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» vestimenta; edificate li mirabili edifici; e credetevi larghezza » fare: e che è questo altro fare che levare il drappo d'in sul» l'altare coprirne il ladro e la sua mensa! »

Un terzo passo è nel medesimo capitolo allegato dalle Metamorfosi di Ovidio, a cui succedono alcuni motti misteriosi, i quali si adatterebbero si acconciamente alle mene dei Bianchi fuorusciti per ricuperare la perduta podestà in patria, che è prezzo dell'opera di qui arrecare.

È un discorso che Ovidio pose in bocca di Egeo re, diretto a Cefalo d'Atene, che gli era andato a chiedere soccorsi nella guerra fra Atene e Creta: « O Atene (rispose Egeo), non doman>> date a me aiutorio, ma toglietevelo; e non dite a voi dubitose le » forze che ha quest'isola, e tutto questo stato delle cose mie: >> forze non ci menomano, anzi ne sono a noi di soperchio; e lo » avversario è grande, e il tempo da dare è bene avventuroso e » sanza scusa ». Ora allo squarcio tolto dal poeta di Sulmona, Dante fa immediatamente succedere un avvertimento: << Chi »sa quante cose sono da notare in questa risposta! Ma a buon >> intenditore basti, essere posto qui come Ovidio il pone ». Se noi ci collocassimo col pensiero nel 1299, non troveremmo modo d'indovinare, a che l'Alighieri intendesse di alludere.

Non può supporsi che essendo egli della fazione dei Cerchi, s'inducesse a invocare soccorso di estranei contra quella dei Donati, dacchè in allora la discordia non era per anco scoppiata, e sarebbe stato disonesto provocare le altrui intermissioni contro chi non aveva rotto guerra aperta, nè per anco minacciava di volere usurpare il governo. Per lo contrario, se ci trasportiamo fra il 1302 al 1304, oppure tra il 1304 al 1305, parrà verosimile, che l'esule Poeta eccitasse i compagni di sventura a domandare di aiuti gli amici della Parte, tanto da sostenersi contro i Neri e i Guelfi fortificatisi molto in Toscana, e per racquistare la patria perduta; quantunque parli molto velatamente, per non aver fino allora ne' suoi scritti tratto a infamia coloro che l'avevano cacciato.

Nei capitoli che tengono dietro a quello testè citato, seguono immagini ed esempi informati di carità cittadina, di desiderio del riposo, e di fortezza, e di singolare rettitudine nell'adempimento dei doveri civili. I quali meglio rispondono allo stato di un animo stanco dai travagli della vita di fuoruscito, che non si addicano agli ardenti affetti di chi s'involga nei negozi politici, in tempi torbinosi, fra le pratiche di parte e di reggimento, mentre sostenga cariche e commissioni, ed aspiri ad alto salire come fu Dante dal 1298 al 1300. Nel capitolo ventottesimo, parlando della vecchiaia, così si espresse : « La naturale » morte è quasi porto a noi di lunga navigazione e riposo. Ed » è così (l'uomo buono) come il buono marinaro, che come esso >> appropinqua al porto, cala le sue vele, e soavemente con de>> bile conducimento entra in quello... In essa cotale morte non » è dolore, nè alcuna acerbità; ma siccome un pomo maturo leggiermente e sanza violenza si spicca dal suo ramo; così la »> nostra anima sanza doglia si parte dal corpo ov'ella è stata... » E siccome a colui che vien di lungo cammino, anzi che entri » nella porta della sua città gli si fanno incontro i cittadini di » quella; così alla nobile anima si fanno incontro quelli cittadini » della eterna vita... Rendesi dunque a Dio la nobile anima in » questa età... e uscir le pare dell'albergo e ritornare nella propria >> mansione; uscire le pare di cammino e tornare in città; uscire » le pare di mare e tornare a porto... E benedice anche la nobile >> anima in questa età li tempi passati e ben li può benedire... E » fa come il buono mercatante, che, quando viene presso al suo » porto, esamina il suo procaccio e dice: Se io non fossi per co>> tale cammino passato, questo tesoro non avereiio, e non averei >> di ch'io godessi nella città mia, alla quale io m'appresso ».

