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La Luna è la prima Stella (1). Essa conforta i tenebrosi silenzi della notte, semina di ombre e di pallide fantasime la terra, cammina negli spazi del Cielo turgidi di luce vitrea. Nella tonda Suora del Sole (2), « due cose si veggono.... che non si veggono nelle altre stelle: l'una si è l'ombra che é in essa, la quale non è altro che rarità del suo corpo, alla quale non possono terminare (3) i raggi del Sole e ripercuotersi così come nelle altre parti; l'altra si è la variazione della sua luminosità, che ora luce da un lato e ora luce dall'altro, secondo che il Sole la vede» (4).

Ed eccoci, sin dalle prime mosse, dinanzi a una osservazione di non lieve momento, quando si voglia avere un'idea determinata della luce lunare in Dante; fatta astrazione dai criteri astronomici moderni, di tanto lontani dagli antichi pregiudizi. Beatrice confuta la opinione, esposta nel Convito, la quale il Poeta ripete anche in principio della Terza Cantica, là dove, ammettendo la opacità della Luna (5), indicata dai segni bui, dalla tradizione del volgo attribuiti a Caino, che innalza una forcata di spine, dice:

Ella sorrise alquanto, e poi : S'egli erra

L'opinion, mi disse, de' mortali,

Dove chiave di senso non disserra;
Certo non ti dovrien punger li strali

D'ammirazione omai, poi dietro a' sensi
Vedi che la ragione ha corte l' ali.

Tutto quel giorno, né la notte appresso,

Infin che l'altro Sol nel mondo uscío.

(1) Purg. Cant. II, v. 30.

(2) Purg. Cant. XXIII, v, 119-120.

(Inf. Cant. XXXIII, v. 53–54).

(3) Cioè: giungere al termine o al fondo di quella rarità.

(4) Convito. Teat. II, cap. XIV.

(5) Aristotele dice: « La Luna ha certe macchie nebulose quasi accostantesi a opacità ». De Coelo et Mundo, II.

Ma dimmi quel che tu da te ne pensi.

Ed io: Ciò che n'appar quassù diverso,
Credo che 'l fanno i corpi rari e densi (1).

Ed ella: Certo assai vedrai sommerso

Nel falso il creder tuo, se bene ascolti
L'argomentar ch' io gli farò avverso.

La spera ottava (2) vi dimostra molti

Lumi, li quali e nel quale e nel quanto
Notar si posson di diversi volti.

Se raro e denso ciò facesser tanto,
Una sola virtù sarebbe in tutti

Più e men distribuita, ed altrettanto (3).

Virtù diverse esser convengon frutti

Di principi formali (4); e quei, fuor ch'uno,
Seguiterieno a tua ragion distrutti.

Ancor, se 'l raro fosse di quel bruno

Cagion, che tu dimandi; od oltre in parte,

Fôra di sua materia sì digiuno

Esto pianeta; o sì come comparte

Lo grasso e 'l magro un corpo, così questo

Nel suo volume cangerebbe carte.

(1) Come già abbiamo veduto, secondo Dante, i corpi solidi ripercotono meglio la luce.

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(2) È la sfera delle Stelle fisse. Questa dice Pietro - può dirsi il quinto elemento, distinto dagli altri per natural proprietà. E il Poeta: II Cielo. stellato vi mostra molti lumi, i quali sì nel quale (nella qualità) di maggiore o minor luce, che nel quanto (nella mole) di maggiore o minore grandezza, si possono notare di aspetti tra loro diversi.

(3) Intendi: Se dalla maggiore o minore densità venisse la differenza, le influenze dei pianeti differirebbero di grado, ma non di natura. (Purg. IVI, v. 75. Parad. XVI. 37).

(4) La prima materia era, secondo gli scolastici, in tutti i corpi la me→ desima; la forma sostanziale costituiva le varie specie e virtù dei corpi. Ora se dalla densità venisse il divario, uno solo sarebbe il principio formale.

Magistrelli

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Se 'l primo fosse, fôra manifesto

Nell'eclisse del Sol (1), per trasparere

Lo lume, come in altro raro ingesto.

Questo non è. Però è da vedere

Dell'altro; e s'egli avvien ch' io l'altro cassi,

Falsificato fia lo tuo parere.

S'egli è che questo raro non trapassi,

Esser conviene un termine, da onde

Lo suo contrario più passar non lassi;

Ed indi l'altrui raggio si rifonde

Così, come color torna per vetro,

Lo qual dietro a sè piombo nasconde (2).
Or dirai tu ch'ei si dimostra tetro

Quivi lo raggio, più che in altre parti,

Per esser lì rifratto più a retro (3).
Da questa istanzia può diliberarti

Esperienza, se giammai la pruovi,

Ch'esser suol fonte a' rivi di vostre arti.

Tre specchi prenderai, e due rimuovi

Da te d'un modo; e l'altro, più rimosso,
Tr'ambo li primi gli occhi tuoi ritruovi.

