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Degli altri Critici, quale si accosta al Dionisi - 4), e quale al Biscioni; e chi senza alcuna preoccupazione si fa a leggere la Vita Nuova, rimane irresoluto s'ei debba attenersi piuttosto ad una opinione, che all'altra. Poichè talvolta incontrasi in cose, che gli farebbero conchiudere, trattarsi qui d'un amore reale con vera donna, o, direbbe il Dionisi, con donna

In carne ed ossa colle sue giunture;

e talvolta ei trovasi per modo assorto fra le astrazioni ed il mistero, che gli è forza di
confessare, non poter essere questo amore di Dante altro che allegorico.
Se non che

Hi motus animorum, atque haec certamina tanta
Pulveris exigui jactu compressa quiescent;

e questo pugno di polvere lo prenderemo dal Convito, Tratt. II, Cap. I. Ivi l' Autore dice chiaramente, che le scritture si possono intendere, e debbonsi sponere massimamente per quattro sensi, i quali sono da lui individuati nel litterale, che dicesi anche istorico, nell' allegorico, nel morale, nell' anagogico, cioè sovra senso. E queste medesime cose egli ripete nella lettera latina, con cui dedica la terza Cantica della Divina Commedia a Can Grande della Scala; dove, come pure nel Convito, arreca gli esempi a dichiarazione di ciascun senso.

Ora, dov' egli spiega il senso anagogico, prende ad esempio il Salmo: In exitu Israel de Aegypto, domus Jacob de populo barbaro: facta est Judaea sanctificatio ejus, Israel potestas ejus; e dice - 5): avvegna, essere vero secondo la lettera sie manifesto; non è meno vero quello che spiritualmente s' intende, cioè, che nell'uscita dell' anima dal peccato, essa sia fulta santa e libera in sua podestade; soggiungendo poi, che in dimostrare questo, sempre lo litterale dce andare innanzi, siccome quello nella cui sentenza gli altri sono inchiusi; che in ciascuna cosa naturale e artificiale è impossibile procedere alla forma, senza prima essere disposto il suggetto, sopra che la forma dee stare; siccome impossibile è la forma di loro venire, se la materia, cioè lo suo suggetto, non è prima disposta ed apparecchiata; che la litterale sentenza sempre sia suggetto e materia dell'altre, e cose simili. Di che noi deduciamo, che letteralmente ed istoricamente la Beatrice della Vita Nuova sia la figlia del fiorentino Folco Portinari, di cui Dante innamorò in età di nove anni; in cui egli contemplò ed amò, finch'ella visse, il complesso di tutte le virtù morali ed intellettuali; che vicina e lontana occupava tutti i suoi pensieri, quantunque ei cercasse di far credere altrimenti ad ognuno; cui lodò nelle sue Rime fra le sessanta più belle della città, coufondendola tra esse, e ponendone il nome sul numero nono; e che immaturamente rapitagli dalla morte, gli fu cagione d'amarissimo dolore e di alto sbigottimento; di che forse cercò di consolarsi, accasandosi colla Gemma de' Donati, nel cui consorzio non sembra ch' egli abbia trovata la sua piena felicità - 6). Su questo fondamento istorico della vera Beatrice, adorna d'ogni virtù e donna del cuore di Dante, noi crediamo, senza tema di errare, che sia piantata l'allegoría della Beatrice fantastica, donna della sua mente, a cui prese amore nella sua puerizia, cioè della Sapienza, ch' egli coltivava collo studio di tutte le scienze e di tutte le arti, d'alcuna delle quali credevasi per gli altri, ed era fatto credere da lui, ch' ei fosse unicamente invaghito. E si noti, che nel Convito (Trat. II, Cap. XV) egli scrive della Sapienza, con Salomone : « Sessanta sono le regine, e ottanta le amiche concubine:

4) Su di questa materia possono anche vedersi Gli Amori di Dante e di Beatrice Portinari tolti d' allegoria ed avverati con autentiche testimonianze da Ferdinando Arrivabene. Mantova, co' tipi Virgiliani, 4823.

