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XII.

Entra Beatrice nel sacro Poema, sotto i due aspetti di donna e di simbolo. Come donna, è anche più umana, più disinvolta, più amante che nella Vita Nuova. Confessa a Virgilio, col lacrimare degli occhi belli e colla parola franca, l'amore contenuto vivendo nel castissimo petto. Appena Dante la rivede, e cerca nel viso di lei le note postille della terrena giovinezza, ella regalmente sdegnosa lo rimprovera delle sue infedeltà e della sua lunga resistenza alle ispirazioni, con cui aveva tentato richiamarlo a virtù. Ella stessa porge a noi la più lucida prova della sua storica esistenza, facendosi ricordatrice severa dei falli di Dante:

Alcun tempo il sostenni col mio volto;
Mostrando gli occhi giovinetti a lui,
Meco il menava in dritta parte vòlto.
Si tosto come in sulla soglia fui

Di mia seconda etade e mutai vita,
Questi si tolse a me, e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita,

E bellezza e virtù cresciuta m'era,
Fu' io a lui men cara e men gradita.

E volgendo a Dante il suo parlare per punta:

Pon giù 'l seme del piangere, ed ascolta;

Si udirai come in contraria parte

Mover doveati mia carne sepolta.

Mai non t'appresentò natura ed arte
Piacer, quanto le belle membra, in ch'io
Rinchiusa fui, e ch'or son terra sparte:-
E se il sommo piacer si ti fallio

Per la mia morte, qual cosa mortale
Dovea poi trarre te nel suo desio?

Come simbolo, ne determina il contenuto lo stesso poeta al primo apparir di Beatrice sul verde prato, tra gli antichi savi del Limbo, quando la fa salutar da Virgilio con queste parole:

O donna di virtù, sola per cui

L'umana spezie eccede ogni contento

Da quel ciel, ch'ha minor li cerchi sui.

Nel mistico viaggio, ei s'affida a due maestri che gradatamente lo guidano al sommo Bene: Virgilio e Beatrice. Virgilio è il savio gentil che tutto seppe. Beatrice è il bell'occhio che tutto vede. In Virgilio è il faticoso e successivo acquisto della ragione, che indaga e misura i molteplici e sparsi veri delle cose naturali e delle potenze umane. In Beatrice è la visione pronta, perenne e simultanea di tutti i veri e di tutte l'efficienze. La scienza universale ch'è possibile acquistare in terra, coi mutevoli sussidi dell'esperienza e del tempo, è Virgilio. La scienza universale ch'è possibile possedere in cielo, e comunicare agli uomini con antecipazioni palingenesiache, è Beatrice. Le altre significazioni attribuite da vari interpreti all'allegorica donna, o non raggiungono, od oltrepassano l'intenzione

del Poeta. Le figure particolari di Teologia, di Fede, di Chiesa, o di Politica ghibellina, non comprendono con interezza, come notò egregiamente Alessandro d'Ancona, tutti gli uffici che adempie effettivamente la Beatrice celeste. Ma la figura particolare di Filosofia, od anche la figura più semplice ed universale d'Idea, non corrispondono, parmi, neppur esse, al complesso organismo e all'intellettuale geometria del poema; e valicando anzi o preterendo i rigorosi limiti di luogo, di materia, di forma, assegnati all'azione diversa dei simboli, tendono inavvertitamente a confondere gli uffici di Beatrice con quelli a cui è sufficiente Virgilio, o la ragion pura.

Nelle due prime cantiche è l'espettazione crescente della Donna della salute. Il caro nome non è profferito in inferno. Nel purgatorio, il lavarsi il viso alla marina, il cingersi del giunco, i sette P cancellati, il fuoco, purificano e rinnovano l'umanità di Dante, per farlo degno della presenza di lei e della salita alle stelle. Sulla cima del monte, Beatrice appare precinta di feste angeliche, in una diffusa luce d'aurora, guidata dal mistico Grifone, fra canti biblici e virgiliani insieme, che significano il punto supremo di congiungimento tra le due sapienze, la terrena e la celeste. Il Poeta attende la donna della Vita Nuova, ma i cieli inviano una dea severa e velata. E quando egli si rileva obblioso

d'ogni colpa dal lavacro di Lete, ella non sorride ancora. Non può sorridere. È preoccupata da ministero troppo più alto che non sia quello d'appagare la decenne sete del suo fedele pellegrino. Ella in quest'ora è addolorata come Maria, è profetessa come Debora. Le pupille, in cui balenando si riflette il duplice aspetto del Grifone, ella fissa sui tempi che precipitano avversi, sui congiungimenti adulterini di Pontefici e di Re, sulle concordie perfide, sulla piuma del carro, sulla volpe digiuna, sul drago. Si leva in piè colorata come fuoco, e pare visione apocalittica, che accenni e non disserri i misteri dell'avvenire.

Misteri sul principio dell' inferno, nella selva selvaggia. Misteri sulla cima del purgatorio, nella divina foresta spessa e viva. Il veltro dapprima, il dux dappoi. Chi sono in verità? Nol sappiamo. Non importa. Il Poeta ne ammonisce che non potè o non volle solvere l'enigma forte. Ma aspettava un bene, una luce, un soccorso alle sventure dell'Italia, della Chiesa e dell'Umanità. Erano le indecifrate promesse della Provvidenza. Era il coraggio dell'esule che anelava a due patrie, Firenze e il Cielo.

Ma poco stante, Beatrice da quella inaccessibile altezza di vaticini, ritorna a famigliarità serena di modi e d'aspetto. Avverte Dante che d'ora innanzi parlerà in piana favella, e l'esorta

a svilupparsi da tema e da vergogna. Così nel subito volo alla sfera del fuoco, scioglie amabilmente i primi dubbi colle sorrise parolette brevi, e spiega il trascendere di Dante gravato di persona, pei lievi corpi siderei. E su su pei cieli, sempre egualmente rimane donna e sapienza, amante e maestra, materna consolatrice e speculatrice profonda, ora correggendo con pio sospiro, ora ammiccando scherzosamente accorta della tenue vanagloria di Dante nel colloquio coll'atavo crociato, o pallida e timida come signora onesta che oda l'altrui fallire, alle terribili parole di S. Pietro, Disserta sulla fisica stellare, sull'ordinamento dell'universo, sui misteri della rivelazione, sul libero arbitrio, sull'estemporaneità dell'atto creativo, sulle cupidigie dei popoli, sullo sgoverno dei principi cristiani, sulle restaurazioni future delle umane giustizie. Dalla crescente splendenza del sorriso trae l'intrinseca virtù e la leggerezza che trasloca il poeta di stella in stella fino a Dio. Del sorriso di Beatrice son pieni i cieli. E spesso le terzine che, variando sempre, descrivono quel sorriso, hanno in sè la semplicità soave e la mistica passione dei brevi inni d'Orfeo, adorante la divinità nelle nuvole, nelle ore, nelli zeffiri, nell'aurora, nella notte. Il dipartirsi di Beatrice dal fianco di Dante per tornare alla foglia di rosa bianca, ove ha il suo seggio di gloria, è semplice come il primo incontro nella Vita Nuova. Dante si volge e dice: Ed Ella ov'è? Ber

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