar lo stemma di Verona, sceglieremo la vecchia scala di cinque gradi argentei degli Scaligeri, che cosa diresti? »

Scossi il capo, sospirai profondamente, e di rimando:

Or apri gli occhi a quel ch'io ti rispondo.

(Par. XVIII.)

Vi apponete assai male, per le evidenti ragioni che a vostro bell' agio vi snocciolo. Badate un poco.

Al primo vedere dell' arma scaligera, già ripetuta sopra tanti sepolcri, palazzi, e chiese; la prima idea che ci corre alla mente, è: famiglia, signoria, dominazione scaligera; non mai territorio, o popolo, sul quale cinquecento anni sono, signoreggiarono i cani scaligeri. Sapete che cosa qui vuol dire cane? Domandatelo ai Tartari, od ai Tedeschi. (Kan, o Koenig).

Ho detto a bello studio, signoreggiarono i cani scaligeri, perchè quella potente, e forse straniera famiglia, ebbe sapra Verona despotica dominazione. Non so quanto convenga, e sia decente, in giorni di tanto strombazzata libertà d'Italia, e di autonomia provinciale e comunale, rinfrescare lo stemma di una despotica famiglia di signori. La piazza, denominata ancora dei signori, dove essi abitavano in palazzi allora turriti, denota chiaramente in quali

condizioni fossero i signoreggiati nostri bisavoli sotto di essi. Questa piazza era detta platea dominorum. Sapete l'orrore ch' ebbero i Romani, quantunque sotto l'impero, per questo vocabolo.

Scosso appena dal collo il giogo dell'impero austriaco, per mezzo secolo ribadito; perchè di nostra buona voglia sceglieremo, preferiremo, e faremo nostro fra tutti i possibili, lo stemma dei vicarii imperiali?

Gli Scaligeri infatto, non meno che, scrive l'Ariosto,

Ezzelino immanissimo tiranno,

Che fia creduto figlio del demonio,

furono tali, e come tali si intitolarono in tutti i loro diplomi. Chi non lo sa? (1) Scrive Carlo Botta nella prefazione della Storia d'Italia in continuazione a quella del Guicciardini: « Vidersi allora gli Eccellini e gli Scaligeri, vidersi poco dopo i Borgia e gli Oliverotti: storia crudele, ed orrenda eredità aveva lasciato il medio evo. >>

Volendo fare nostro stemma l'arma scaligera, perchè fedelmente men la ripristineremo nella sua integrità? Perchè non apporremo il proprio suo ceffo di cane sopra il cimiero? Perchè non riprodurremo tale e quale lo

stemma

Che in sulla scala porta il santo uccello?

(Par. XVII.)

Il santo uccello per Dante era l'aquila imperiale. Io non rammenterò perchè egli chiamasselo santo: nè farò

(1) Ezzelino tiranneggiò come vicario imperiale anche a Verona. Fu detto pure Eccellinus, ed Eccerrinus. Il nome è diminutivo di Etzel, di cui i nostri fecero Attila. Nel veronese edificò un Castrum Eccerini, oggi Castel Cerino. Indaga l'etimologia nella cera, chi studia l'etimologie coll'orecchio, anzi che colla mente.

« ÖncekiDevam »