5) Conv. Trat. II, Cap. I.

6) Boccaccio, Vita di Dante. Ediz. procurata da B. Gamba (Venezia 1825 in-8° pag. 22 e segg. ). Pelli, Memorie per servire alla Vita di Dante. Ediz. di Firenze, 1823, pag. 77 e seg.

e delle ancelle adolescenti non è numero: una è la colomba mia e la perfetta mia ». Ma la Sapienza, che tutti a sè traeva gli spiriti del giovinetto Dante, era la Scienza morale; quella che nel Convito (ivi) egli paragona al nono Cielo, e senza la quale dice che l'altre scienzie sarebbono celate alcun tempo, e non sarebbe generazione, nè vita di felicità, e indarno sarebbono scritte, e per antico trovate; quella che mette capo nella Scienza divina, ch'è piena di tutta pace, e perfettamente ne fa il Vero vedere, nel quale si cheta l'anima nostra (ivi), siccome il nono Cielo precede immediatamente all'Eupireo, a cui egli dice che ha comparazione la Teología. Per tal modo, morta la Beatrice allegorica, cioè raffreddatosi in Dante l'amore d'una tale Sapienza (e forse ciò avvenne uel tempo che la Portinari morì), indarno col cedere agli allettamenti di altra donna, e vale a dire di quella Filosofia, ch'è puramente mondana e non si sublima a così alto scopo, egli cerca di consolarsi: finchè Beatrice dall'alto cielo, ov' era salita, cioè dov' era stata trasportata da lui a significare la Scienza delle divine cose, non gli si mostra di nuovo nel suo Poema per farlo felice.

Le quali cose tutte perfettamente si riscontrano nelle parole ch'ei pone in bocca a Beatrice beata, nel XXXV del Purgatorio :

Questi fu tal nella sua Vita Nuova

Virtualmente, ch' ogni abito destro
Fatto averebbe in lui mirabil prova.
Ma tanto più maligno e più silvestro

Si fa'l terren col mal seme e non colto,
Quant' egli ha più di buon vigor terrestro.
Alcun tempo 'l sostenni col mio volto:
Mostrando gli occhi giovinetti a lui,
Meco 'l menava in dritta parte vólto.
Si tosto come in su la soglia fui

Di mia seconda etade e mutai vila,
Questi si tolse a me e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita,

E bellezza e virtù cresciuta m'era,
Fu' io a lui men cara e men gradita;
E volse i passi suoi per via non vera,
Immagini di ben seguendo false,

Che nulla promission rendono intera. ecc.

Per egual maniera il Petrarca, dal contemplare tutte le perfezioni giunte con mirabili tempre nella sua donna, facevasi scala al Fattore. Se non che l'amante della bella Avignonese non può tanto abbandonarsi ai voli del suo amore platouico, che perda di vista colei che n'è l'oggetto : chè anzi di pensiero in pensiero, di monte in monte la va cercando e raffigurando per tutto; e dopo la morte di lei porta invidia alla terra beata, che chiude il bel velo ch'egli ha tanto amato ; dolendosi pur sempre d'essere separato dalla donna leggiadra e gloriosa, che fu già colonna d' altro valore, ed è fatta nudo spirito e poca terra. Laddove l'Allighieri, dall'aver amate ed ammirate una volta in Beatrice tutte le virtù, tanto vien sollevato alla speculazione delle cose superiori, che dimentica quanto in essa ha di terreno e di materiale, per ascendere nella regione delle forme a contemplare nella Beatrice beata, salita a gloriare sotto le insegne di Maria, l'immagine ch'egli si è formata della Scienza divina. E tanto si perde fra queste astrazioni, che ne fa perfino dubitare, se Beatrice possa mai aver esistito fuori della sua fantasía.

