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l'ardor del desiderio (1) e sormontando di sopra a sua virtute (2) in quel battesimo di luce è assorto là dove l'amor sempre soggior na (3). E davvero è mirabile l'arte, e perfetta l'intuizione della verità teologica, mediante le quali determina il modo che lo ha reso atto, a sopportare non solo, a godere della Luce eterna (4); così che, maturandosi a quei raggi (5), si perde nel gaudio infinito dello splendore divino.

Poscia che contro alla vita presente
De' miseri mortali aperse il vero
Quella che 'mparadisa la mia mente;
Come in ispecchio fiamma di doppiero
Vede colui che se n'alluma dietro,
Prima che l'abbia in vista od in pensiero,

E sè rivolve, per veder se il vetro

Li dice 'l vero, e vede ch'el s' accorda

Con esso, come nota con suo metro;

Così la mia memoria si ricorda

Ch'io feci, riguardando ne' begli occhi,

Onde a pigliarmi fece Amor la corda (6).

Il vime (7) della fede non ha dunque legato, il genio del Poeta, ma porto a lui il mezzo di salire più alto, piu veloce, più sicuro: è a quella corda, riguardata oggimai quasi capestro il quale ha strozzata la ispirazione estetica e la intuizione metafisica, che Dante si aggrappa per farsi sollevare oltre i limiti stessi della umana concezione. Essa non è vincolo, ma sostegno; non è visibile, ma è l'essenza

(1) Parad. Cant. XXXIII, v. 27.
(2) Parad. Cant. XXX, v. 57.
(3) Parad. Cant. XXXI, v. 12.

(4) Parad. Cant. XXXIII, v. 83.

(3) Parad. Cant. XXV, v. 36.

(6) Parad. Cant. XXVIII, v. 1-12.

(7) Vedi pag. 112 di questo Saggio di Studi.

stessa della visione, è virtù lucente, è luce di virtù, è libertà, è gloria deflo spirito immortale. È in una parola il raggio della scienza stessa divina, che l'Alighieri ha raffigurato nello sguardo di Beatrice.

Gli occhi su levai;

E vidi lei che si facea corona,
Riflettendo da sè gli eterni rai.

Da quella region, che più si tuona,

Occhio mortale alcun tanto non dista,
Qualunque in mare più giù s'abbandona,

Quanto lì da Beatrice la mia vista;

Ma nulla mi facea; chè sua effige
Non discendeva a me per mezzo mista.
O Donna, in cui la mia speranza vige,
E che soffristi per la mia salute,
In Inferno lasciar le tue vestige;
Di tante cose, quante io ho vedute,

Dal tuo podere e dalla tua bontate,
Riconosco la grazia e la virtute.

Tu m' hai di servo tratto a libertate

Per tutte quelle vie, per tutt' i modi,
Che di ciò fare avean la potestate.

La tua magnificenza in me custodi,

Sì che l'anima mia, che fatt' hai sana,
Piacente a te dal corpo si disnodi.

Così orai; e quella sì lontana,

Come parea, sorrise e riguardommi;

Poi si tornò all' Eterna Fontana (1).

Quivi era d'uopo sparisse la mistica donna, che, simbolo della teologia, oramai più non aveva ragione di essere, comecchè Dante, il quale l'aveva chiamata e richiesta:

(1) Parad. Cant. XXXI, v. 70-93. Anche il Poletto nel Ragionamento critico, di pagine 76 che ha per titolo Amore e Luce nella Divina Commedia, pag. 23-40. Padova. Tipografia del Seminario, 1876) prende a esaminare il Concetto di Beatrice, seguendo questa immagine simbolica in quanto dal

O luce, o gloria della gente umana!

era esso stesso immerso nel lume eterno, per il quale ogni sfavillare è ardore di carità, di gloria, d'amore eterno.

O amanza del primo Amante, o diva,

Diss' io appresso, il cui parlar m'innonda

E scalda sì, che più e più m'avviva;
Non è l'affezion mia tanto profonda,

Che basti a render voi grazia per grazia;
Ma Quei, che vede e puote, a ciò risponda.

Io veggio ben che giammai non si sazia

Nostro intelletto, se 'l ver non l'illustra,

Di fuor dal qual nessun vero si spazia (1).

Ben potrebbero servire di commento a questi versi le parole dell' Hettinger: « Nobilissime enim illius foeminae fuit, vatem sibi commissum pro singulari erga eum caritate ac benevolentia miseriis hujus vitae ereptum, ope utriusque theologiae, cum speculativae, tum mysticae, in adyta altissimae contemplationis admittere. Haec est,

l'amore trae calore di ispirazione e conduce il Poeta a vedere il temporal fuoco e l'eterno (Purg. XXVII, 127) e va per non esser più cieco, per viver meglio (Purg. XXI, 58 e 75), nell'aer vivo (Purg. XXVIII) fino alla verace corte (Purg. XXI, 17). Ma forse o ch'io mi inganno a partito - è più sentita che fatta sentire l'idea della luce, che rifulge da Beatrice.

