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allegorico del Poema sacro (1) ». Per il che è facile avvertire come la luce, considerata nel senso proprio, allegorico e anagogico, non che essere propriamente la fontana inesausta onde l'Alighieri attinge parole ed immagini chiare, efficaci, convenevoli a rappresentare l'alto concetto della sua mente alle profane fantasie dei mortali (2), è il fulcro meccanico e poetico dell'invenzione dantesca. « Nella Divina Commedia » scrive il Conti, « ci albeggia fino dai primi versi un lume di Dio, poichè per visione in Dio stesso de' pericoli di Dante, Maria move Beatrice, questa Lucia, ed essa Virgilio, che lo guidi a salvezza per lo loco eterno » (3). La congettura del Foscolo, il quale giudica essere stata la terza cantica la prima incominciata dal Poeta, sebbene priva di certezza, non è del tutto destituita di ragione: comecchè è negli ultimi Canti del Paradiso che Dante vede le tre donne del suo amore triforme: là dove Lucia, « nimica di ciascun crudele » si mosse, e l'aiutò nella sua peregrinazione dalle tenebre alla luce (4). Questo aiuto, che emana dall'Empireo, la riconduce all'Empireo, Cielo di pura luce, incorporeo ed immoto:

Che solo amore e luce ha per confine (5).

Così la poesia di Dante - conscia e sapiente poesia dell'invisibi

(1) Michelangelo Caetani, La materia della Divina Commedia dichiarata in IV Tavole. Seconda Edizione. Roma Libreria Spithöver 1872. (2) Fornari, Studii critici.

(3) A. Conti, Il bello nel vero. Vol. I, p. 192. 4 Ediz. Firenze Le Monnier. (4) U. Foscolo, Discorso sul testo del poema, pag. 381. Firenze 1860. Inf. Cant. II, v. 100. Lucia, la grazia seconda od illuminante, dal Poeta chiamata Lucia, dalla luce che ella ne infonde nell'anima » (Magalotti) Amica dei soli mansueti, giusta il detto di Salomone: Mansuetis Dominus dabil gratiam. (Proverb. 3, v. 34) Dante stesso disse di lei:

E contro al maggior Padre di famiglia
Siede Lucia, che mosse la tua Donna

Quando chinavi a ruinar le ciglia.

(Parad. Cant. XXXII v. 156-58),

Vedi sull'argomento S. Bastiani, L'Aquila e la Lucia della Divina Commedia.

(5) Parad.: Cant. XXVIII, v. 54.

le (1) non solo comprende quanto presso gli antichi era diviso, ma ancora l'austera, indefinita bellezza del simbolo, che si impersona nel Divino Poema e vive della luce del vero dell'amor della luce.

« Ecco ora il tempo accettabile nel quale surgono i segni di consolazione e di pace! In verità il nuovo di comincia a spandere la sua luce, mostrando da Oriente la aurora che assottiglia le tenebre della lunga miseria, e il cielo risplende ne'suoi labî, e con tranquilla chiarezza conforta gli auguri delle genti. Noi vedremo la aspettata allegrezza, i quali lungamente dimorammo nel deserto; imperocchè il pacifico Sole (2) si leverà e la giustizia, la quale era senza luce, al termine della retrogradazione impigrita, rinverdirà incontanente che apparirà lo splendore. Quelli che hanno fame e che bere desiderano si sazieranno nel lume dei suoi raggi, e coloro che amano le iniquitadi saranno confusi dalla faccia di colui che riluce » (3).

Questo sole, questa luce, questi splendori che il sommo italiano vagheggiava nell'apparizione di un Cosmocrata che, solo ed unico, poteva riformare la società e condurla diritta ai suoi destini, irradiano e piovono dall'Empireo limpidi azzurri profondi, deserti di bagliori, oceani di colori sui tre regni del Cosmo Dantesco. Ond'è che a mio avviso, si fraintende la finalità scientifica e religiosa del Poema coll'asserire che l'Alighieri « pensò poter vincere l'aridità del soggetto col mezzo di frequentissime descrizioni, tratte per lo più

(1) Così definisce lo Schlegel la poesia del cristianesimo.