Ben è il vero, che sarebbe opera perduta quella di chi volesse trovare come ogni circostanza istorica si confronti perfettamente colle allegorie della Vita Nuova, ovvero e converso. Per riescire in tale inchiesta bisognerebbe vivere a minor distanza di tempo dall'Allighieri; e ch'egli in vece di avvolgere a bello studio ogni cosa nel mistero, avesse

voluto a noi rivelarla. Nè forse ogni particella di questo libro contiene ambidue i sensi, ma quale sarà semplicemente istorica, e quale semplicemente allegorica; bastando che il doppio senso possa convenire alla somma dell' opera ed alle principali sue parti. Quel poco però che abbiamo accennato, e il più che il lettore potrà da sè medesimo andare appuntando su quelle tracce, è sufficiente a dissipare le mistiche nebbie in cui gli eruditi avevano finora lasciata involta questa operetta; ove tengasi per definito, che qui Dante tocca letteralmente de'suoi amori colla Beatrice Portinari, e allegoricamente de'suoi amori colla Sapienza, e colle Scienze che di quella sono amiche ed ancelle. E se alcune circostanze parranno o troppo sottili o troppo strane, e, vogliam pur dirlo, meschine; si rifletta che quando Dante scriveva la Vita Nuova, era ancor giovinetto, ch'egli amava le sottigliezze, come può vedersi nel Convito, ove spiega se stesso, e che le nostre lettere uscivano per lui dalle tenebre in cui giacevano da molti secoli. Del resto è falso quello che scrive il Boccaccio nella Vita di Dante, ch' egli d'avere questo libretto fatto negli anni più maturi si vergognasse molto - 7). E basta a mostrarlo quanto si legge in principio del Convito : « Se nella presente opera.. più virilmente si trattasse che nella Vita « Nuova, non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare « per questa quella; veggendo siccome ragionevolmente quella fervida e passionata, que<< sta temperata e virile esser conviene ». ( Trat. I, Cap, I).

....

Intorno a questa nostra edizione basterà il dire, che sebbene essa non ci sia costata tante cure, quanto quella del Convito ; nulladimeno coll' ajuto di due testi a penna, che descriveremo qui sotto -8), e con un poco di critica abbiamo sanate alcune lezioni guaste nelle stampe antecedenti, e riempite diverse lacune. Di tutto si darà ragione nelle Note, secondo il metodo da noi seguíto nel Convito. Quelle fra le medesine Note, che ci parvero da conservarsi del Biscioni e del Salvini, le abbiamo contrassegnate co'nomi di questi Eruditi le altre sono nostre. Vuolsi finalmente avvertire, che abbiamo condotto il nostro lavoro sulla stampa fiorentina della Vita Nuova procurata dal Biscioni suddetto (Firenze 1723), colla quale abbiamo però riscontrata anche quella del Sermartelli (ivi, 1576).

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Egli

D

PREFAZIONE

all'edizione PESARESE DEL 1829 4).

non può negarsi, che la VITA NUOVA DI DANTE ALLIGHIERI stato non sia fin qui tal libretto, che, ad onta delle molte cure che v'hanno spese intorno critici riputatissimi, abbia resistito in parecchi luoghi all'acutezza de' più perspicaci, sia per vizio di disposizione, sia per guise di dire malconce ed oscurate da'copisti. Venutoci però da poco tempo alle mani un codice cartaceo in quarto 2), scritto sull'incominciare del secolo XV, e da noi esaminato, parve offerire di questa operetta una lezione tanto limpida e sicura, che sperammo acquistar grazia presso gli eruditi, rendendola, come facciamo, di pubblica ragione. E perchè i lettori avessero perpetuo argomento di ammirare l'interezza di questo testo, divisammo di corredarlo in margine delle varianti ricavate dalle più celebri edizioni che della Vita Nuova uscirono fin qui; non trascurando le variauti delle Rime Antiche, per ciò che riguarda le Poesie 3).