(1) Parad. Cant. IV, v. 118-126. Erano molto severe però le parole che Beatrice rivolse da principio al Poeta: appunto perchè il linguaggio della verità riesce sulle prime amaro :

.... Io veggio te nello intelletto

Fatto di pietra, ed in petrato tinto,

Sì che t'abbaglia il lume del mio detto.
(Purg. Cant. XXXIII, v. 73-75).

Veramente oramai saranno nude

Le mie parole, quanto converrassi
Quelle scovrire alla tua vista rude.

(Purg. Cant. XXXIII, v. 100-102).

quae purissima luce, a Deo ipso immissa, intellectum illustrat, voluntatem accendit, animam omnesque eius potentias mira suavitate ac incredibili quandam dulcedine suffusam intime cum Deo conjungit, et, ut in pauca referam, humanam naturam totam exaltat atque sublimat; quae omnia nec cogitatione comprehendere nec verbis eloqui valemus, uti poeta ipse probe observat» (1).

La Beatrice di Dante adunque, non solo si ispira all' idea della scienza teologica ed umana, ma al mistico concetto della carità (2), che è divina poesia.

Il concetto teosofico, che abbiamo visto mirabilmente rappresentato, nella sua poetica essenza, dalla lucente immagine di Beatrice, non distrugge, ma avvalora il concetto filosofico: in quanto è Scienza morale, che accalora e accende chi si dispone a rice

(1) D. F. L. Hettinger. De Theologiae speculativae ac mysticae connubio in Dantis praesertim trilogia. - § VII: « Quibus eum a fide alienum quondam fuisse contendunt, argomenta diluuntur », pag. 66. Wirceburgi. Typis Expressit Thein (Stuertz) MDCCCLXXXII.

(2) « Per eam enim ipse Deus introibit in te, et tu ingredieris ad ipsum. Quando amor illius cor tuum intrat et penetrat, et ad intimum cordis tui dilectio illius pertingit, tunc intrat in te ipse.... Si tamen hoc intelligi potest, quia dilectio supereminet scientiae et major est intelligentia. Plus enim diligitur, quam intelligitur, et intrat dilectio et appropinquat, ubi scientia foris est... (Hug. Vict. In Hierarch. coelestem Exposit. VI, p. 1038 ed. Mign). Qui ardentius diligunt, profundius perspiciunt et suptilius disoernut (Id. c. V, p. 1023). Ecce quid caritas facit. Solis animis diligentibus Deum divina manifesta facta dicuntur et ad imitandum possibilia. Interna namque et aeterna bona rationales animi per solam caritatem percipiunt; illa per dilectionem et gustando ut intelligant, et sequendo ut apprehendant. Nisi enim diligerent, non intelligerent, quia non intelliguntur, nisi cum diliguntur; et rursum nisi amarent, non quaererent, et nisi quaererent, non invenirent, quia non inveniuntur, si non quaeruntur.... Sola caritas revelat ea, quae abscondita sunt Dei » (Id. 1, c. IV, p. 1002).

Magistretti

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verne il benefico raggio. Nè sarà vano ripetere le parole stesse del Poeta « Onde vedemo il Sole, che discendendo lo raggio suo quaggiù, riduce le cose a sua similitudine di lume, quanto esse per loro disposizione possono dalla sua virtù lume ricevere » (1). Amore di verità che rischiara e sempre più allumina l'orizzonte della mente umana; alla quale si spiegano tutti i problemi intellettuali e morali, splendenti di giustizia; che riscalda la mente e le fa amare ogni bene, generandovi ottimi affetti, e abiti lodevoli, quali sono le virtù morali e intellettuali, germogliate in noi dal calore della filosofia.

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Calori e colori che, derivati da una fonte splendentissima, sono ad un tempo le cause e gli effetti più prossimi, le più naturali emanazioni di un infinito foco di rettitudine; sono il simbolo più sensibile, dell'Idea Eterna, che non ha per fine sè stessa, ma che tutta si coordina all'immortale principio della moralità individuale e sociale. « Il cantore della rettitudine », come non dubitò di chiamar sè stesso l'Alighieri (De Vulgari Eloquio), sempre colpito da nuova ammirazione e amore, si arresta meditabondo dinanzi a questo simbolo della luce increata. Con lui è d'uopo soggiungere ancora una volta: Nullo sensibile in tutto il mondo è degno di farsi esempio di Dio, che il Sole (2), appunto perchè Dio: È Sole spirituale e intelligibile (3), che sempre verna (1), e: Là dove questo Amore splende, tutti gli altri amori si fanno scuri e quasi spenti (5); Sole che riempie le anime (6) d'una smagliante primavera.

Epperò il Poeta di questo simbolo ci offre spiegazione non dubbia, scevra da ogni benda di parola oscura, là nella canzone dove discorre della leggiadria d'Amore, la quale:

In suo esser dura,

Siccome il Sole, al cui esser s'adduce

(1) Convito. Trat. III, cap. XIV.
(2) Convito. Trat. III, cap. XII.
(3) Convito. Trat. VI, cap. 9.
(4) Parad. Cant. XXX, v. 126.
(5) Convito. Trat. III, cap. XIV.
(6) Parad. Cant. IX, v. 9.

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