(2) Essendo l'uomo abitatore della Terra e del Cielo, l'Alighieri considera essere duplice la finalità sua :

Solea Roma, che il buon mondo feo

Duo soli aver, che l'una e l'altra strada
Facèn vedere e del mondo e di Deo.

(Purg. Canto XVI, v. 106-108)

« Giacchè quella Provvidenza, che non può errare, propose all'uomo due fini: l'uno la beatitudine di questa vita, che consiste nelle operazioni della propria virtù, e pe 'l Paradiso Terrestre si figura; l'altro la beatitudine della vita eterna, la quale consiste nella fruizione dell'aspetto divino, alla quale la propria virtù non può salire, se non è dal divino lume aiutata, e -questo pel Paradiso Celestiale s'intende » (De Monarchia, Lib. III).

(3 Da una lettera di Dante a Arrigo VII di Lussemburgo.

dai colori e dagli effetti della luce (1); giacchè queste descrizioni e questi effetti non sono un mezzo, ma il fine, non una conseguenza, ma la causa. - La interpretazione teologico-simbolica è fondamentale per l'intelligenza della Divina Commedia : quindi è che lo stesso Carducci definisce il Paradiso di Dante « un vasto deserto di luce teologica, ove i singoli spiriti sono assorti e perduti nelle mistiche configurazioni, di ruote, di aquile, di croci, di rose » (2). Epperò Dante, il quale, nella lettera ai Cardinali italiani, dice Roma vedova utroque· lumine, cioè del monarca e del pontefice, ch'ei chiama luminaria magna nel terzo del De Monarchia, e definisce il Sole la gran luce (3) vede in Dio il Lucente (4), sostantivo antonomastico della vera (5) dell'eterna luce (6), e lo stesso Spirito Paraclito (7), che desta nei celesti fuochi (8), cioè negli Angioli e nei Santi, e nel Maggior fuoco (9) la Vergine, soli di luce, giusta la sentenza evangelica: Fulgebunt justi sicut sol in regno Patris eorum (10). Dio è fuoco d'amore (11) che arde ma non si consuma, nè consuma gli spiriti, di Lui (1) F. De Sanctis, Storia della Letteratura Italiana. Sec. Ediz. Morano 1873. Vol. I, pag. 240.

(2) G. Carducci, Vile e ritratti. Petrarca e Boccacci. Tip. Sommaruga. (3) Purg. Canto XXXII, v. 53.

(4) Parad. Canto XIII, v. 56.

(5) Parad. Canto II, v. 32.

(6) Parad. Canto V, v. 8; XI, v. 20.

(7) Parad. Canto XIII, v. 55. - Adamo da S. Vittore canta.

Lux jocunda, lux insignis,

Qua de Throno missus ignis

In Christi discipulos

Corda replet, linguas ditat.

(De Sancto Spirilu).

(8) Parad. Canto IX, v, 77; XVIII, 108; XX, 34; XXII, 46; XXIV, 31;

XXV, 37 e 121.

(9) Parad. Canto XXIII, v. 90.

(10) S. Matteo, Cap. XIII, v. 43.

(11) Adamo da S. Vittore, il succitato poeta cristiano del dodicesimo

secolo, così canta dello Spirito Santo:

Lumen clarum, lumen charum

Internarum tenebrarum

Effugas caliginem.

