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della scienza. La terra è divenuta, esso dice, troppo piccola cosa, al confronto dei mondi che si nabissano e muovono negli infiniti spazi celesti; troppa piccola cosa l'uomo, perchè egli possa supporre intorno a sè una finalità infinitamente sproporzionata al proprio essere. E però prima di commentare il Decimo Canto del Paradiso, ch'io vorrei chiamare il Canto del Sole, giovi ricordare, per antitesi, il dialogo di Copernico del Leopardi, informato ai giudizi della scienza nuova, che sogghignando astuta fa dire al Sole: «Io sono stanco di questo continuo andare attorno per far lume a quattro animaluzzi, che vivono in su un pugno di fango, tanto piccino, che io, che ho buona vista, non lo arrivo a vedere; e questa notte ho fermato di non volere altra fatica per questo; e che se gli uomini vogliono veder lume, che tengano i loro fuochi accesi, o proveggano in altro modo.... I poeti sono stati quelli che per l'addietro (perch' io era più giovane e dava loro orecchio), con quelle belle canzoni, mi hanno fatto fare di buona voglia, come per un diporto, o per un esercizio onorevole, quella sciocchissima fatica di correre alla disperata, così grande e grosso come io sono, intorno a un granellino di sabbia. Ma ora che io sono maturo di tempo, e che mi sono voltato alla filosofia, cerco in ogni cosa l'utilità, e non il bello; e i sentimenti dei poeti, se non mi movono lo stomaco, mi fanno ridere» (1). Dopo tali parole, stiamo immobili e silenziosi aspettando il fischio e il sogghigno amaro di Mefistofele che vede « finalmente consumata ogni cosa che si possa ingoiare, e spenta l'ultima scintilla di fuoco » e come « se ne morranno tutti al buio, ghiacciati, come pezzi di cristallo di rocca » (2). Così ecco di

Sole.

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(1) G. Leopardi. Il Copernico. Dialogo. Scena Prima. L'Ora Prima e il Fra gli studi critici sul poeta di Recanati e su l'indole del suo pensiero filosofico giovi consultare Francesco Colagrosso: Studi sul Tasso e sul Loopardi. Forlì. Gherardi, 1883, pag. 294, 16.0

(2) G. Leopardi. Op. e passo citati. Mefistofele

Oh! chi non ricorda le parole di Fausto, da me già citate a pagine 37, per le quali il demone ha:

Certa speme

Che luce e corpi periranno insieme?

Cui fanno terribile riscontro quelle altre del poeta italiano:

strutta, non l'antica, la vecchia via, e su la nuova si cammina più piccini, ma più spediti !... Tale la deduzione, che non infirma però la sublime bellezza del principio scientifico dell' astronomo di

Il Dio piccin della piccina terra
Ognor traligna ed erra,

E al par di grillo saltellante, a caso
Spinge fra gli astri il naso,

Poi con tenace fatuità superba

Fa il suo trillo nell'erba.

Boriosa polve! tracotato atomo!
Fantasia dell'uomo !

E tale il fa quell'ebra illusione

Ch'egli chiama Ragione.

S, Maestro Divino, in bujo fondo

Crolla il padron del mondo,

E non mi dà più il cuor, tanto è fiaccato

Di tentarlo al peccato.

Sublime sintesi di tutto il poema dello scetticismo dottrinale, venutoci là dal Meno. (A. Boito. Mefistofele. Prologo in Cielo). Il poeta di Recanati, nel Dialogo d Ercole e di Atlante, fa che Alcide giuochi col gigante, servendosi della Terra come di palla. Atlante sulle prime s'era rifiutato, temendo che Giove non entrasse in terzo, colla sua palla di fuoco. Ma Ercole, col sogghigno del Frate Grigio, così lo persuade: « Vero, se io fossi, come era Fetonte, figliuolo del un poeta, e non suo figliuolo proprio; e non fossi anche tale, che se i poeti popolarono le città col suono della lira, a me basta l'animo di spopolare il cielo e la terra a suono di clava. E la sua palla, con un calcio che le tirassi, io la farei schizzare di qui fino all'ultima soffitta del cielo empireo. Ma sta' sicuro che quando anche mi venisse fantasia di sconficcare cinque o sei stelle per fare alle castelline, o di trarre al bersaglio con una cometa, come con una fromba, pigliandola per la coda, o pure di servirmi proprio del Sole per fare il giuoco del disco, mio padre (Giove farebbe le viste di non vedere. Oltre che la nostra intenzione con questo giuoco è di far bene al mondo, e non come quella di Fetonte, che fu di mostrarsi leggero della persona alle Ore, che gli tennero il montatoio quando sali sul carro; e di acquistare opinione di buon cocchiere con Andromeda a Callisto e colle altre belle Costellazioni, alle quali è voce che nel passare venisse gittando mazzolini di raggi e pallottoline di luce confettate; e di fare una bella mostra di sè tra gli Dei del Cielo nel passeggio di quel giorno

Thorn (1). Tuttavia quand' io mi rappresento il Deus ex machina della meccanica dantesca, che ha per base un errore astronomico, la Terra centro dell' Universo, il Sole che cammina, cammina, e un sol Punto:

