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Bartolomeo Caporali avea forse veduto e ammirato qualche cosa della patetica scuola folignate; poichè una sua piccola Annunziata, nella compostezza della persona, nelle pieghe de' panni e nel movimento ingenuo del capo, ci richiama al pensiero quello stendardo dell'Annunziata, dipinto da Niccolò nel 1466 per S. Maria Nuova di Perugia, che oggi è decoro insigne della nostra pinacoteca.

Ma con Fiorenzo di Lorenzo ha principio veramente la scuola perugina. S'egli non raggiunge Niccolò di Foligno nella espressione pietosa de' volti, lo supera nell'abilità pittorica e nella fantasia. Si sviluppa facilmente dalle consuete durezze, panneggia largamente, compone con disinvoltura; solo dispiace in lui qualche volta il tono arido e biancastro delle carni. I suoi quadretti dei miracoli di S. Bernardino, forbitissime miniature, mostrano già nuove eleganze di prospettiva e di paese. Le figurine si atteggiano con grazia giovanile e soldatesca. Le maglie serrate ai corpi, le chiome fine, i gesti pronti accennano a nuove armonie del reale coll'ideale. Ma v'è un quadro, l'Adorazione de' Magi, che ne tiene sospesi e meravigliati. Se è di Fiorenzo, secondo il comune giudizio, come potè in questo lavoro unico levarsi tanto sopra di sè? Chi gli ha insegnato quelle tinte amabili di carni, così insolite a lui? Chi gli ha ispirato quel profilo di Maria, quella pura fronte,

su cui riposa un tocco di lume argentino, che non sai dire se derivi dall'interno dell'anima virginea, o da esterna luce mattinale? Una mano più delicata e più potente non l'avrà ravvivato? Sarà la mano di Pietro? Il barone di Rumhor ed altri, per alcune somiglianze di stile, credono Pietro alunno di Fiorenzo. Se non che la poca differenza d'età che si può stabilire tra i due pittori rende difficilmente accettabile questa opinione. Eppure nell'angolo a sinistra del dipinto, si delinea un viso largo e vigoroso, che ai contorni e ai rilievi si direbbe proprio il ritratto giovanile del nostro Vannucci. È una testimonianza d'animo grato, od è soltanto un omaggio reso al nome divenuto glorioso d'un compagno antico d'officina? Checchè se ne pensi, non v' ha dubbio che la nota cortesia e fratellanza artistica di quei tempi ci permetta di veder lampi di vari ingegni in un'opera sola e abilità diverse esercitate in comune.

IX.

Vannucci e Pinturicchio: due genj concordi e a prima vista somiglianti; tra i quali però un'osservazione attenta saprebbe discernere molte differenze.

Per norma d'italiani e di stranieri che visitino Perugia, per cautela degli studiosi dell'arte,

bisogna non dimenticare che, se nelle diciotto sale della nostra pinacoteca si apprende bene la storia dell'arte umbra dalle origini alla decadenza, noi non possediamo più neppure un capolavoro. Tutte le opere più eccellenti sono con nostro dolore ed orgoglio a Marsiglia, a Lione, a Parigi, a Londra, a Dresda, a Berlino, a Madrid, a Pietroburgo; senza contare lavori mirabili a Firenze, a Roma, a Vallombrosa, a Siena, a Milano, a Pavia. Dobbiamo formarci una pinacoteca fantastica, disponendovi ordinatamente cose molteplici e varie. Il catalogo solo delle opere ci direbbe che non potremmo lagnarci troppo di quella monotonia artistica, che forse eccessivamente ci fu rimproverata. 1

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La monotonia non derivò solo dal genio alquanto monocorde e limitato di Pietro; ma dalla fretta con cui cercava qualche volta di soddisfare alle frequenti commissioni che da tutta Italia gli pervenivano. Derivava eziandio dalla

1 Mi sia lecito esprimere un desiderio. Vorrei che in ogni sala della pinacoteca perugina venissero collocate, per ordine di tempi e d'autori, incisioni, disegni o fotografie delle opere più importanti di scuola umbra, sparse in Italia e fuori. Questo compimento dato alla nostra collezione municipale gioverebbe molto agli studiosi, che vedrebbero in una successione non interrotta l'intero svolgimento dell'arte nostra. Non si può immaginare quanto utile e bello sia l'esempio che ha dato Firenze colla sua esposizione Donatelliana permanente, dalla quale possiamo conoscere quell'artista grande in tutta la varietà delle ope

re sue.

consuetudine d'affidare a discepoli numerosi e mediocri l'accurata, non ispirata riproduzione delle sue pitture. Forse anche illuso dal grido comune che lo designava grandissimo, cedette troppo al fascino delle sue creazioni, e si appagò e quietò nella propria stima. Indi il ripetersi frequente. Non considerò che altrove gli anni correvano rapidi e fecondi; forse troppo fecondi, per esser durevoli in bene. Quando tornò a Firenze da vecchio, era diventato un anacronismo; fece l'impressione d'un morto risuscitato. Che colpa n'ho io, se non vi piacciono più quei lavori che già vi piacevano tanto? Cosi chiedeva rammaricandosi. La domanda parve ed era semplice assai, dinanzi ai cartoni di Leonardo e di Michelangelo.

Nella sua vigorosa gioventù egli aveva faticato per due motivi, molto gravi sull'animo suo : la gloria e il guadagno onesto. Aveva provato le dure strette della povertà e la temeva. Quindi nell'Umbria, sua facile e fedele ammiratrice, tirava via a guadagnare e lavorava di pratica. Ma non era così a Roma e a Firenze. Là si sentiva sospinto principalmente dal desiderio d'emulare i suoi grandi contemporanei. Là cercava di superar sè medesimo, con ispirazioni più larghe e gagliarde. Là si scioglieva da certa sua maniera di composizioni e di pose, disegnando dal vero con franchezza maggiore, nè ripugnando più dai tocchi risentiti del ritratto. Ricordiamo la

consegna delle chiavi in Vaticano. Ma nella deposizione di Palazzo Pitti e in quella dell'Accademia di Belle Arti a Firenze chiedeva vigori nuovi al colorito. Riuniva un gruppo di persone bellissime, esprimenti una pietà immensa, con tutto il variare proprio di ciascuna età e di ciascun individuo: v'ha chi ragiona del suo dolore, e chi lo medita in silenzio; v'ha il dolore serio e operoso della virilità e della vecchiezza; v'ha quello appassionato e riverente delle donne giovani, teste, come dice il Vasari, molto graziose nel pianto. Ivi la Vergine dei presepi, quel biondo tipo di villanella umbra dorata dal sole, coi capelli ravvolti in piccoli veli, s'è dileguata. Resta una vedova, orfana del suo unigenito, chiusa in vestimenti severi, la cui vita si raccoglie tutta nello sguardo; uno sguardo che fa piangere! I ritratti dei monaci di Vallombrosa, oggi nell'Accademia fiorentina di Belle Arti, furono lungamente creduti di Raffaello.

Terribile onore l'avere allevato all'arte la gioventù del Sanzio; ma titolo di gran lode l'aver dato occasione a simili scambi. Se in Pietro o in Pinturicchio apparisca alcunchè di più finito e perfetto, ecco subito i critici dell'arte venirci sopra con tutto il peso delle induzioni e delle ipotesi, per rivedere e correggere l'inventario delle nostre ricchezze. Così il Cavalcaselle ed il Crowe, guardando la bellissima volta della sala del Cambio, fatti sospettosi dalla stessa ammirazione,

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