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I.

A

vvengono talora nelle vite umane incontri strani di giorni, che fanno pensare quanto profonde e imperscrutabili sieno nell'intima essenza loro le leggi della storia. Il 6 d'aprile, che forse gli antichi avrebbero consacrato alle Grazie, fu giorno memorabile del pari nella vita del pittore e del cantore della perfetta bellezza. Era un 6 d'aprile ed

Era il giorno ch'al Sol si scoloraro
Per la pietà del suo Fattore i rai,

quando il Petrarca s'innamorò nella decorosa figliuola della Provenza. Egli la vide allora, la prima volta, sotto i temperati splendori del tempio, che ne illuminavano il biondo capo, come a creatura di cielo. E un 6 d'aprile moriva la bellissima donna, lasciando viva nell'anima del poeta l'immagine sua, ispiratrice di meste con

templazioni e di canti dolcissimi. Nasceva un 6 d'aprile, in venerdì sante, dalla virtuosa e avvenente madonna Magia, Raffaello Sanzio; e trentasette anni più tardi moriva, nell' istesso giorno e nell'istessa grande e dolorosa solennità cristiana. Roma intera lo pianse, e lo accompagnò al Panteon con onoranze sovrane.

Ma ben altre e intellettuali corrispondenze ne appaiono tra il Sanzio e il Petrarca, se guardiamo per poco all'indole loro ed all'ingegno. Essi furono ambedue miti, innamorativi e felici. Principi e popoli li predilessero e venerarono: nè forse avvenne mai che potenza vera d'ingegni viventi fosse tanto onorata e cara, se ne togli Tiziano in Venezia sua, e al secol nostro Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi. Tratti all'amore, meno forse dalle forme leggiadre di Laura e della Fornarina, che dalla bellezza ideale leggermente incarnata in quelle due fragili creature; confortati dall'arte, che fu si valente in essi a ripetere coi colori e coi canti le concezioni dilette del pensiero, gioirono in tutta la vita d'un appagamento interiore, che fu gelosamente custodito (per effetto fors' anche di delicata complessione) sotto un velame di serena melanconia, non avversa alla felicità e coadiutrice cortese del genio.

Se difetto adombrò la loro gloria futura, fu difetto comune ad entrambi. Il Petrarca, non

credendo che col volgare idioma si potesse fare grande opera d'arte, non tenne l'Alighieri nel debito pregio; e sperò di salire tra gl' immortali colla lingua di Cicerone e di Virgilio, piuttostochè colla fresca e florida giovinezza del parlar materno. Raffaello, giudicando quasi barbara l'arte medievale, alle cattedrali e a' palazzi del popolo, onde tanto rifulse l'epoca dei Comuni italiani, antepose la Roma sotterranea, e non ebbe occhi ed anima se non per le dissepolte grandezze dell'arte greca e romana.

Ambedue si conformarono dolcemente e senza contrasti alle condizioni de' tempi loro. Poichè nelle attitudini del loro spirito era virtù di secondare e avvalorare il bello e il bene che fioriva intorno ad essi, di riprodurlo nuovo vagheggiando l'antico, più che di combattere il brutto e il malefico. Si direbbe che sdegnarono quasi di riguardarlo; a somiglianza di colombe che non si posano mai, ove temano contaminar di fango l'ala immacolata. Se il Petrarca si addolora talvolta per le travagliose fortune d'Italia e per lo scadimento della grandezza di Roma, il suo è lamentoso richiamo di vecchie glorie, gemito di figlio sulle sventure della terra materna; e solo contro la corrotta corte avignonese è iracondo flagello di potenza vendicatrice. Raffaello, nel secolo baldanzoso di beate spensieratezze e di magnificenze, nel secolo delle corti splendide, delle coltissime donne va

gheggiate da artisti e da poeti, nel secolo del Bramante, del Castiglione, del Cellini, del Poliziano, di Vittoria Colonna, del Sannazaro, dell'Ariosto; tra le statue, i colonnati e le terme ri sorgenti sul Tevere dall'umidore degli scavi; tra il ripullulare delle latine eleganze; Raffaello aspirò largamente tant' aura di diffusa bellezza che, pari all'ambrosia degli Dei, fu il suo unico e vitale alimento. Tra il luminoso tramonto della scuola umbra, e i meridiani fulgori di fra' Bartolomeo, di Leonardo e di Michelangelo, mantenne un’olimpica temperanza di luce e d'ombra, d'ideale e di reale, di sentimento e di concetto, di colorito e di disegno, che lo fece maestro insuperato di quel bello sempre uguale a sè stesso, che pare un sorriso della verità sulle mutabili vicende dei tempi. Giovane, non d'altro pensoso che dell'arte, passò tra le abbaglianti apparenze che lo circondavano, non curò il frastuono delle pompe cortigiane, le feste de' conviti, delle cacce, de' tornei: ma non udi neanche il cupo rombo che minacciava quella generazione gaudente, infiacchita, sensuale, la quale sonnecchiava tra gl'imitatori del Berni e del Petrarca, e tra le adulazioni ingegnose de' suoi dotti parassiti.

II.

Dante e Michelangelo invece elevarono tra i contemporanei le fiere e solitarie persone, qua

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