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Epperò l'errore dottrinale vorremmo dire aver Dante, se non presentito, dacchè la sua Donna lo corregge scusandolo per ciò che l'umana ragione ha corte l'ali, certo attenuato: mediante un linguaggio così poeticamente scientifico, da farci credere vero quello. che egli pensa, librandosi sull' ali del genio inventivo. Se la densità fosse cagione della luce, tutte le Stelle avrebbero la stessa virtù d'influenza, differirebbero solo nel grado. Più: o le parti rade attraversano tutto il corpo lunare, e allora il Sole nell'eclissi ci verrebbe per mezzo; o il rado è a strati col denso e allora la luce delle parti più rade sarà più languida, macchia non sarà mai. Felice errore! che dal disordine della induzione speculativa, ci solleva alla intuizione di un'idea grande, di influenze soprannaturali. La ragione vera, secondo Dante, di quelle macchie è la virtù che dal primo mobile, dove gli si manifesteranno, sotto la apparenza di incorporei splendori, il Trionfo di Cristo e la corte celeste, si diffonde nei cieli sottoposti, e nella Luna è meno che in altri. « Arido il Canto » osserva il Tommaseo; ma ove lo si consideri in rapporto all'idea, che costituisce, direi quasi, l'organismo simbolico della Trilogia, io intendo la luce, lo sguardo riposerà nella contemplazione di una eterna e soavissima visione. Poichè : « Secondo il lume sopraggiunto dalla grazia, le anime si fanno deiformi, cioè simili a Dio, come in Giovanni: Quando apparrà saremo a lui simili, e Lo vedremo siccome Egli è (1).

Il Lombardi pure accusa di oscurità la dissertazione del Poeta, e ne attribuisce la ragione alle forme filosofiche, ma non rifugge dall'esporre gli argomenti messi in campo da Beatrice, per dimostrare la erroneità dell'opinione di Dante, che il raro e il denso siano la cagione delle macchie lunari. Essi sono: « 1.° Che il raro e il ⚫ denso non possono essere cagione della diversità di mole e di splendore che si osserva negli astri. 2. Che le macchie lunari non sono prodotte da un ammasso di strati densi e di strati rari, nè tampoco da vani attraversanti da parte a parte il corpo lunare. 3.o Finalmente, che le dette macchie non possono essere l'effetto della rifles

(1) Somm, Epist. I, III, 2.

sione de' raggi solari in punti cavernosi e remoti della superficie sferica della terra.

Resa così vana l'opinione comune, passa quindi a risolvere, con diversi principi, la dottrina; stabilendo: 1.o Che l' Empireo piove la virtù sua nel primo Mobile: questo in quello delle Fisse, e così via via. 2.o Che questa virtù e il moto sono a ciascun cielo spirati da una particolare Intelligenza motrice e direttrice di esso. 3, Che l'Angelo motore dell'ottavo Cielo, ricevuta la emanazione della virtù divina, la comunica alla sua sfera, la quale se ne fa suggello onde ritenerla in sè, ed imprimerla ne' cieli inferiori. 4. Finalmente, che questa virtù, sebbene discenda da unica origine, non è virtù sola più e meno distribuita, ma una virtù diversa, cioè differentemente proporzionata alla natura e al fine dei corpi celesti, e quindi produttrice di effetti diversi, anche nella esteriore apparenza.

Così Beatrice viene concludendo, che il torbido e il chiaro non sono effetto della materia rara e densa, ma bensì della speciale virtù trasfusa nell'astro, la quale agisce come principio formale, cioè come causa intrinseca (1).

Epperò, quantunque erronee le ipotesi e non meno erronei i postulati, è davvero meraviglioso il modo col quale l' Alighieri, sorretto, si direbbe, dalla fede nei destini di una scienza nuova, si apre la via di tra le superstizioni volgari, di tra le dottrine antiche aristoteliche (2) e poetiche (3), e, precorrendo le ansie dello spirito di

(1) P. B. Lombardi. La Divina Commedia di Dante Alighieri. Vol. III, pag. 51-52. - Padova. Tip. Della Minerva, 1822. - Anche il Tommaseo commenta e illustra con soda dottrina quanto è asserito dal Poeta : « Che se, e prima e dopo di lui, non parve, anco a' poeti veri, illecito di comporre lunghi poemi didattici, perdonisi a lui l'aver fatta didattica del suo alcuna parte ». (Commedia di Dante Alighieri – I motori de’Cieli - Milano. Tip. Rejna, 1854).