E chi potrebbe non osservare, come questi sentimenti concordino mirabilmente con quelli del capitolo terzo, nel primo Trattato, appartenenti ad una data posteriore all'esilio, in cui piamente si querelò di Firenze, per averlo gettato fuori del

2 Convito.

suo dolcissimo seno, nel quale, nato e nudrito sino al colmo della vita, desiderava con tutto il cuore di riposare l'animo stanco e terminare il tempo che gli era dato? Chi non riconosce una similitudine perfetta tra l'immagine del marinaio, che dopo le lunghe e travagliose navigazioni sospira il porto di una placida morte, quale si trova nel Trattato quarto, e i detti passionati del Trattato primo, in cui narrò le sue vicissitudini nell'esulare? « Veramente (quivi egli scrisse) io sono >> stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti » e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertà » (I, c. 3) ». È tale concordanza tra quelle e queste idee, tolte dal principio e dall'estremo dell'opera, che, quand'anche resultassero di un tempo diverso, dovrebbe per lo meno condurre a congetturarne, che l'autore, dettandole, si trovasse dalle une alle altre in condizioni conformi dello spirito, in mitezza di affetti ugualmente blandi, caritatevoli, non scevro dagli affanni.

Il lungo intrattenersi che fa di Catone in quel capitolo ventottesimo in cui trattò della vecchiaia, pare che significhi, come, anche dopo le tribolazioni del ramingare, gli mantenesse im mutabile quel culto onde altrove lo aveva esaltato. Nello stesso Trattato, al capitolo quinto, avevane già scritto: «Oh sacratis» simo petto di Catone, chi presumerà di te parlare? Certo, mag» giormente parlare di te non si può che tacere ». Nel capitolo ventottesimo si compiacque di designarlo come esempio luminoso delle morali virtù, e ne disse: « Quale uomo terreno più degno fu di significare Iddio, che Catone? Certo nullo ». E qui non ci abbattiamo già nello stoico rigido, il quale dalla propria inflessibilità dedusse la ragione di suicidersi; sibbene ci troviamo dinnanzi il cittadino virtuoso, a cui Marzia, moglie fedele, domanda gli antichi patti del letto maritale; per farne paragone coll'anima onesta, la quale, dopo aver operato frutti di virtù morale colle sue azioni, chiede da Dio la quiete beata che non

patisce mai turbamento, nè mai perisce. Concludiamone. O troppo male ci venimmo apponendo nei nostri ragionamenti, o il Trattato quarto fu composto in due tempi ben distinti; nel termine del dugento, per i due primi terzi; nel trecento, fuori di patria, in intervallo di animo pacato, per l'ultimo terzo, quando, cioè, inseri nel Trattato primo la preghiera verso Fi

renze.

SEGUE LA CRONOLOGIA DEL CONVITO.

IL 2 ED IL 30 TRATTATO.

III.

Dopo di avere investigato a qual tempo debba riferirsi la composizione del Trattato quarto verremo allo studio cronologico del secondo e del terzo, a cui faremo seguire quello del primo, essendoci parso che, tenendo tal via, si verrà più facilmente a spargere qualche luce sull'argomento oscuro e molto intricato.

Opinasi dai più, che il Trattato secondo abbia da reputarsi contemporaneo al quarto, laonde dettato avanti l'anno 1300; che il terzo venga posteriore di quasi due decennii dopo, e da assegnarsi al 1313 od al 1314. Se ciò veramente sia da tenersi come incontrovertibile; se abbiasi o no da mutare avviso in proposito, in ispecie per quanto riguarda al lungo intervallo tra l'uno e l'altro Trattato, sarà argomento di esame nel capitolo presente.

La Canzone sulla quale si stende il Trattato secondo, parla di un nuovo amore sorto nel Poeta, tanto potente ed efficace da rimuoverne l'antico, che fu pure gagliardo e castissimo per la morta Beatrice. I due amori, essendo personificati, s'incontrano, si contrastano, con dolore dell'anima entro cui si trovano a fronte; ma il nuovo vince, l'altro fugge, e uno spiritello gentile conforta la sbigottita, divisandole le belle qualità della Donna a cui dovrà consacrare gli affetti. La quale svelasi allegoricamente per la Filosofia; ossia per quella pietosa (dic'egli)

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