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La Canzone seconda, cui è commento il Trattato terzo, essendo intuonata da Casella nell'antipurgatorio, deve annoverarsi fra le precedenti alla data da cui ha principio la Visione.

E poichè Casella morì alcuni mesi prima del 1300, e fa d'uopo ammettere che l'avesse accompagnata di musica e cantata più e più volte all'amico, tanto da pigliarla come mezzo di dolce memoria incontrandolo nel luogo degli spiriti purganti; così non sembrerà che male si conchiuda, non potersi collocare tra le ultime scritte in patria, dovendosi supporre trascorso un certo intervallo tra la composizione dei versi e l'intonazione, ed anche una certa consuetudine del Musico che avevala vestita di note armoniche, di replicarla, cantando al Poeta, come quella che di preferenza fosse aggradita, sia per la più piacevole melodia, sia per la natura dell'argomento.

Circa la terza Canzone non possediamo mezzi coi quali stabilirne l'anteriorità al 1300, tranne quello che, avendo a commento il Trattato quarto, scritto senza dubbio (almeno per gran parte) nella fine del secolo decimo terzo, e non dopo, con ciò rimaniamo assicurati che, simile alle sorelle, nacque in patria, durando il fervore degli studi di filosofia morale; poichè filosofico n'è il soggetto, e filosofici tanto i concetti inchiusivi, quanto le sentenze onde è ripiena.

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Per determinare se la Canzone, a cui è commento il Trattato quarto, debba riferirsi o no al tempo precedente all'esilio, adducemmo a documento il Trattato stesso, affermando, che fu dettato, per buona parte almeno, avanti l'anno 1300. Per naturale desiderio di volere provare quello che si asseri senza corredo di argomenti, ci sentiamo indotti ad affrettare la discussione, della quale resulti, che ci apponemmo al giusto, e che i termini da noi usati si debbono tenere esatti. Bene è vero che altri ci prevenne in questo proposito, e da non pochi anni, raccogliendo i dati da che appare, come il Trattato quarto appartenga agli ultimi anni del secolo decimo terzo; ma si credette che fosse composto per intero in quel tempo, e non parzialmente. Laonde ci rimane da provare che non fummo troppo azzardosi nella nostra affermazione, e ci torna necessario di venire perciò all'esame particolareggiato dei vari capitoli donde è formato.

Il Trattato quarto è senza fallo tra i quattro del Convito quello dove l'Alighieri dimostrò maggiore agevolezza di esposizione, ossia più pratica nell'uso dello scrivere la prosa volgare. Forse la materia di cui ivi si discorre, gli tornò più facile all'ingegno, o forse trovò la mano più addestrata dall'abitudine all'eloquio materno conseguita nello estendere i Trattati precedenti. Comunque sia, lo stile non vi è contorto, la dettatura procede uniforme, e male conchiuderebbe chi pretendesse di scoprirvi differenze notevoli dall'uno capo all'altro; l'argomentazione è regolare, nè vi si palesano contraddizioni o pentimenti

da ciò che si ha in sul principio a quello che viene succedendo. Il concetto generale ivi proposto è svolto ai debiti luoghi coll'ampiezza necessaria; insomma nulla n'emerge di poco armonico e di diverso. Non è adunque da meravigliare se sino ad ora non si cadde in dubbio che fosse opera di più tempi, e se non tornò tanto facile ravvisarvi per entro gli indizi dai quali riconoscerne il dicronismo.

Il Fraticelli nella sua dissertazione sul Convito, adunòi varii passi che spargono luce circa alla data nella quale l'autore stava scrivendolo: noi ce ne andremo giovando.

Al Capitolo terzo Dante, avendo avuto a nominare Federico di Casa Sveva, lo chiamò ultimo Imperadore: « ultimo, dico, ri» spetto al tempo presente; non ostante che Ridolfo e Adolfo e » Alberto già eletti siano appresso la sua morte e dei suoi di>scendenti ». Dal modo usato nell' esprimersi, ognuno vede: 1° che apprezzava troppo poco i successori di Federigo per riverire in loro quella dignità imperiale di cui furono insigniti; 2o che Adolfo era già stato sconfitto ed ucciso da Alberto, il quale dopo la vittoria sull'avversario cinse la corona dell'Impero; 3° che probabilmente costui si era guadagnato l'alto ufficio da qualche tempo addietro, dacchè in Italia, chi si fidava in lui, aveva cessato di sperare il suo intrammettersi nelle cose della penisola, e l'Alighieri gli alluse in tali termini, da non volerlo considerare un imperatore daddovero. Considerando, che Alberto non salì al trono del padre Rodolfo se non nella seconda metà del 1298, e che da quell'avvenimento fino al punto in cui si disperò del suo volgersi all'Italia, dovette intercedere un certo spazio, non meno forse di più mesi o d'un anno, non si giudicherà soverchio, se il limite estremo a cui si abbia da rapportare il tempo presente della citazione testè fatta, si ponga in sul mezzo del 1299, o tutto al più nei primi mesi di quell'anno. Nè certamente potremmo far retrocedere la data più davvicino al suo trionfare, dacchè dopo ciò fu pure necessario un lasso sufficiente acciò fossero divulgate le sue intenzioni,

