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auni, quando Dante passò da questa vita, esule già dalla patria per più di venti anni: ed in ordine all' altro, l'opere del medesimo Dante testificano piuttosto il contrario come di sotto vedremo.

Ma per venire al proposito nostro, io non dubito punto di pronunziare: la Beatrice di Dante non essere stata donna vera, e perciò nou essere quella de' Portinari : e la Vita Nuova essere un trattato d'amore meramente intellettuale, senza alcuna mescolanza di profano.

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E per venire senz'altro indugio alle prove; primieramente, per quello appartiene alla prima proposizione, bisogno è che io confessi, essermi questa caduta nel peusiero molto tempo fa, ed avanti ch'io vedessi averla altri parimente pensata. Questi fu Gio. Mario Filelfo, il quale verso l'anno 1468 scrisse latinamente la vita di Dante, forse a petizione di Piero Alighieri, pronipote di esso Dante; perciocchè questo Piero la dedicò egli stesso a Piero de' Medici e a Tommaso Soderini, siccome si vede nel MS. che nella Laurenziana si conserva. Il Filelfo dunque afferma, che Beatrice non fu donna vera, ma finta : di che fu tassato dal Vellutello, forse perchè egli non produsse altre prove che quelle, che aveva tratte dall'arte oratoria, nella quale era eccellentissimo. Le parole del Filelfo son queste: « Ego aeque Beatricem, quam amasse fingitur Dantes, mulierem unquam << fuisse opinor, ac fuit Pandora, quam omnium Deorum munus consequutam esse fabulan<< tur poetae ». E venendo alle prove così segue: « Scripsit, dicit ille (intende del Boc« caccio), ad amicam cantiones. Scripserunt et navalia bella, et castra in hostes firmarunt, « et machinas erexerunt poetarum carmina; quibus nunquam adfuerunt. Multa solent exer«< cendi ingenii gratiâ fieri, quae nullam admisêre libidinem. Hoc verius argumentum « quòd, cùm uno Dante nemo fuerit incorruptior et innocentior, nemo moderatior, possi<«<<mus manifesto conjectari, solius hunc virtutis et honestatis amicum extitisse; non enim « qui sibi summum bonum in gloriâ constituunt immortali, voluptates praeficiunt dominas, « quas sequantur, quae ad interitum nos deducunt ». Queste parole non mi turbarono punto, nè mi diedero alcun motivo di ritirarmi dəl mio proponimento: anzi maggiormente mi confermarono in quello; perciocchè a me parve, che le mie ragioni fossero più salde ed efficaci. Conciossiacosachè egli non è necessario, che i poeti nell' opere loro si servano di nomi proprii; ma possono tanto questi, che gl'inventati da loro adoperare; nou v'essendo regola, che prescriva loro questa legge; ed essendovi moltissimi esempli di poeti non tanto moderni, che antichi, i quali ànno creati da per sè quei nomi, ch'essi volevano usare ne' loro componimenti. E per non discostarsi dagli autori, che circa a'tempi di Dante vivevano, se si vorrà riflettere all' opere del Boccaccio, si ritroveranno piene di nomi inventati da lui, siccome principalmente si vede nel Decamerone, e nell'Ameto, nel quale introduce sotto sembiante di sette bellissime Ninfe le tre Virtù Teologali, e le quattro Cardinali, e adatta a ciascheduna nomi sustanzievoli, come io ho in parte osservato ; ma ad altro tempo mi riserbo di favellarne: quantunque vi abbia un gran letterato, che da' colori delle vestimenta di queste Ninfe ne ha tratta la significazione. Ecco qual è il costume dei poeti nell'elezione de' nomi: O eglino li fabbricano di pianta per accomodargli facilmente alla loro idea: O gli prendono proprj, ma però tali, che ad essi la loro idea adeguatamente si accomodi. Questo si dice, quando il poeta pensa prima alla sustanza dell'opera, che al nome dell'oggetto primario della medesima; perciocche accade alle volte, che l'oggetto risveglia la mente, ed a comporre la sprona; ed altre, che la mente infiammata e gravida di concetti si debba procacciare l'oggetto. Tanto per appunto accadde a' due nostri ingegni, a Dante cioè, e al Petrarca; perocchè a questo l'oggetto diede motivo d'esercitare lo 'ngegno; ed a quello, lo 'ngegno di fabbricarsi l'oggetto.