Che tutto il ciel muove

Non moto, con amore e con desio (2),

penso quanto abbia giovato all'ispirazione e alla poesia il grido della scienza, che ha arrestato per sempre il cammino infuocato e secolare. del Sole. Ritto, a piè fermo sul lembo del mantello rosso dello scettico demonio boreale, in nome della verità, l'uomo moderno maledice alla superstizione di ogni specie, che per i nostri padri era religione; i tempi di questa lascia in piedi, non quale testimonio dell' antica fede degli avi, ma in omaggio alla storia dell'arte; l'ultima nota che echeggerà sotto le ardite volte delle più vetuste cattedrali, si confonderà col rantolo estremo di una speranza, morta per sempre nel cuore dei dotti. « Natura, evoluzione! » La realtà è inesorabile, non la cancellano le lagrime; d'altra parte, se sono distrutti gli ideali della della fede, sono indistruttibili quelli positivi della scienza. « Natura, evoluzione! » L'uomo che non è centro dell' Universo, ma che è travolto nei vortici di questo, l'uomo, universo a se stesso, svolge un'azione che è indipendente da ogni azione soprannaturale. La

che era di festa. In somma, della collera di mio padre non te ne dare altro pensiero, che io mi obbligo, in ogni caso, a rifarti i danni; e senza più cavati il cappotto e manda la palla ». Che, per non fiaccarsi il collo, Ercole lascia cadere: < Ohimè, poverina, come stai? ti senti male a nessuna parte? Non s'ode un fiato e non si vede muovere un'anima, e mostra che tutti dormano come prima... Orazio va cantacchiando certe sue canzonette, fra le altre una dove dice che l'uomo giusto non si muove se ben cade il mondo. Crederò che oggi tutti gli uomini sieno giusti perchè il mondo è caduto e niuno s'è mosso ». Amara ironia dell' acentrismo filosofico!

(1) Leopold Prowe. Nicolaus Coppernicus. Erster, Band, Das, Leben, Berlin, Weidmannische Buchandlung, 1883, Vol. II, in 8. gr. pag. 413 e 576, con tavole fot. È fra gli ultimi studi più pregiati. (2) Parad. Canto XXIV, v. 131-132.

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grandezza deriva a lui dall' immensità dell'elemento del quale fa parte e che si muta senza distruggersi. Mondo fisico e mondo metafisico sono modalità di uno stesso essere, sono manifestazioni di una stessa forza il moto; che è luce, che è calore, che è vita. « Natura, evoluzione!» La fede è inutile, anzi è un implicita professione di cecità, troppo gratuita per non essere giudicata ingenua, in modo incompatibile, là dove tutto si può vedere, conoscere, provare. La poesia di Lucrezio è un albore antelucano dei meriggi splendienti dell'estro del Goethe, del Byron, dello Schilley! Ecco i prototipi, i precursori della poesia dell'avvenire, che hanno distrutto l'amore chiercuto, il misticismo dell'amore con le sue aureole e i nimbi radianti luci simboliche, apocalittiche, misteriose, indefinite, indefinibili. Non rinverda più la fronda dell' ulivo, che ha fornito l'olio a quelle lampade beghine, fumiginose, putolenti « Natura, evoluzione! » La face del genio si spegne più presto di quella della vita: giunta a un certo punto, essa non può più accendere la creta di cui fu recinta la sua base (SCHILLER). Il nuovo poema dell'umanità avrà per titolo: Moto, natura, evoluzione. Ecco la formula unitrina della poesia della scienza.

Che volete soggiungere dopo queste parole, che sono la sintesi di quanto si ripete ogni ora dalla cattedra e dalla tribuna, nelle aule accademiche e nelle taverne ? (1).

Che non è il romore che distrugge la luce, che non è la tenebra che soffoca i suoni. Che in nome della verità, della giustizia, della patria non bisogna distruggere l'ideale dell'amore! Oh! prima di ritornare al Poema di Dante, ci deterga un battesimo di luce del più grande poeta moderno dell'evoluzione:

(1) A mo'di citazione, d'un così fatto linguaggio, valga il seguente passo: « Omai col progredire della universa cultura, le forme eterne della religione e la credenza nei simboli divini, come nella personalità d'un Dio creatore e conservatore dell'universo, perdono sempre più valore; ma se cadono le forme resta l'idea. La civiltà da lei mosse, in lei s'appunta, a lei tende, perchè essa abbraccia ogni tempo e ogni spazio, è l'infinito » Liveriero. Del sublime pag. 17, 18.

Sì, amor luce è di cielo, è amor favilla
Di quel fuoco immortal che l'uom divide
Con gli angeli, che Allà largir ci volle
Acciò che sollevar possiam da teria
Nostri bassi desir. Lo spirto al cielo

Erge divozion, ma il cielo istesso

Scende in amor: senso che attinto è al fonte

Della Divinità, di questo limo

Le sozzure a purgar, raggio di lui

Che l'immenso formò, gloria che cinge.
L'anima intorno (1).

Assorto l'Alighieri nella divina estasi di questo, raggio migrò di stella in stella, fatto più puro nello sguardo di Beatrice e da quello attratto, trasvolò fino alla regione stessa di Dio: « Avventurato Dante che vide e riconobbe animata e vivente in un bel volto di donna, quella virtù che sprona al bene ed innamora del vero! Ed ei vide veramente questa divina luce ardere negli occhi della sua donna, non per figura retorica come altri poeti, ma per la intensità di un affetto nelle cui fiamme affinava e purificava se stesso. Quanto in ciò più felice di un grande poeta dell'età nostra Giacomo Leopardi sommamente misero perchè, sentendo entro di sè il possente anelito verso l'Eterna Idea, pure colla disperazione nell'anima e il dubbio nell' intelletto, scrisse di non aver mai ravvisato cotesta Idea riflessa in un volto femminile ed affermò anzi che, se mai fosse quaggiù discesa, sarebbe, in sensibil forma, divenuta men bella ! » (2).

Fu Beatrice che dalle, terrestre, trasse Dante alla contemplazione delle celesti cose; essa la :

(1) Byron. Il Giaurro.

(2) A. D'Ancona. Dante Alighieri. La Vila Nuova illustrata con nole. - Discorso su Beatrice; pag. LXXXVII, VIII. Pisa, Libreria Galileo, 1881.

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