Rivolto ad essi fa' che dopo 'l dosso

Ti stea un lume, che i tre specchi accenda (4),
E torni a te da tutti ripercosso,

(1) Se fosse bucato, nell'eclisse, dal buco o dal rado passerebbe la luce penetrante, come in altro corpo raro.

(2) Se il rado non è da banda a banda, ei ci sarà un punto dove il denso si opporrà al passaggio della luce; e di là il raggio d'altro corpo lucido si rifletta come da specchio.

(3) Ora dirai che dove il rado è più fondo e il denso però più lontano; quivi il lume riflesso è più languido e pare macchia. (Inf. XXVII, v. 10–12). RIFRATTO. (Purg. XV, v. 22-21). Dice il Tommaseo: « Anco la riflessione è una specie di rifrazione »>.

(4) Accendit lumina vesper. (Georg. I). Lumen.... sole repercussum (Aen. VIII). Clara repercusso reddebant lumina Phoebo. (Ov. Met. II). L'ombra che

Benchè nel quanto tanto non si stenda
La vista più lontana (1), li vedrai
Come convien ch'egualmente risplenda.
Or come a' colpi (2) degli caldi rai

Della neve riman nudo 'l suggetto (3)
E dal colore e dal freddo primai;
Così rimaso te nell' intelletto

Voglio informar di luce sì vivace,
Che ti tremolerà nel suo aspetto (4).
Dentro dal ciel della divina pace

Si gira un corpo, nella cui virtute
L'esser di tutto suo contento giace.
Lo ciel seguente, c' ha tante vedute,
Quell'esser parte per diverse essenze
Da lui distinte e da lui contenute.
Gli altri giren per varie differenze

Le distinzion, che dentro da sè hanno,
Dispogono a lor fine, e lor semenze (5).

Questi organi del mondo (6) così vanno,

tu vedi è di quella ripercossa imagine. (Semint.). Come sogliono rimirare, il Sole non è in sè stesso, ma nella sua imagine ripercossa dall'acqua.

(1) La luce è men viva dal più lontano, macchia non è.

(2) Liquitur, ut glacies incerto saucia Sole. (Ovid. Met., II). « Ghiaccia fedita dallo incerto Sole ». (Semint.).

(3) Il metallo o la pietra è il soggetto della forma. (Arist. Phys). L'aria è il soggetto nel quale è il calore. L'uno accidente dicesi soggetto dell'altro, come la superficie, del colore, in quanto la sostanza riceve l'uno accidente mediante l'altro. Distrutto il soggetto non può rimanere accidente. (Som.). (4) TREMOLERA. Scintillante. Disperse le tenebre delle fallaci affezioni,

tu possa conoscere lo splendore della luce vera. (Boɛzio).

(5) Semina flammae. - Igneus est ollis vigor, et coelestis origo Seminibus. (Virg. Aen. VI). Le tre terzine (112-120) sono già state prese in esame a pag. 47 di questo Saggio di Studi.

(6) Dante, nella Lettera a Cane: « Ogni essenza e virtù procede da quel che è primo; e le intelligenze inferiori prendono da lui quasi da raggiante, ♦ rendono i raggi superiori agli enti inferiori a sè, a modo di specchi ».

Come tu vedi omai, di grado in grado,
Che di su prendono, e di sotto fanno.
Riguarda bene a me sì come io vado

Per questo loco al ver, che tu disiri,
Sì che poi sappi sol tener lo guado.
Lo moto e la virtù de' Santi giri,

Come dal fabbro l'arte del martello,
Dai beati motor convien che spiri (1).
E' ciel, cui tanti lumi fanno bello,

Dalla mente profonda che lui volve
Prende l'image, e fassene suggello.
E come l'alma dentro a vostra polve,
Per differenti membra, e conformate
A diverse potenzie, si risolve;
Così l'intelligenzia sua bontate
Multiplicata per le Stelle spiega,
Girando sè sovra sua unitate.

Virtù diversa fa diversa lega

Col prezioso corpo ch'ell'avviva,

Nel qual, sì come vita in voi, si lega.

Per la natura lieta onde deriva,

La virtù mista per lo corpo luce,

Come letizia per pupilla viva.

Da essa vien ciò che da luce a luce

Par differente, non da denso e raro :

Essa è formal principio (2) che produce,
Conforme e sua bontà, lo turbo e il chiaro (3).

(1) « Il fuoco e il martello sono cagioni efficenti del coltello; avvegnachè massimamente è il fabbro ». Convito. Trat. I, cap. XII.

(2) La ragione è falsa: superf uo il notarlo. L' Ottimo domanda perchè la Luna ha sola queste macchi e, e non a tri pianeti? Perchè - risponde - ella è l'ultimo, e la virtù de' cieli ci opera con meno vigore; la quale diversità si fu cagione alla terra della corruzione e della generazione dei corpi. Ves dasi la Tav. 1, aggiunta alla pag. 221.

(3) TURBO é in luogo di buio. Parad. Cant. II, v. 52-148.

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