Ma, per venire a' particolari, dico, che è inverisimile, che Beatrice fosse donna vera. E primieramente, perchè è fuori d'ogni probabilità, che Dante s'innamorasse così fortemente in età di nove anni d'una fanciulletta, che ne aveva soli otto; e che questo amore

tenacemente durasse in lui per tutto lo spazio della sua vita. Non è capace un' età così tenera di sostenere lungo tempo quelle impressioni, che a caso improntate ne vengono, al primo aprirsi degli occhi di nostra mente; mentrechè per l'imperfezione degli organi siamo in quel tempo troppo soggetti alle mutazioni. E se Dante confessa egli stesso lo 'nnamoramento suo in questo anno nono; tralascia poi ogni altra particolarità, e spezialmente la festa, fatta da Folco Portinari a' suoi parenti ed amici, il dì primo di Maggio la quale, siccome principio di un così celebre amore, essendo stata dal Boccaccio e dall' Imolese sno seguace narrata solennemente, pare che non si dovesse da lui a verun conto tralasciare. Dalle parole dell' Autore medesimo altro non se ne ricava, dirò così, di materiale, e che abbia di verisimiglianza di storia, che il nome di Beatrice, l'età sua, la morte del padre di lei, e quella ancora di lei stessa : le quali cose insieme coll' altre, siccome sono peregrinazioni, infermità, fatti e detti d'altre donne, e simili, piuttosto sono ideali, ed a figura ridurre si debbono, come di sotto vedremo; perocchè elle non furono con più particolari distintivi specificate dal Poeta, e d'altronde non ne abbiamo ragionevoli e sicuri riscontri. Inoltre, chi non vede, che tutta quanta la Vita Nuova è una struttura di poetico ingegno, idealmente condotta, senza mai traviare dalla sublimità de' pensieri? Non così accade nella Laura del Petrarca; poichè di lei abbiamo più veritieri attestati per bocca del Petrarca medesimo, e per altri legittimi documenti, siccome dottamente osservò Jacopo Filippo Tommasini, al Capitolo quindicesimo e sedicesimo del suo Petrarca Redivivo; ed anche monsignore Lodovico Beccatelli, Arcivescovo di Ranella Vita di questo stesso Poeta, compilata da lui, ce ne partecipò altre sincere e peregrine notizie, per le quali si rende quasi indubitata fede, ch'ella non solamente fu donna vera, ma che fu ancora quella, per cui il Petrarca tante belle rime compose. E questo in parte può servire di risposta al Vellutello, che tassando, come ho detto, il Fi lelfo, d'avere assunto, che Beatrice non era donna vera, soggiunge: «< Come ancora << molti sciocchi anno detto in Laura, celebrata dal Petrarca »; poichè grandissima differenza io ritrovo tra Beatrice e Laura; ma altro tempo si richiederebbe per farne il paragone.

gusi,

Secondariamente è inverisimile, che Beatrice fosse donna vera ; perchè la prima volta, che Dante la vide, usò per dimostrarla altrui, questa frase: «A' miei occhi apparve << prima la gloriosa donna della mia mente ». Dunque se costei fu donna della sua mente, ella fu dell' animo, e non del corpo e per tanto ideale, e non vera: e gli occhi, che la rimirarono, saranno stati quelli dell' intelletto. S'arroge a questo, che molte cose, le quali si dicono di lei nell'opere di Dante, e qui spezialmente nella Vita Nuova, della quale di proposito trattiamo, non si possono verificare di corporea sustanza. Io voglio, che l'averla il Poeta detta più volte sua salute, e sua beatitudine, si possa giudicare uno sfogo d'appassionato amante ma il dire, che ell' era desiderata in Cielo dagli Angeli e da' Santi; e che quivi non era altro difetto, che la sua mancanza; e che non poteva malamente finire chi le aveva parlato, e simili eccellentissime prerogative, a più che umana creatura confacevoli; le quali tutte si leggono nella Canzone che comincia:

Donne, che avete intelletto d'amore;

non mostra evidentemente, che la mira di questo Autore era rivolta ad oggetto più sovrumano e sublime? Oltre a ciò, quando dice, questa donna essere il numero nove; e dopo avere dimostrata la perfezione di cotal numero, mentre conchiude, ella essere un miracolo della Santissima Trinità; non dà chiaramente a vedere, esser ella una semplicissima cosa e perfetissima? Alcuni passi poi della Divina Scrittura, per entro a quest'opera sparsi, sono indizio evidente dell' altezza della materia, che quivi si tratta. E quando nella conclusione dell'opera medesima propone di sperare d'avere a dire di lei quello che mai non fu detto d' alcuna ; quindi pregando Iddio, che l'anima sua vada a vedere la gloria di questa donna, cioè (sono sue parole) di quella benedetta Beatrice, manifesto contrassegno ne porge, che questa Beatrice era altro che donna d'umana specie.