di voler accudire in ispecial maniera alle faccende germaniche, e trasandare le italiche, non essendo allora le trasmissioni delle notizie sì celeri come ora, nè avendo egli dovuto immediatamente abbandonare l'intento verso il giardino dell'Impero, se non quando ebbe sperimentato e visto, essere troppe le difficoltà in casa propria per avventurarsi ad altre difficili nei paesi lontani. Se, per esempio, volessimo supporre, che Dante lo rimproverasse d'incuria in uno coi due predecessori, nell'ottobre e nel novembre del 1298, neppure mezzo anno dopo l'assunzione al trono, mostreremmo d'attenerci ad una buona critica?

Posto adunque che il Trattato quarto fosse cominciato nel 1299, e nella prima metà, o non molto più addietro, è da cercare se per avventura non si trovi altro limite, oltre il quale non sia lecito di portarlo. E dacchè Alberto regnò fino al 1308, parrebbe che quanto più tardi si assegnasse il tempo del rimprovero datogli dall'Alighieri, direbbesi più pensato e giusto.

E quale sarebbe l'altro termine entro cui richiudere la data, non rappresentando il primo che il punto più o meno prossimo d'onde debbasi principiare a contarla? Il nome di Asdente, il famoso calzolaio e indovino di Parma, ricordato come vivente, e che pur doveva essere trapassato nel marzo del 1300, conduce a ristare verso la fine del medesimo 1299 o poc'oltre. E intorno ad Asdente ecco il modo col quale è fatta memoria nel Trattato quarto, acciò si vegga che allora viveva, o per lo meno Dante ignoravane la morte. « Ben sono alquanti folli >> che credono che per questo vocabolo nobile s'intenda essere da » molti nominato o conosciuto; e questo è falsissimo: chè se ciò >> fosse, quelle cose che più fossero nominate e conosciute in loro » genere, più sarebbono in loro genere nobili: e così la guglia di » S. Pietro sarebbe la più nobile pietra del mondo, e Asdente il » calzolaio di Parma sarebbe più nobile che alcuno suo cittadino » (10 e 16) ». Qui è manifestissimo che parla di persona non per anco da ascrivere nei defunti.

Fra i casi probabili, non è da dimenticare quello della possibilità, che la fama della morte di colui non giungesse agli orecchi di Dante tanto rapida da saperla non molto dopo avvenuta; laonde poteva stare componendo il Convito, anche nell'anno susseguente all'ultimo del secolo, senz'averne cognizione. Comunque sia, noi riputiamo di contenerci tra i confini i più ragionevoli, fermandoci a quelli che determinammo di sopra. Non vogliamo protrarli a molto entro il 1300, poichè fu in quel giugno che il Poeta entrò nel Priorato, ufficio massimo nella repubblica Fiorentina; e può argomentarsi, che in quell'intervallo, fra le agitazioni politiche, nulla o quasi nulla potendo vacare ai prediletti studi, non avesse agio di occuparsi del Convito. Nè meno per ragione di soverchie distrazioni dovette farlo nel soggiorno di Roma. Il Fraticelli assegna al Trattato una data un tantino più addietro, cioè la respinge al 1298, e la prova addotta consisterebbe in ciò, che nel capitolo ventottesimo, in sulla fine, è citato il conte Guido Montefeltro in modo onorevolissimo, e come non per anco mancato dai vivi. Il Montefeltrano venne meno il 28 ottobre del 1298. Essendo famoso per le gesta del passato, la nobiltà della famiglia, la vita penitente degli anni estremi, il divulgato consiglio (vero o no che fosse) dato a papa Bonifacio, non potè il suo morire rimanere celato sì a lungo, che non si propagasse in breve per la Toscana ed in Firenze. Ma per quanto si presuma che la novella percorresse celere, non può immaginarsi che fosse più presto del mezzo novembre ed anche più. Ciò importerebbe che il Trattato fosse giunto al capitolo mentovato, vale a dire verso il suo termine, restandone solo due capitoli a compimento. Dunque tra Alberto che si conquistò la corona nel giugno del 1298 ed è rammemorato nel capitolo terzo, e Guido che cessò di vivere il 28 ottobre dell'anno stesso, si avrebbe compreso lo spazio entro il quale furono dettati venticinque capitoli. Il quale spazio sarebbe da restringere anche di più, dacchè tornando pure indispensabile, come notammo,

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