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Ital

I.

taliani e stranieri s'occuparono variamente dell'arte umbra. Non abbastanza gl'italiani per collocarla in una luce chiara, che ne rilevasse con nitidezza i contorni, e ne rendesse visibili le ragioni e la storia. Incidentemente gli stranieri, che, invaghiti del genio principe della pittura, Raffaello Sanzio, riguardarono a lui, come a stella di prima grandezza, venuta su dal nostro oriente, e non porsero che una debole attenzione alle opere e agl'ingegni minori, che precedettero e accompagnarono nell'Umbria quel nuovo splendore. Inoltre, perchè viaggiatori spesso frettolosi, quantunque dotti e di tenace proposito nelle indagini che domandano pazienza molta, non pervennero sempre ad agevolare la soluzione delle nostre controversie artistiche e storiche. Ed anche, talvolta, con troppa fede si rimisero al Vasari, invido di glorie che non sieno fioren

tine e michelangiolesche, e narratore non meno elegante che faceto di novellette maligne.

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Scrive il Müntz, per esempio, che la fisonomia e il carattere dei perugini corrisponde a quanto v'è di più povero ed umile nei loro quartieri popolani; che il tipo ha qualche cosa di malaticcio e di sofferente, come nelle Madonne della loro scuola. E conclude che non è l'Umbria la terra delle forti ispirazioni, ma del raccoglimento e del fervore. Solo S. Francesco d'Assisi riuscì a trarre tesori di tenerezza e di sacrificio da queste nature, in apparenza così tarde e ritrose. Invece il Lafenestre asserisce che, secondo un adagio popolare, i perugini erano angeli o demonj; e che, angeli o demonj a Gubbio, a Spello, ad Assisi e a Perugia, gli umbri domandarono sempre ai loro pittori opere conformi all'esaltazione dell'anima loro. 2 Almeno poteva notare che, quando gli umbri richiesero l'opera de' loro artisti, non avvenne mai nei momenti dell'esaltazione demoniaca, perchè la tempra dell'arte rimase qui costantemente serena ed angelica.

Noi dunque umbri, più che gli altri, possiamo riconoscere quel che fummo da quel che siamo : non ci manca notizia diretta delle tradizioni

1 Raphael, sa vie, son œuvre et son temps, par EUGÈNE MUNTZ.

La peinture italienne, par GEORGES LAFENESTRE.

municipali, dei costumi, delle leggende: e lo studio dell'arte nostra, fatto da noi nel nostro paese, e avvalorato da uno sguardo comparativo tra le diverse scuole d'Italia che fiorivano nel secolo stesso, riuscirebbe molto più facile e fecondo. Esso avrebbe già in parte i suoi apparecchi negli scritti speciali d'alcuni valenti eruditi umbri. Non è in mio potere che immaginarlo e proporlo: e soltanto per eccitare chi possa e voglia assumerlo con intelligenza di critico e coscienza di storico, ne toccherò leggermente qualche punto, lumeggiandolo colle impressioni vive di cose da me stessa vedute e meditate.

II.

Come avvenisse quel simultaneo erompere d'un'intima potenza nuova in opere di bellezza, quella diffusa primavera sacra, non somigliante nè alla greca nè alla romana, lo sa bene chi sente profondamente nella storia l'importanza civile del cristianesimo. Non ogni vero è bellezza in natura; ma la bontà del vero, quando è riconosciuta, accolta ed amata, è già prossima a trovare una veste di luce conveniente, una forma fantastica che prende le grazie, ora robuste ora delicate, dalla fisonomia paesana, e diventa così figliuola d'una gente, e fattrice insieme della sua grandezza.

Il cristianesimo ci aveva dato prima l'artista della parola, Dante Alighieri; ci diede subito e insieme con Dante, l'artista della figura, Giotto. L'uno cantando, l'altro effigiando comuni pensieri, liberissimi, audacissimi, furono meno di ogni altro, figli, come oggi suol dirsi, dell'ambiente. Essi anzi lo informarono e lo rinnovarono, avviando tutto il movimento del pensiero estetico nazionale, che da sette secoli fino a noi dura ancora. Ne paia strano. Il genio vero sdegna le dipendenze. Si vale degli elementi del suo tempo, per dominarlo e trasformarlo; qualche volta, per combatterlo. Se nell' ineguale battaglia soccombe, muore senza vedere le sue future vittorie; muore come il profeta, coll'occhio pieno dei fati e degli splendori dell'avvenire. A Dante ed a Giotto non diede il tempo loro tutta la gloria: questa si accumulò lentamente intorno ad essi: si è fatta gigante: ha formato una nazione d'artisti. Lasciamo Dante, che non appartiene a questo argomento; cerchiamo invece come il pensiero di Giotto si traducesse per tutta Italia in forme schiette e native di venustà.

III.

Dobbiamo occuparci quasi esclusivamente della pittura religiosa. L'architettura, sempre leggermente ardita nelle guglie, nelle cuspidi,

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