Inoltre, egli è così incerto, che la donna di Dante fosse la figliuola di Folco Portinari, che, quand' anche necessario fosse in tutti i componimenti poetici, sotto il senso letterale lo storico ancora dover sempre essere incluso (il che non è vero); pur ciò non ostante a me pare più probabile, questa donna, invece della sopraddetta, poler essere stata piuttosto quella, che vuol che sia Francesco da Buti, antichissimo commentatore dell'istesso nostro Poeta. Commentando questo valentuomo quel passo del ventisettesimo Canto del Purgatorio :

Quando mi vide star pur fermo e duro,
Turbato un poco, disse: or vedi, figlio,
Tra Beatrice e le è questo muro;

dopo d'aver egli spiegato il senso allegorico, al letterale venendo, soggiunge: a Questa fu « Madonna Beatrice, figliuola dell'Imperatore di Costantinopoli, la quale » ecc. E quindi avendo contato i fatti di lei, e com'ella fu moglie del Conte Bonifazio, de'quali poi la celebre Contessa Matilde ne nacque; per dimostrare l'incertezza di tale interpetrazione, così va replicando: « E questo pensieri m'abbo fatto io Francesco, per la cagione e convenienza << de'nomi. Che questa fusse la 'ntenzione dell'Autore, non lo approvo; perchè nel testo non « è parola che il provi, se non nella terza Cantica, nel Canto trentaduesimo, nel qual finge, <<< che vedesse Beatrice sedere nel terzo grado de' Beati con Rachel; secondochè anco dice <<< nel secondo Canto della prima Cantica, ove dice:

Che mi sedea coll'antica Rachele »;

il qual passo pure non mostra niente di questo particolare. Ho detto, che a me pare più probabile questa opinione, perciocchè questa Beatrice essendo stata famosa matrona, e pel maritaggio e per la figliuolanza assai più rinomata, che l'altra non fu, la quale giovinetta di ventiquattro anni passò di questa vita, senza sapersi che di lei ne restasse alcuna prole; meglio in vero si conveniva alla prima, che alla seconda, lo stato in compagnia di Rachelle, del patriarca Giacobbe consorte, e di numerosa figliuolauza genitrice. Di più, Dante introducendo Matilde nel ventottesimo Canto del Purgatorio, e poscia nel trentesimo Beatrice, non esclusa ancora la prima, mostra che fra l'una l'altra vi fosse qualche notabile corrispondenza, o vogliamo dire relazione, siccome suole essere quella, che passa tra la figliuola e la madre. Ma io nè l'una nè l'altra opinione approvando, nel mio sentimento maggiormente mi confermo. E tanto più con ragione; perciocchè ancora quella Lucía, la quale si vide introdotta nel secondo Canto dell' Inferno, sotto quelle parole:

Questa chiese Lucía in suo domando;

avrebbe dovuto essere per questo motivo vera donna: e pure di costei, siccome tale, niente affatto non ne parlano gli espositori; ma la prendono assolutamente per la Grazia illuminante. Per la qual cosa io credo, che cosí si possa discorrere nel fatto di Beatrice, non vi essendo più forte argomento in favore di questa, che di quella.

A tutto ciò voglio aggiungere, che la Vita Nuova si raggira tutta quanta sopra l'allegoría ; restando affatto esclusa da quella ogni specie di vera storia. E questo si prova facilissimamente; perciocchè Dante in così piccola operetta non fece altra digressione, che su questo particolare; cioè, fece un Capitolo a bella posta; ed è quello, che comincia: Potrebbe qui dubitar persona ecc. (§. XXV), dove espressamente parla del modo usato da'poeti nel comporre. Quivi, dopo aver egli dimostrata la maniera del parlar figurato, e le sue diverse spezie, conchiude a suo proposito in questa guisa: « E per questo puote essere manifesto a chi dubita « in alcuna parte di questo mio, libello. Ed acciocchè non ne pigli alcuna baldanza persona « grossa, dico, che nè i poeti parlano così senza ragione; nè quelli che rimano, deono <<< parlare così, non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono; perocchè << gran vergogna sarebbe a colui, che rimasse cosa sotto vesta di figura o di colore retto<< rico, e domandato non sapesse denudare le sue parole da cotal vesta, in guisa che aves<< sero verace intendimento ». Dunque Dante in quest'opera attese solamente alla figura, Dante, Vita Nuova.

