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» stiano male (IV, c. 25) ». Questa sentenza, pronunciata di Dante in sulla fine del quarto Trattato, starebbe a giudicio contro di lui medesimo per quello che fece nella Commedia, se non si potesse rammemorare a sua discolpa, che il cangiato intento gli concesse ciò che altrove egli stesso aveva condannato con giusta severità.

Concordanze di pensieri e di fantasie s'incontrano tra il Convito e la Commedia. Se in uno assunse la Filosofia a sua guida nell'opera, e la personificò, come altrove notammo, in una donna simbolica di maravigliosa bellezza; nell'altra, in ricambio, prese a patrona Beatrice, raffigurandola in un essere tra l'umano e il divino, che ha somiglianza dei Genii benefici degli antichi, in ispecie di quelli che furono speciali alla mitologia etrusca; così componendo di essa la più alta idealità femminile che uscisse da mente d'uomo, toltane MARIA. Come nel Convito si dilettò delle speculazioni metafisiche sulle creature celesti che supponeva presiedere all'andamento delle cose mondiali; così nella Commedia suppose e le tre donne divine del primo canto, e parlò della Fortuna, quale Iddea deputata a tramutare le cose da persona a persona, e collocò demoni, angeli, uomini illustri, santi, nei vari gradi del triplice mondo, adattandoli al luogo, fosse di pena o di premio.

Nel Convito si piacque delle dottrine astronomiche, determinando a minuto gli ordini dei cieli conforme alla scienza di allora, e s'intrattenne volentieri sopra argomenti e fatti naturali; ad esempio, esplicando le sue opinioni sulla generazione; per simile nella Commedia sparse cognizioni e notizie di fisica e dell'ordinamento delle sfere, introducendovi talora, in contrario della natura poetica, dispute e disertazioni minute circa a tali materie.

Nel Convito amò talvolta d'intrecciare fra le aridezze filosofiche ed i precetti di prudenza civile fiori maravigliosi di descrittiva, quando per esempio dipinse in modo impareggiabile il sorriso che illumina e illeggiadrisce il volto di vaga donna,

o quando pennelleggiò da valente maestro una pianura sulla quale ha nevicato, e vi cammini qualche passeggiero. Nella Commedia non è a dire come, avendovi campo adatto, vi spargesse a piene mani le più gentili, le più stupende bellezze che ingegno umano seppe creare imitando ed esaltando la natura, ritraendovi, in mille variatissimi modi, i gesti, gli atteggiamenti, i lampeggi dell'anima quando traspare e brilla dagli occhi, dalle labbra, dalla voce, dall'aspetto, allorchè vi si manifesta nella forza della gioia, o nella terribile virtù dell'ira. E se finalmente, per non troppo prolungare, nel Convito distribui lodi splendide ai virtuosi, e ad un tempo gittò vituperi contro i viziati, senza riguardo a gradi e dignità; così nella Commedia, come ognuno sa, fu abbondante e di lodi e di biasimi e di vilipendii, nulla salvando, nulla tacendo che gli paresse, nè da salvare, nè da tacere. Nella qual Commedia, se attentamente si consideri, non si può non riconoscere adunque come si abbia in vigorosa e lussureggiante verzura, ciò che nel Convito spuntava in germoglio; onde se volessimo far paragone, diremmo che in questo è il primo svegliarsi della terra a primavera, in quella è il magnifico fiorire del maggio. Ma non è da maravigliare; di altra potenza erasi oramai fatto l'ingegno suo quando ebbe a dettare il Poema, di ciò che fosse più addietro; laonde l'immaginazione operò in lui più gagliarda e copiosa, l'espressione gli divenne più efficace e perspicua, la mente più sagace e comprensiva.

Insomma tutto riassumendo, diremo che il Convito fu come il primo bozzo della Commedia, fallitogli in parte, e non perfettamente organato, perchè ivi principalmente si appoggiò alle lucubrazioni di Filosofia, alle quali natura non lo aveva creato; mentre nell'altra trasse sostanza vitale da quella scaturigine poetica, di cui Iddio avevagli largita si pura, sì ricca, si prodigiosa vena, talchè dopo lui rarissimi altri, forse nessuno, ricevettero dono maggiore.

Il Convito, opera degli anni ancora giovanili, lirico e pro

sastico ad una volta, ebbe il difetto di resultare soverchiamente dottrinale, e riflette i sentimenti di un animo preoccupato di una missione civile, da tentarsi colla via dei ragionamenti gravi e solenni; la Commedia, frutto di età più matura, poema epico e satirico e visionale per eccellenza, rifulge della luce celeste onde lo spirito di lui sfavillò acceso ed infiammato, quando le passioni eccitate gli fornirono esca vivissima al fuoco immortale di cui ardeva, e quando il ritorno compiuto al sacro culto delle Muse lo ricondusse nel cammino, per cui eragli fatale di salire alla somma vetta del Parnaso.

Ma se il trapasso dalla prima opera alla seconda svela le ragioni di abbandonare il sentiero penoso e malagevole e di poca alzatura in cui erasi involuto, per indirizzare il piede alla strada reale, facile e ascendente al sublime; la persistenza nel concetto fondamentale da svolgere e la tenacità con che vi si attenne, rende manifesto di quali propositi virili e stabili egli fosse, e come fermato in animo un intento da conseguire, non se ne rimovesse punto, per mutare che facesse del mezzo.

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III. Segue la Cronologia del Convito. Il 20 ed il 30

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VIII. Quanto fosse l'amore di Dante per la Filosofia,

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