Sayfadaki görseller
PDF
ePub

II.

Per quanti secoli, per quali prove e per qual ordine di sentimenti l'arte cristiana giungesse a così alta forma di tempio, lo vedremo con un rapido sguardo ai principali duomi italiani e stranieri. È utile notare intanto che quegli occhi e quegl'ingegni si erano assuefatti ad ogni modo di bellezza, o nascente dalla contemplazione interiore, o preesistente e vagheggiata negli studi preparativi. Sicchè l'eliminare, il conservare, l'aggiungere, non per sè stesso nè in ogni tempo e in ogni gente esteticamente sicuro, era divenuto per essi non fallibile potenza elettiva d'ogni squisita perfezione. Allora l'idea cristiana fu contenuta in lucentissimo vaso, come fiamma elettrica nel suo cristallo. Allora il contrasto fu piena vittoria.

Se la romanità decaduta dello stile non dava più alle basiliche costantiniane la fresca impronta d'un concetto bello e forte, davano le rovine i preziosi materiali dell' arte. Si fabbricava in fretta, disgregando i vecchi edifici pagani; si rizzavano dispaiate colonne di marmi finissimi. Talune serbavano intatto il flessuoso capitello corintio; s'imposero ad altre capitelli imitati da goffo artefice. Eppure una novità entrò allora nel dominio dell'arte e vi rimase: l'arco tondo

girato sulle colonne, che fu subito caro al popolo cristiano, e dall'architettura latina in Italia, in Francia, in Germania fu replicato sempre con portici e loggiati. Forse quella fuga di lente e uguali parabole rassomigliava al movimento uniforme delle anime elevantisi a Dio colla speranza, e discendenti da lui alla terra colla pazienza. O forse, non pensando a nessun simbolo, apparecchiavano così gli artefici più spazio alle gente e alla luce, dacchè i religiosi misteri non si celebravano più al lume delle fiaccole nei laberinti delle catacombe, ma nella pienezza del sole. L'arco piegato sulle colonne passò successivamente alle chiese bizantine, alle lombarde, alle normanne, alle tedesche. Si trasmutò in acuto. Tornò a riposarsi sferico, quando l'Orcagna lo girò grandiosamente sulla Loggia de' Lanzi, degna di popolo principe; quando fra' Giocondo lo illeggiadri raffaellescamente a Verona, e il Brunellesco ne foggiò a Santo Spirito di Firenze una magnifica selva.

Aggiunsero i bizantini la cupola, come coronamento di volta celeste alla chiesa. Venuti a Ravenna colle immaginative piene del Bosforo luminoso e di S. Sofia, edificarono quel S. Vitale che Carlo Magno invidiò all'Italia e imitò in Aquisgrana, quel Duomo e quel Sant'Apollinare dalle ventiquattro colonne grigioperla, venate d'oro, che furono dette zaffiree o gemmate. Ma tutto vinse S. Marco a Venezia. Oh chi

lo vede nelle feste solenni! Le cinquecento colonne di marmo, i quarantamila piedi quadrati di mosaico, gli splendori e le tenebre del tempio, le logge e le tribune che si profondano nei bracci laterali della chiesa, le cinque cupole, i cavalli di bronzo, i riflessi della laguna, i tocchi oscillanti di quella campana che sonava a gloria e a pericolo nella Repubblica; tutto questo immerge l'anima in una dolce confusione fantastica: ci sembra leggere un poema gangetico, una specie di Ramajana cristiano. E quando usciamo dall'atrio all'aperto, e ci sentiamo sciogliere dalla caligine di quel sogno o di quella malia, allora solo, pur conservando l'ammirazione profonda, diciamo tra noi: No; per quanto fosse ricca e sfolgorante, l'arte in Italia non poteva rimaner bizantina.

La Sicilia formavasi uno stile suo, arabo, normanno, bizantino, o meglio tutte queste cose fuse insieme, come si fondono e si capovolgono specchi di marine, cupole, moschee, palmeti, nella illusione della Fata Morgana. L'Alhambra d'Italia, la sua Siviglia, la sua Granata è a Palermo, nella Cappella Palatina, nel Duomo, a Monreale. E già, in Italia, nessun paese pare un altro!

Ma il mosaico policromo, tanto idoleggiato dalle popolazioni adriatiche e sicule, incontrò più temperato favore nelle altre regioni. A Roma, a Parma, a Piacenza, a Modena, a Verona, i mae

stri si esercitavano piuttosto nello stile comacino o lombardo, stile più sobrio, più solido, spesso bizzarro e inelegante, ma che preparava la mano e gl'ingegni alle concezioni ardite e mistiche del trecento. Annunziano per lo più lo stile lombardo i due leoni reggenti le colonne dei portali. Si credeva che il leone dormisse ad occhi aperti, e la pupilla fosforescente rilucesse la notte nel deserto. Forse significarono in esso che il Leone di Giuda è Cristo, il vigilante eterno; è il solo che sostiene l'arco alla janua cœli, e ne guarda la soglia.

La Toscana, conservando, eliminando e aggiungendo, colla genialità sapiente dell' indole sua, coll'agilità e libertà delle sue ispirazioni, cominciò col Duomo di Pisa, sul chiudersi del barbaro e oscuro millennio, la serie delle più belle cattedrali italiane. Soldati, navigatori e mercanti, i pisani non sapevano dividere le glorie navali della Repubblica da una certa altera coscienza dell'arte; e pensarono di convertire in monumento magnifico le grandi ricchezze conquistate a Palermo, quando combattendo ne spezzarono animosamente la catena del porto. Artisti di vigorosa inventiva, memori d'ogni tradizione di bellezza, trasfusero nell'originale eleganza del tempio l'austera semplicità latina, e una velata apparenza di meschita, quasi riflesso dei loro viaggi orientali.

III.

Fuori d'Italia, l'immaginosa Normandia, l'alato ingegno de' Franchi e il mistico entusiasmo della gente Anglosassone ricercavano avidamen te un'originalità nell'arte, che rispondesse meglio al sentimento loro particolare di quella fede, che apriva tra essi la storia della civiltà. E non farò questioni sull'incerto principio del sesto acuto. Non chiederò all'isola di Parigi, se fosse lei la madre antica dell'ogiva; o all'architettura moresca, se ne avesse già apparecchiata l'invenzione. Noterò solo che fin dal primo diffondersi dell'arco acuto, la Germania disse: È mio; e disse il vero. Non bastavano le basiliche latine, corrette e severe di Worms, di Spira, di Mayence a soddisfare la sete d'ascensione al soprannaturale, il bisogno della vertigine, che affanna quel popolo credente e poeta, assuefatto alle leggende del Parcival, alle meteore boreali, agli spettri del Broken, ai paesaggi della danza delle streghe e delle valli d'inferno nella Selva Nera.

Le cattedrali d'una nazione sono i suoi poemi di pietra. Chi non intravvede nella Chiesa di Nôtre-Dame l'anima di Victor Hugo? Chi non sente la formidabile grandezza di Milton nelle austere profondità delle Chiese di Sancta Fides, di Westminster, di Canterbury? Maestro

« ÖncekiDevam »