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E non per altra ragione trasse Catone dal Limbo dove avrebbe dovuto confinarlo cogli altri saggi. Trasformatolo in creatura intermedia tra l'angelo e l'uomo, lo pose alle porte del Purgatorio, perchè, a proprio giudizio, rilusse al mondo di quella nobiltà che è seme delle virtù morali, e fu tale cittadino, amatore di giustizia e libertà, da doversi reputare fra i terreni il più degno a significare Iddio (IV, c. 28). Nè scelse a intessere grandissimi elogi a Francesco d'Assisi, ed a Domenico di Guzman nel Paradiso, a preferenza di altri santi illustri, se non per averli riscontrati campioni zelanti della religione, infaticabili a raddrizzare il torto andamento dei costumi sociali e delle discipline ecclesiastiche.

Che il sentimento pratico predomini, come dicemmo, nell'intero Convito, apparisce in più modi. Fino dal principio vi si appalesa con tale disposizione, che la segue immutata nei quattro Trattati, senza che mai vi sia contraddetto. Conosciuto, che ognuno desidera la propria perfezione siccome mezzo di felicità; che la scienza può soddisfare al comune desiderio di accontentare l'animo; che la parte più numerosa degli uomini non può apprendere, e perchè distratta da altre cure o per cagioni di luogo, si apprestò loro a fornire tanta imbandigione di sapere, commentando la sentenza morale nascosta nelle sue canzoni, acciò ne traessero utile a diventare migliori, e ad amare ed esercitare le virtù, e con questo condursi a ben vivere su questa terra, nella civiltà mondana, e poscia alla somma beatitudine nel Cielo.

Non tralasciò argomento e dimostrazioni che gli paressero opportuni a commuovere i suoi lettori della verità e giustizia di quanto loro andò esponendo; accumulò autorità di scrittori famosi ed approvatissimi, e ragioni dedotte o dal senso comune o dalla forza del proprio ingegno, e s'industriò, per quanto potè, di allettarli a tenergli dietro per la dolcezza del diletto che deriva dalla coltura dello intelletto, e dal magistero delle virtù.

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11 Convito è opera manifestamente civile: chi potrebbe dubitarne dopo di averlo percorso da capo a fondo? È eziandio opera filosofica; ma più per occasione che per la vanagloria (come taluno sospettò) natagli in animo di far pompa delle sue profonde e varie cognizioni, in quel campo delle discipline in cui si riconoscono eccellenti Aristotile e Platone.

A CHI INDIRIZZATO IL CONVITO.

IX.

A chi fece lunghe discussioni sulla questione se Dante fosse guelfo di cuore mentre visse in patria e poi divenisse ghibellino arrabbiato allorquando fu cacciato in esilio, e così palesasse mutabilità di animo e di sentimenti per ira e vendetta di essere respinto dal luogo nativo, potrebbesi rispondere: prendete il Convito, meditatelo attentamente, e vedrete se ivi si propugnino opinioni guelfe, se ivi si svelino affetti ghibellini.

II Convito è la più luminosa giustificazione autentica ed incontrastabile, che ci sia stata tramandata, dei puri intendimenti e delle vere opinioni politiche del sommo Poeta: e il Trattato quarto, entro i confini di quei capitoli che furono dettati senza fallo avanti l'anno 1300, rende manifesto, qual cosa egli pensasse, mentre cominciava a partecipare della vita pubblica, e quale concetto nelle sue meditazioni filosofiche si fosse composto, circa ad un assetto regolare del governo civile.

Posto, che la felicità dell'uomo consista nelle operazioni virtuose, morali e speculative, e che al pieno e libero uso delle medesime non si possa pervenire senza togliere le cause delle discordie e delle contenzioni sorte dal predominio dei vizii nemici delle virtù; e che nello spegnimento delle cupidigie e nell'acquisto della pace, si stabilisca l'autorità della giustizia e l'esercizio continuo delle nobili azioni; succede che debbasi investigare, in qual modo conseguire un ordinamento socievole d'onde si vada a quello. Dante, secondo l'abito di sua natura,

