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cor non nata, che qua e là lambiscono i lontani orizzonti del creato. E così, eleggendo, compiendo e affrettando, l'arte umana costringe e moltiplica la bellezza ne' suoi innumerevoli obbietti, e supera l'antica maestra colla dovizia e colla perfezione dell'estrinseche prove.

La supera, ma non se ne discioglie: perchè appunto non ha altro modo a superarla nella produzione delle particolari novità, che derivarle da quella stessa indefinita potenza di combinazioni ideali che in lei s'acchiude, e che nessuna moltiplicità o varietà d'atti giunge mai ad adeguare o esaurire. È questo anzi il suo conforto, la sua guarentigia e la sua ricchezza: questo richiama con attraimento vigoroso e continuo gli artisti all'indefettibile insegnamento di natura, affidandoli che tutto, se sappiano interrogarla, troveranno in lei. Anche l'ispirazione, che ne sembra più indipendente e remota, e che, quantunque consista in un subito, involontario e profondo eccitamento dell'animo, pure è sempre originariamente promossa da elementi obbiettivi, verso cui, idoleggiandoli e carezzandoli, ritorna fedelmente con amorosa espansione. Anche i segni e gli adombramenti del soprannaturale, che per la relazione creativa con cui indissolubilmente congiunge a sè la natura e la penetra e la trascende, fa intravvedere in lei la sua velata presenza, e quasi sentirne l'arcana infinità. Molto più poi gli affetti vari dell'ani

mo e il loro movimento diverso, che obbedisce per corrispondenze costanti alla graduale vivacità e al particolare conserto, con cui cagioni morali o fisiche, fantastiche o reali, di amicizia o di famiglia, di religione o di patria, di tradizioni o di speranze, esercitano la loro influenza sullo spirito umano.

VI.

su

Però come la natura non disdegna, ma scita cooperatori nella produzione della bellezza, così non li rifiuta, ma li chiama a sè compagni nel magistero dell'arte. Ed essi ridicono in breve quel che natura loro insegnò, meno trattenendoli intorno alla formosa esteriorità delle opere sue, che introducendoli ad esplorare la formosità interiore e l'immensurabile dovizia dei suoi modelli ideali, e il modo della loro più conveniente rappresentazione. Laonde addestrano coll'esempio gl'ingegni a investigare, sorprendere e rapire il segreto della bellezza; ma traendoli all'imitazione del come essi fecero, e non già di quello che fecero. L'arte vera imita e inventa imita osservando e non ripetendo, inventa contemplando e amando; imita l'operare di natura e de' maestri, non copia le fatture loro; inventa bellezze ignorate, e nuove solo perchè prima occulte, non piglia in prestito bel

lezze note, nè s'avventura tra fantasie strane a cercarne fuori del verosimile e del naturale.

Non penseremo certo che Dante non sarebbe venuto in fama senza Virgilio, quantunque per gratitudine amorosa chiamasse suo autore colui dal quale apprese il bello stile. Ma non penseremo neppure che, senza i grandi contemporanei e le meraviglie rinate dell'arte greca e romana, avrebbe Raffaello conosciuto e signorilmente adoperato nell'arte tutti i modi più ardui di perfezione. Nè il Vasari ebbe diversa opinione, quando commentando alcune parole di Michelangelo sulle opere di Tiziano, osservava che "chi non ha disegnato assai e studiato cose scelte, antiche o moderne, non può far bene di pratica da sè, nè aiutare le cose che si ritranno dal vivo, dando loro quella grazia e perfezione che dà l'arte fuori dell'ordine della natura, la quale fa ordinariamente alcune parti che non son belle ท

Così il Masaccio affrancava, il Sanzio dalle simmetrie consuete, e gli mostrava, co' suoi energici chiaroscuri, come dovesse rinvigorire il colorito, che dal Perugino teneva, tra il biondo e il roseo, troppo tenui ed eguali tinte. Anche fra' Bartolomeo lo soccorreva più tardi, stringendolo a più accurati studi sul vero, e innamorandolo coi tocchi luminosi e risoluti del suo pennello e colla sicurezza grandiosa del drap

peggiare. Ma più potente di tutti s'insinuava in quell'anima, docile e pronta ad ogni richiamo di bellezza, lo spirito e l'arte sovrana di Leonardo, la sua profonda conoscenza della natura, la sua compiuta vaghezza di prospettive, il suo perfetto condurre de' contorni e de' rilievi, il visibile parlare de' volti, e la sublime dignità degli aspetti e delle composizioni; e senza turbare i purissimi ideali ch'ei recava dall'ascetica e contemplativa Umbria, ne sgombrava solo quel non so che di troppo molle e femmineo ch'è particolar nota di quella scuola. Solo all' indomabile Buonarroti potea perdonarsi la sdegnosa parola che Raffaello fosse a lui debitore di tutto quanto sapeva. Certamente, se la sapienza dell'arte consistesse intera nell'imitazione di quanto è fiero, prepotente, muscoloso e terribile in natura, il dipintore della Sistina non avrebbe rivali. E Raffaello, che pure si gloriava con benevolenza d'animo retto e modesto d'esser nato al secolo del gran fiorentino, se talora si accostò a lui nell'ardimento del concepire e nel vigore preciso del delineare, non lo superò mai in questo singolare valore. Ma la bellezza non ha un solo aspetto, nè un'unica forma di perfezione ed appunto nel tentarne con mano sicura la varietà inesausta, e nel riuscir sempre a rappresentarla con la più squisita eccellenza, egli vinse l'altero emulo suo.

Della eletta cultura poi che l'aiutò nella feconda diversità di sue prove, forse Roma e Fi

renze ebbero minor merito d'Urbino, sua piccoletta ma nobilissima patria. Qui, nel ducale palazzo di Guidobaldo, ambasciate di veneti patrizi, pomposamente accolte e degnamente intrattenute. Qui esempi di valore e di cortesia nei cavalieri e nelle dame: e singolarmente in quella Giovanna della Rovere e in quell'Emilia Pia, tanto onorate per intelligente bontà e grazia decorosa. Qui il Castiglione ed il Bembo, raccolti con esse a disputare sulle più alte dottrine platoniche dell'amore, dell'arte, della bellezza; mentre forse, tacendo e ascoltando, fin d'allora Raffaello, reduce da Perugia e da Firenze, disponeva la mente alle future creazioni della Scuola di Atene. Insomma, gli artisti e i dotti del tempo suo fecero per lui non altrimenti di chi, a illuminare vie meglio una reggia, aprisse da ogni lato terrazze e balconi, rimovesse veli e cortine, togliendo ogni impedimento all'onda piena della luce, e alla libera vista del cielo e della terra.

VII.

E dalla considerazione attenta e diretta della bellezza, quale appare schiettamente nella universale natura, attinse appunto Raffaello quella novità limpidissima e propria, e quella idealità ed elezione di forme, che serbò sempre, anche quando secondò con disinvolta prontezza i modi d'altre scuole, e quando seguì con segno fedele

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