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quali vocaboli si traducono perfettamente coi nostri sensazione, sentimento e simili. Ne parlò il Fauriel per il primo e quindi il Prof. D' Ancona nelle bellissime annotazioni alla Vita Nuova (1), dove conclude che presso i Fiorentini gli spiritelli diventarono più che altro un linguaggio poetico, e pieno di grazia e di leggiadria perchè diede origine a forme come queste

Dal ciel si mosse un spirito in quel punto
Che quella donna mi degnò guardare (2)
E come un spiritel nato di pianto (3)
E posevi uno spirito di gioia (4)
Il suo gentile spirito che ride (5)

Per solito quando scrive i precetti è scorrevole, piano, arguto, spesso elegante, vedi p. es. tutti i consigli della Prudenza p. 322, dove parla degli ordinamenti della giustizia par di sentir Dante; notisi poi che la parte data all'ossatura del lavoro è molto breve, il resto sono tutti bellissimi ammaestramenti; le regole sotto l' Industria sembrano una raccolta di proverbi e qua e là se ne trovano alcuni riportati nella Raccolta del Giusti, come (Barberino, p. 116) L'antica via non lasciar per la nuova. (p. 144) Chi vuol essere amato convien ch'ami. (p. 146) Nella terra del tiranno Folli son quei che vi stanno. (p. 151) Per cammin si concia soma. Altri vi starebbero bene: (p. 143) Chi rade non convien scorticare. (p. 131) Non è tenuto chi non ha di dare. etc. Il Bartoli (Op. cit. p. 242 nota 2) trova nel Reggimento e costumi delle donne del medesimo Barberino citati i Documenti; io viceversa (Documenti p. 239, ed espressamente p. 240).

(1) Op. cit. p. 62. - Fauriel, Dante e le origini della lingua e della letteratura italiana, trad. F. Ardizzone. Palermo 1856, Vol. I. p. 276. Da tutta la lezione X, che tratta della poesia cavalleresca italiana, si vede come il Fauriel, e secondo noi a torto, creda che nessuna scuola prima di Dante, neppure la fiorentina, si stacchi dalle idee proprie della poesia cavalleresca provenzale, idee ormai diventate vecchie, convenzioni non più rispondenti ai bisogni della società.

(2) Cfr. Cicciaporci, Op. cit. Son. II.

(3) Id. Ball. VII.

(4) Id. Son. XXVIII.

(5) Id. Ball. XIV. È indiscutibile che il son. «Per gli occhi fiere un spirito sottile» (Cic. XIII) non sia uno scherzo.

e il dantesco Un spirito soave e pien d'amore » per citarne uno fra cento.

La meditazione, la solitudine e la filosofia innalzarono l'animo umano e l'arte là dove non s'erano mai levati sino allora; il momento stesso in cui vien colto l'amore è diverso, non è più la relazione dei trovatori (1), ma quel periodo che dirò con la felicissima imagine dello Stendhal (2) la cristallizzazione. — Nelle miniere di sale ad Hallein vicino a Salzbourg si getta nei pozzi abbandonati un ramo secco d'albero e due o tre mesi dopo lo si ritira tutto coperto fino al minimo fuscello di cristalli brillantissimi che scintillano come diamanti; così nell' amore, e la donna per quell' interno lavorio della mente, per quei sogni ad occhi aperti tanto cari agl' innamorati, man mano si sublima, diviene la perfetta delle cose, diviene un angelo, un Dio. Ora s' ascolti in che mirabile modo Guido esprima tutto questo:

Veggio ne gli occhi de la donna mia
Un lume pien di spiriti d' Amore,
Che portano un piacer novo nel core,
Sì che vi desta d'allegrezza vita.

Cosa m'avvien quand' io le son presente,
Ch'io non la posso a lo 'intelletto dire:
Veder mi par da le sue labbia uscire
Una sì bella donna, che la mente
Comprender non la può che' mmantenente
Ne nasce un' altra di bellezza nova:
Da la qual par ch' una stella si mova
E dica: tua salute è dipartita.

Là dove questa bella donna appare
S'ode una voce che le vien davanti,

(1) Vedi indietro p. 48.

(2) De l'amour. Parigi 1863. p. 311.