E

cioè all'allegoría, non facendo alcuna menzione del senso istorico, ma dimostrando bensì premura grande ch'ella per allegorico senso interpetrata ne fosse, siccome era di ragione. Di più, prevedendo egli di dover essere attaccato, dove appunto attaccato fu dal Boccaccio e da' seguaci suoi, come veduto aviamo, in ordine cioè al suo innamoramento, si premunisce, contra chi poco modestamente avrebbe parlato di lui, con tali parole nel capitolo, che comincia: Appresso la mia ritornata ecc. (§. X), dimostrando il suo dispiacimento: «Troppa gente ne ragionava oltre a'termini della cortesia; onde molte fiate mi « pesava duramente. E per questa cagione, cioè di questa superchievole voce, che pareva che « m'infamasse viziosamente » ecc. E questa precauzione del Poeta fu fatta da lui ancora nel terzo Capitolo del Trattato terzo del Convito, per quella stretta corrispondenza che queste due opere anno insieme tra di loro, come io son per mostrare; così quivi dicendo: « Per «ischiudere ogni falsa opinione da me, per la quale fosse sospicato, lo mio amore essere « per sensibile dilettazione » ecc. Chi dunque non vede, che Dante vuole, che Beatrice non fosse creduta donna vera, com'egli prevedeva, che doveva succedere?

Ma venendo di presente a vedere, donde abbia avuto origine questo nome Beatrice, esamineremo con brevità le parole del nostro Autore, dette da lui su questo particolare. Nel principio appunto della Vita Nuova, venendo alla narrazione del suo innamoramento con lei, così apertamente ragiona: « Nove fiate già appresso al mio nascimento era tor« nato il Cielo della luce, quasi ad un medesimo punto, quanto alla sua prima girazione, « quando a' miei occhi apparve la gloriosa donna della mia mente, la qual fu chiamata da << molti Beatrice, li quali non sapevano che si chiamare. Ell' era in questa vita già stata « tanto, che nel suo tempo il cielo stellato era mosso verso la parte d'oriente delle dodici « parte l'una del grado; sicchè quasi dal principio del suo anuo nono apparve a me ed «io la vidi quasi al fine del mio ». Da tutto ciò si deduce, che Dante in età d'anni nove s'innamorò di Beatrice, la quale aveva otto anni, siccome altrove abbiam detto; e che le fu posto allor quel nome, da chi non sapeva come chiamarla. Sicchè si può conchiudere, che questo nome non era suo proprio, ma che in quella età così fu colei denomiuata da molti, i quali non sapevano come altrimenti nominarla; vedendosi quivi chiaro, che tal nome ebbe origine dall'intrinseco natura del soggetto, e non dal beneplacito delle genti. Dunque si fa sempre più manifesto, non solo che questa Beatrice non fu giammai donna vera; ma anche che Dante istesso non ebbe mai intenzione, che sotto questo nome si dovesse intendere altra donna, che quella della sua mente. Altre ragioni ancora si potrebbero addurre in questo luogo: ma perciocchè le addotte possono essere sufficienti, ed in quello, che si dirà appresso, altre parimente ve ne saranno inserite; stimo perciò essere omai tempo di palesare, chi sia questa sovrana donna.

Due doune sono state l'oggetto di Dante ne'suoi componimenti poetici, le quali in sostanza, siccome io spero di dimostrare, sono una stessa cosa fra di loro, e, come sarebbe a dire, una sola donna. Una di costoro è la tanto decantata Beatrice; l'altra è una donna senza nome. I componimenti poi, dove queste donne ànno luogo, sono la Vita Nuova, il Convito, e la Commedia : opere veramente eccellenti, e parti degnissimi d'elevatissimo ingegno. Io dirò prima della seconda donna; e dipoi farò passaggio a'discorrere della prima. Egli è però necessario primieramente sapere, che le dette tre opere anno fra di loro una tale non so qual connessione; di modo che pare, la prima opera aver generato la seconda, e da ambe la terza averne tratta l'origine; a quella guisa però, che

Poca favilla gran fiamma seconda.

La Vita Nuova e il Convito ànno fra di loro strettissima corrispondenza, e sono dependenti l'una dall'altra, per quello ne testifica l'Autore medesimo nel Capitolo primo del primo Trattato d'esso Convito, con queste formali parole: « Se nella presente opera, « la quale è Convito nominata, e vo' che sia, pià virilmente si trattasse, che nella Vita « Nuova ; non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare « per questa quella ». La Commedia ancora è coerente a queste due; si perchè in essa è

principalmente introdotta una delle suddette due donne, tra sè stesse uniformi; sì perchè si vede nella fine della Vita Nuova, che il Poeta, a intuito di Beatrice, propose di fare questa grand' opera, così quivi dicendo: « Se piacere sarà di Colui, a cui tutte le cose <<< vivono, che la mia vita per alquanti anni perseveri, spero di dire di lei quello, che mai <<< non fu detto d'alcuna ». Il che pure fu notato dal Boccaccio, nel luogo da me riferito a principio, nelle parole del suo Comento verso il fine, siccome quivi si può agevolmente vedere.

