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CONVITO

DI

DANTE ALIGHIERI

RIDOTTO A LEZIONE MIGLIORE

MILANO

DALLA TIPOGRAFIA POGLIANI

MDCCCXXVI,

Σ

BOOLEAN

16 NOV 1932

GLI EDITORI

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CONVITO di Dante, benchè da Giovanni Villani (a) e dal Boccaccio (b) esaltato con magnifiche lodi, è venuto alla posterità lacero e guasto per guisa, che in sì deplorata condizione non si trova forse alcun libro d'antico scrittore. La cagione di che non è già da attribuirsi all'essergli stato troppo tardi conceduto l'onore della stampa, poichè anzi esso fu dato in luce dal Bonaccorsi nel 1490, e vale a dire diciotto anni solamente dopo la Divina Commedia, la cui prima edizione, della quale i bibliografi conoscano con certezza la data, è del 1472. Ma vuolsi pensare che Dante, rivoltosi con tutto l'animo al gran Poema, lasciasse non solamente imperfetta quest'opera,

(a) Lib. 9, Cap. 134. (b) Vita di Dante.

come diremo più avanti, ma nè pure si curasse di ripulire il manoscritto di quella parte di essa che avea terminata. Il perchè tra pel cattivo stato della scrittura, con molte cancellature, con vocaboli più accennati che finiti, o scritti nel calore del pensiero diversamente da quello che debbono essere, con aggiunte e correzioni incastrate qua e là come davano agio gli spazii vôti della carta, e per l'arduità del subietto trattato con parole ed espressioni tutte fuori del modo volgare, doveva naturalmente avvenire che colui a cui fosse dato l'incarico di trarne la copia, se non era uomo di non ordinaria capacità, ne componesse un mostro. Tale, secondo ogni apparenza, è stata la sventura di questo libro. Ed è forza di confessare che tutti i Codici che di esso sussistono sieno derivati, come da infetta sorgente, da un primo informe esemplare tratto dalle carte postume dell' autore. Chè altrimenti, se le copie ne fossero girate mentr'egli vivea, dovrebbe anche al presente ritrovarsene alcuna di lezione, se non in tutto sicura, almeno nella più parte ragionevole, come trovansi a penna ed a stampa i buoni Testi della Commedia e delle altre sue cose. Nè poi era

possibile che Dante avesse lasciato correre per le mani degli uomini quest'opera così storpiata, essendo sì tenero de' suoi lavori, che al fabbro ed all'asinajo che gli sconciavano i versi fece quel mal complimento, di cui parlano Franco Sacchetti (a) e Leonardo Bruno Aretino (b). Certo ch'ei non l'avrebbe risparmiato a' suoi Copiatori. Ma di costoro non è a stupire che le sì ree cose facessero dire al divino Alighieri. Gente eran essi educata, prima dell'invenzione della stampa, alla materiale fatica del trascrivere l'opere altrui; come il sono oggidì a quella di accozzare caratteri di piombo i così detti Compositori delle nostre tipografie. Onde se tanti svarioni s'incontrano ne' manoscritti pure delle Cronache, delle Novelle, delle Leggende compilate a bella posta per l'intelligenza d'uomini idioti, come non dovea cangiar forma nelle mani di coloro, che non avevano spesso salutate altre scuole che quelle dell'alfabeto, nè sapevano di Gramatica, nè di Latino, un libro destinato dal suo autore a contenere i tesori della Filosofia, e dettato con elocuzione modellata sulle regole della Gramatica latina, e

(a) Nov. 114. 115. (b) Vita di Dante.

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