E par che d' umiltà il suo nome canti
Si dolcemente, che, s' io 'l vo' contare,
Sento che il suo valor mi fa tremare;
E movonsi nell' anima sospiri
Che dicon: guarda, se tu costei miri
Vedrai la sua virtù nel ciel salita. (1)

La donna è dunque già cosa venuta Di cielo in terra a miracol mostrare » e la gelosia e le irrequiete pene del senso, che balzavano Bernardo dall' una all' altra sponda del letto, vengono escluse naturalmente da questo altissimo amore; qui si piange perch'è tolto lo sguardo o il saluto, qui la bellezza della donna spande una luce serena che ingentilisce le altre creature e via via lo spirito si perde nella contemplazione del bello assoluto e giunge alla sintesi del mondo intellettuale e materiale in un sen

(1) Cfr. Cicciaporci, Op. cit. Ball. V. Trovo nel D' Ancona poesia popolare italiana. Livorno 1878, p. 205

Il Lunedi voi mi parete bella,

E Martedi che mi parete un fiore:

E Mercordi che mi parete un fior novello:

E Giovedi un bel mazzo di viole;

E Venerdì che siete la più bella,

Il Sabato che siete un fior fiorito.
E poi vien la Domenica mattina,
Par che siate una rosa in su la spina.
Si torna al lunedi dell' altra volta,
Siete una rosa in su le spina colta.

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Dove si vede il medesimo sentimento, o piuttosto concetto, della cristallizzazione. In bocca di donna:

... Mercoledi una stella brillantina,

Il Giovedi uno specchio rilucente;
Il Venerdi un mandorlo fiorito
Il Sabato più bello che non dico.

timento solo, potentissimo, che pervade tutta l'anima umana. Dante viene condotto al regno dei trapassati e ferma l'occhio in Dio, il Cavalcanti invece a meditare sugli uomini e sulla vita, e vicino alla morte scioglie l'ultimo, dolcissimo canto :

Poich'io non spero di tornar già mai
Ballatetta in Toscana

Va tu leggera e piana....

Tu senti, Ballatetta, che la morte
Mi strugge sì, che vita m'abbandona;
E senti, come il cor si sbatte forte
Per quel che ciascun spirito ragiona;
Tant'è distrutta già la mia persona,
Ch' io non posso soffrire:

Se tu mi vuoi servire
Mena l'anima teco
(Molto di ciò ti preco)

Quando uscirà del core.

Deh Ballatetta, a la tua amistate
Quest' anima che triema raccomando,
Menala teco ne la sua pietate

A quella bella donna a cui ti mando.... (1)

In tal modo l'amore dopo di essere stato passione diventa una pia memoria, un sentimento di pace a cui ricorre l'anima affaticata dalle mille battaglie della vita, un'intima e secreta religione di quel bello che altra volta ci ha infiammati e che ancora ci fa palpitare col suo ricordo e che amiamo ancora perchè ancora signoreggia la nostra esistenza. L'artista fa di ciò la sua maniera ed ogni animo gentile il fondo del suo carattere. Quanti sogni consolati da una imagine lontana, quanta parte del

(1) Cfr. Cicciaporci, Op. cit. Ball. XI. Giuntina f. 68 v.

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presente che si fonde e armonizza col passato! tal modo che si capisce perchè Beatrice si tramuti nella Filosofia (1), perchè Laura sia stata l'ultima compagna del Petrarca e perchè sbaglino coloro che vanno alla pesca di frasi per provare che questo o quel poeta amò infine alla maniera che voglion essi. Tale dottrinarismo nel sentimento non si capisce affatto, nè meglio s' intende con quanta ragione possa taluno affermare in nome della scienza un sentimento individuale come l'unico possibile in natura, e negare la realtà di un amore che non arrivi alle morsicature. Infinite sono le forme sotto cui si manifesta questo potentissimo affetto, e tutte vere perchè s' impongono tutte con la necessità non foss' altro del fatto. Nei dieci minuti durante i quali Sterne tiene fra le sue mani il polso delle guantaia parigina nasce ed ha il suo compimento un amore della più raffinata sensualità che mai si possa ideare; Milton invece mentre passeggiava in un tiepido giorno di maggio pei dintorni di Londra, essendosi imbattuto in una donna di straordinaria bellezza, subito fu preso di forte amore per lei, ma quella nel medesimo istante scomparve, nè più l'incontrò, nè più seppe di lei neppure il nome sicchè fece a se stesso il giuramento di non amare mai più (2).

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A chi poi domandasse qual sia la conclusione di tali amori, rispondiamo che se taluno si mette in testa di trovar sul serio la conclusione vera, non dell' amore, ma di una cosa qualunque, spenderà senza venirne a capo forse tutta la vita. Invero chi la chiederebbe la conclu

(1) Cfr. ciò che di Beatrice disse il Giusti (Scritti vari. Fir. Le Mon nier 1866. p. 253). A proposito dell' amore nei Trecentisti cfr. Teine, Voyage en Italie. Tom. II, p. 25-29

(2) In una elegia latina riportata da Drouilhet de Sigalas, L'Arte in Italia etc. trad. dal Civezza. Genova 1853. Parte I. I, XII.

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