Veduto questo, conviene adesso vedere d' onde si tragga, che due siano state le donne, che anno servito d'oggetto alle tre predette opere di Dante. Che una di queste sia Beatrice, egli è troppo manifesto; poichè per tutti si confessa, che costei sia stata la principal persona della Vita Nuova e della Commedia. L'altra donna, la quale non ha nome, ed è quella, che è l'oggetto del Convito, in questa guisa si va rintracciando. Il nostro Autore nel principio del secondo Capitolo del Trattato secondo di detto Convito (laddove in fatti comincia quell' opera, cioè il Comento sopra le sue Canzoni), usando appunto la medesima maniera, ch' egli aveva usata nel principio della Vita Nuova, col dare cominciamento a questo libro dalla narrazione del suo secondo innamoramento, cosi lo va descrivendo : « Cominciando adunque, dico, che la stella di Venere due fiate era « rivolta in quello suo cerchio, che la fa parere serotina e mattutina, secondo due diversi << tempi, appresso lo trapassamento di questa Beatrice beata, che vive in Cielo con gli << Angioli, e in terra coll'anima mia; quando quella gentil donna, di cui feci menzione nella « fine della Vita Nuova, parve (cioè apparve) principalmente accompagnata d' Amore « agli occhi miei, e prese luogo alcuno della mia mente». Chi non vede, che questo principio è uniforme in tutte le parti a quello della Vita Nuova? e che questa donna, che prese luogo nella mente di Dante, sarà ancor ella una donna ideale, e similissima a Beatrice? e che insomma in tutto e per tutto elle sono due donne solamente in apparenza ?

Questa donna poi del Convito, quale ella si fosse, non è punto difficile ad investigare; poichè l'istesso Poeta in più luoghi del prenominato libro troppo evidentemente la manifesta. E primieramente nel tredicesimo Capitolo del secondo Trattato, ove mostra, che i suoi primi studii furono i libri di Tullio dell'Amicizia, e di Boezio della Consolazione, così dice: « Giudicava bene, che la Filosofia, che era donna di questi autori, di <<< queste scienze, di questi libri, fosse somma cosa, ed immaginava lei fatta come una donna << gentile ». E dipoi: « Questa donna fu figlia di Dio, regina di tutto, nobilissima e « felicissima Filosofia ». E nel Capitolo sedicesimo dell'istesso Trattato : « Boezio, e Tullio « inviarono me nell'amore,cioè nello studio di questa donna gentilissima Filosofia ». E quindi poco appresso: «Si vuole sapere, che questa donna è Filosofia, la quale veramente è « donna, piena di dolcezza, ornata d'onestate, mirabile di savere, gloriosa di libertade ». E nel fine di detto Capitolo più apertamente parlando : « Dico e affermo, che la donna, « di cui io m'innamorai, appresso lo primo amore (cioè dopo Beatrice), fu la bellíssima e « onestissima figlia dello 'mperadore dell' Universo, alla quale Pitagora pose il nome Filo« sofia ». E nel Trattato terzo, al Capitolo undecimo : « Questa donna è quella donna dello << 'ntelletto, che Filosofia si chiama». Ed insomma nel trigesimo Capitolo del Trattato quarto: «Laddove questa donna, cioè la Filosofia » ecc. Qui si noti di grazia quel donna dello 'ntelletto, nel testo antecedente a quest'ultimo; e si rifletta, quanto sia uniforme a quel donna della mia mente della Vita Nuova; acciocchè non si abbia a opporre da alcuno, che donna della mente vuol dire donna, che risiede in cima, o nell' interno della mente; ma si confessi, siccome è la verità, che voglia dire donna, la quale è l'oggetto della mente o dell' intelletto, che è tutto l'istesso. La Filosofia dunque, senza alcun dubbio, è l' altra donna di Dante: la quale egli medesimo ha voluto in maniera mostrarlaci, che non v'abbia più luogo da potersi intendere per lei altra donna, quand' anche il senso storico ammettere si debba ; ond'è, che per questa parte legittimamente si conchiude, la seconda

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