amava di cercare nelle disposizioni delle cose celesti un tipo a cui paragonare e accomodare le mondane; e parendogli, che le relazioni scambievoli dei corpi luminosi, e il loro circolare, e il loro influire, e il governo che credeva n'avessero certe Intelligenze superiori, si corrispondesse con si bella e giusta armonia da resultarne quasi una civiltà; n'aveva conchiuso in sua mente, che, studiandole, e considerando come. fossero costituite nel modo di essere tra il Moderatore dell'Universo e gli Angeli e gli altri Beati, si dovesse stabilire la repubblica umana in tale conformità, da rappresentarle quaggiù a seconda del Divino Esemplare. Laonde, ad imitazione di Dio, eterna Provvidenza, tutto dirigente ed imperante, immaginò il Monarca sommo; a comparazione delle Intelligenze celesti, messe per volontà di Dio a regolare si le creature animate che le inanimate, volle che i re, i principi e i magistrati tenessero i reggimenti parziali a norma delle leggi generali di giustizia e di ordine sociale promulgate dall'Imperadore; finalmente intese che, a somiglianza delle cose naturali acconsenzienti con prontezza all'impressione degli influssi superiori, i sudditi ubbidissero docili e mansueti a coloro i quali fossero preposti a governarli.

E tale e tanta appare che fosse in lui la preoccupazione di convincere i re e principi diversi, ad una sottomissione verso il Monarca da lui ideato, e i popoli liberi a riconoscerne l'autorità, che adunò quante ragioni gli fu possibile a conforto della sua difficilissima tesi. E poichè tornava maggiore l'ostacolo da parte dei potenti per adattarsi a ricevere l'autorità di uno il quale soprastasse a tutti, mentre fino a quel punto n'erano più o meno svincolati, perciò diresse la forza del suo discorso particolarmente alla loro persuasione. Che questo fosse l'intento suo resulta, non solo dal complesso del Convito, ma pur anco da certi tratti speciali in cui il pensiero fu significato più esplicitamente. A cagione di esempio, tra i motivi addotti per aver preferito il volgare al latino, mise innanzi la scusa' seguente:

<< Lo latino avrebbe a pochi dato lo suo beneficio, ma il volgare » servirà veramente a molti. Che la bontà dell'animo, la quale » questo servizio attende, e in coloro che per malvagia disu» sanza del mondo hanno lasciato la letteratura (il latino)....; » e questi nobili sono principi, baroni e cavalieri, e molta » altra nobile gente, non solo maschi, ma femmine (I, c. 9) ». Industriandosi di lusingare benevolmente i Grandi a prestargli attenzione, con dire loro come avesse prescelto l'idioma parlato acciò lo comprendessero più facilmente, ed aggiungendo a cortesia che la vera bontà di animo fosse in loro, cercava di propiziarli al suo volume, acciò lo leggessero e n'apprendessero gl'insegnamenti, e ne udissero le ammonizioni sparsevi per entro. Ma con ciò non si propose di adularli, nè di loro dissimulare i rimproveri meritati; e fecelo quando gli si offeri il destro; sperando che, addolcito l'orlo del vaso contenente l'amara medicina, fossero indotti dal primo allettamento a tranguggiarla, e perciò a ricevere il salutevole liquore contenuto nel fondo. Imperciò, nel processo del Convito, lasciati a parte i riguardi, non fece loro risparmio di rimbrotti acri e sgradevoli.

Nel Trattato secondo, al capitolo 3o, dice chiaramente, che se cortesia significò una volta uso di Corte, perchè ivi fiorirono i bei costumi; a' tempi suoi verrebbe a dire turpezza, qualora si derivasse dal nome delle Corti di allora, ed in ispecie da quelle d'Italia.

Considerando poi, come la grandezza temporale non acquisti valore se non quando si accompagni di saviezza e di onestà, redargui ricchi e potenti che se ne dimostravano privi: « meglio >> sarebbe alli miseri Grandi, matti, stolti e viziosi, essere in » basso, che nè in questo mondo, nè dopo la vita sarebbero tanto >> infamati ».

Nè dimenticò i principi ed i re, allorquando gli capitò luogo opportuno; e gridò contro coloro tra di essi, che governavano i sudditi senza lume di sapienza; e li avvisò dei pessimi

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