(2) Di tutte le affezioni dei corpi sono principio il raro e il denso, dacche il grave e il leggiero, il molle e il duro, il caldo e il freddo sono varie specie di radezza e di densità. Or il raro e il denso sono secrezione e concrezione che dicesi essere cagione di generazione o di morte. (Arist. Phys. I)

(3)

Verum ubi tempestas et coeli mobilis humor

Mutavere vias, et Jupiter avidus Austris

speculazione, di induzione e di deduzione moderno, mette innanzi il principio di osservazione: il divino filo di Arianna, per il quale non è più possibile smarrirsi nel labirinto della indagine scientifica. Nè ci perde la poesia; chè nessuno, più di Dante, è assurto alla sublime idea della unità nella perfezione universale. Ond' è che la oscurità nell'orbita della Luna costituisce, per il Poeta della luce, tale un paradosso, che lo commove quasi di dolore. E se quelle pezzature brune suscitarono nella fantasia antica l'idea di mari (1), nell'estro di quel genio, sommamente filosofo, esse non sono che un fenomeno fisico, subordinato ad una causa soprasostanziale: poichè la differenza nella qualità e quantità della luce negli astri, non proviene dalla varia densità, per la quale una virtù sola verrebbe a tutti distribuita in varie proporzioni. Ciò sarebbe povertà della creazione, che congiunge varietà incomputabile a suprema unità ». Nè solo in sì gran corpi, come sono i celesti, ma in ciascun ente, per dappoco che paia, è una forma, una virtù essenziale, che in qualche rispetto, ha del comune cogli enti tutti, in qualche rispetto ha del comune cogli enti segnatamente della medesima specie, ma nella

Densat, erant quae rara modo, et quae densa, relaxat:
Vertuntur species animorum.

(Georg., I).

Rara sit, an supra morem sit densa, requiras.

(Georg., II).

(1) Come tali ricevettero varî nomi: Mare degli Umori, Mare delle Crisi, Mare della Serenità, mare delle Pioggie. Quell'opinione persistette finchè, non già la potenza dei telescopi ne constatò la diversa natura, ma finchè l'osservazione persuase che la Luna non ha atmosfera, e che quindi alla sua superficie non può trovarsi acqua di sorta; perocchè questa, sotto l'azione del calore solare, si convertirebbe in vapore, col quale si formerebbe intorno a questo astro una specie di atmosfera. Però alcuni pretendono che un'atmosfera vi sia, ma tanto bassa da occupare soltanto le pressioni e le profonde cavità del suolo: tuttavia questa è ancora qualche cosa meno di una congettura. Fors'anche la enorme altezza dei monti, che si spinge persino a 7600 metri, può essere cagione di ombre.

esistenza sua possiede individue proprietà. Questo principio è fecondo, se non forse con tutta fecondità svolto: la somiglianza che non distrugge la differenza, ma sì la determina, il comune che richiede il proprio e il proprio che richiede il comune e si conciliano entrambi, non già per indulgente bonarietà nelle teste de' filosofi, ma per invincibile necessità nell' intimo delle cose. Tale varietà di virtù nei corpi celesti ed in tutti gli enti è frutto dunque di principi formali diversi: Ogni essere è secondo una qualche forma (1). L'operazione di natura procede da un principio che è la forma della cosa naturale (2). Dal principio formale nelle cose naturali è specificata l'azione, come il riscaldamento del calore (3). Le cose incorporee sono di più formale e più universale virtù (4). Dio non viene in composizione d'alcuna cosa, nè come principio formale, nè come materiale» (5).·

Tuttavia, ad intendere meglio testo e commenti, ricordato che l'Empireo è il motore delle nove sfere celesti, credo gioverà osservare il qui unito prospetto, relativo all' INFLUENZA DELLA GERARCHIA DEGLI ANGELI SULLA LUNA (6).

Le linee perpendicolari agli archi di cerchio indicano le influenze dei motori empirei; gli archi punteggiati le sezioni di superficie sferica dei singoli cieli astronomici; le linee scemanti, terminate una alla LUNA e l'altra perpendicolare alla sfera di questo pianeta, indicano le distanze, che sono le massime, fra la Luna e il suo motore, quello cioè degli ANGELI.

È evidente che la luce di cui gode la sfera lunare è, se non la più povera, certo la meno copiosa; dacchè l'influenza dell'ultimo motore empireo, per essere questo il più esterno e discosto dal Punto lumi

(1) Som., 1, 1, 5.

(2) Som., 2, 2, 95.

(3) Som., 1, 2, 9.

(4) Som., 1, c.

(5) Som., 1, 1, 3. N. Tommaseo. Luog. e op. cit.

(6) Vedi TAV. 1.

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