accesi, chè anzi li alimenta e appura. L'unità divina è essenza stessa dei beati, in una immersione di essi con Dio e dell'amor suo con loro. Osservazione questa di S. Giovanni che dimostra chiaramente che la cittá mistica, con tutti i particolari figurativi dei quali si compone, addiviene al perfetto compimento della fede cristiana. « Et civitas non egel sole, neque luna, ut luceant in ea. Nam claritas Dei illuminavit illam et lucerna eius est Agnus » (1). Questa città non ha bisogno nè di sole, nè di luna che la illumini, poichè essa non ha notte. È la luce di Dio che rischiara il cielo. L'Agnello inseparabile dal Padre per la sua divinità, è la lucerna « indefettibile » di questo luogo santo (2). Gli astri materiali non dovevano per nulla contribuire a rischiarare intelligenze che sono la luce stessa: i cuori e le anime, i corpi stessi risuscitati rifulgono e si beano d'uno splendore spirituale infinito e indefinibile. Il Sauteuil tradusse con lirica efficacia l'assorbimento divino delle anime paradisiache in quelle strofe :

Coelo quos eadem gloria consecrat....

Iam vos pascit amor, uudaque veritas,
De pleno bibitis gaudia flumine....
Altis secum habitans in penetralibus,
Se Rex ipse suo contuitu beat
Illabensque, sui prodigus, intimis

Sese mentibus inserit.

Altari medio cui Deus insidet,

Agni fumat adhuc innocuus cruor... (3)

Anche Astarotte, il Mefistofele italiano, il demonio teologo e filosofo, che il Pulci fa evocare da Malagigi, incantatore e negromante ortodosso, definisce Dio:

Un fuoco dove ogni splendor si avviva (4).

Ma, tratteggiata sulle generali la materia della presente dissertazione, m'è duopo avvertire come essa si aggiri sui seguenti punti: (1) Apocal,, XXI, 23.

(2) S. Tommaso, Suppl. quaest XCII, art. 1, conclus.

(3) Ilymni sacri el novi auctore Santolio Victorino. Paris, 1698, p. 209. (4) Pulci, Il Morgante Maggiore. Canto XXV.

Il lume e la luce; cioè in generale della natura religiosa e poetica di questo fenomeno, in quanto forni ispirazioni all'Alighieri :

il fuoco, considerato storicamente nella evoluzione del suo culto e nel concetto del Poeta come strumento di pena, di ammenda, di gloria: la luce astronomica, perciò che il Sole e le Stelle, nei loro effetti luminosi, danno campo a Dante di tratteggiare sublimi quadri di aurore, di meriggi, di tramonti e di notti serene:

la pena del fuoco nell'Inferno e nel Purgatorio:
la luce mistica del Purgatorio e del Paradiso :
il Sole e il punto luminoso.

Nella Divina Trilogia i vocaboli fuoco e luce, talora distinti, tal'altra si confondono e completano l'idea teologica e la poetica. Che significa Empireo se non appunto cielo di fiamma, ovvero luminoso per fuoco o ardor d'amanza e di carità (1), ove tutto è luce ed amore? (2) L'Empireo, nel quale si affissano le anime dei beati, è l'Essenza stessa Divina:

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......Trina Luce che in unica stella

......Scintillando a lor vista le appaga (3).

Nè tale immissione di idea a idea è arbitraria di Dante, ma storicamente e scientificamente comune alle religioni più antiche, e propria, direi quasi, della Bibbia e del Vangelo. Il che più innanzi proverò, essendo invece necessario qui avvertire che l'Alighieri segna una notevole differenza fra i vocaboli luce, raggio, splendore. È da sapere che discendere la virtù d'una cosa in altra, non è altro che ridurre quella in sua similitudine: siccome negli agenti naturali vedremo manifestamente, che discendendo la loro virtù nelle pazienti cose, recano quelle a lor similitudine, tanto quanto possibili sono a venire ad essere (3). Onde vedemo il Sole che, discendendo lo raggio suo quaggiù, reduce le cose a sua similitudine (1) Convito 4, III, 8.

(2) Parad. Canto XXVII, v. 112; XXX, v. 3.

(3) Parad. Canto XXXI, v. 28-29.

(4) « Pare debba intendersi venire ad essere simili. Se tuttavia non si dee leggere: venire ad essi, cioè ad essi agenti; ovvero venire ad essa cioè ad essa similitudine » (Convito di Dante Alighieri ridotto a migliore lezione). Padova, Tip. della Minerva.

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