Pregiasi il nostro manuscritto di un'antichità verisimilmente più remota di quella che vantino gli altri codici della Vita Nuova che consultati furono sin qui; offre circa 850 diverse lezioni, per le quali il dettato acquista eleganza maggiore, o maggior chiarezza il senso, e qualche volta ancora si arricchisce la lingua di nuovi modi, e di significati e parole fino al presente non avvertite. Inoltre è singolare in esso, trovarsi le narrazioni e le poesie disposte per ordine colle loro dichiarazioni e divisioni lineate in color rosso. Ciò che ha data occasione a noi di credere, che in tempi più vicini a Dante queste dichiarazioni e divisioni si considerassero tuttavia come fuori del séguito dell'operetta; e ci siamo però consigliati di separarle dal testo, riguardandole siccome semplici note, o chiose. Così la Vita Nuova assume nella nostra edizione un andamento insolito, per difesa del quale ci richiamiamo a quanto il Biscioni osservò già nelle sue Annotazioni sopra la Vita Nuova, e a ciò che disse nella Nota occorsagli nel Codice Guicciardini, ove sono le divisioni delle poesie poste in margine a modo d'interpretazioni - 4). Ma di tale nuova disposizione altre ragioni intrinseche fornisce, al veder nostro, l'operetta medesima. Osserviamo in essa, come ogni qualvolta l'Autore indicar vuole dove comincino le parti, in cui egli divide le sue poesie, fa uso costantemente di questo modo: la seconda. la terza (parte) co

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....

frasi, e non la maniera usata dai copisti nello scriverle. *

4) Vedasi l' Append. N.o III, ove si è riportata la nota del Biscioni, la quale corrobora le ragioni, per cui noi pure ci siamo determinati a distinguere con diversità di carattere e segregare in certo modo dal testo dell' opera le dichiarazioni e divisioni delle Poesie; con che senza minimamente alterare l'andamento dell' opera, come trovasi in tutte le stampe (tranne la prima, che di quelle è mancante), abbiamo conciliato con queste i Codici, ove le dette dichiarazioni e divisioni sono scritte in margine o lineate, consideratesi effettivamente come parti non integranti della narrazione. *

G

I

mincia quivi. Per che a noi sembra, che con quell'avverbio di lontananza QUIVI esso ne voglia richiamare a cosa assolutamente disgiunta da quella, che si abbia allora sott'occhio. Questo e non altro essere stato l'intendimento dell'Allighieri confermasi eziandío da ciò, che allorquando per la squisitezza della materia vuol egli che chi legge si spedisca in certa guisa dall' impaccio delle chiose in fine, acciocchè l'effetto delle poesie riesca pieno, dispone che precedano alle medesime le lor dichiarazioni e divisioni. Degno ancora da osservarsi è, che nelle chiose per alcun tratto anteposte alle poesíe l'Autore stesso fa uso di questo modo: dissi lasso: dissi peregrini ecc. Se le chiose formassero un corpo solo col testo, nè dovessero leggersi separate, potrebb' egli difendersi sanamente che Dante scritto avesse con buona sintassi, usando la voce dissi nell'atto di dichiarare ciò, che peranche non aveva detto? Tutte queste ragioni insieme ci hanno indotti a separare l'esposizione delle poesíe dal testo loro, e dalle interposte narrazioni.

Sarà forse tra' lettori chi avrebbe desiderato maggior copia d' erudizione nel preambolo, e nelle nostre note, che tratto tratto s'incontreranno a piè di pagina. Ma noi, pensando che poco si sarebbe potuto agggiungere a quella che spiegarono in proposito il canonico Biscioni, e ultimamente gli editori Pogliani, ci siamo tenuti contenti alla sola diligenza de' confronti, rimettendo per tutto il resto gli studiosi alle due nominate edizioni – 5).

5) Vedi sopra, Alleg. B, C.

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